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Racconti brevi

Una nebbia a colori

La nebbia ammanta il mondo come una coperta spessa e fradicia.

Lanciato timidamente lungo le grigie strade intorno a Milano, tremo per le mani congelate in un’auto che non accenna a riscaldarsi.

Il cappuccio della felpa calcato sulla testa glabra aiuta solamente a mantenere il mio senso di isolamento dal mondo, affinché il momento in cui inizierò ad interagire con l’umanità tardi il più possibile.

Sono un mattiniero, certo, ma ci sono mattine come questa in cui nemmeno io vorrei abbandonare il tepore delle lenzuola.

È il 3 gennaio. Come prevedibile, trovo meno della metà del traffico abituale. Avrei avuto bisogno come tutti gli assenti di prendermi qualche giorno di riposo.

Invece, eccomi qua, la testa orientata in direzione della sede della mia azienda, ligio al dovere di raccogliere ceffoni da ogni dove.

Perché questo è il destino di un reparto che serve tutti e non è servito quasi da nessuno: per quanto bene tu possa fare, è sempre dato per scontato, ed ogni errore viene stigmatizzato ed additato come segno di incapacità e di imperdonabile distrazione.

In fondo, non negatelo: tutti pensiamo che la maggior parte degli impieghi altrui siano più semplici e riposanti rispetto al nostro, perciò è insopportabilmente comprensibile che chi per ruolo si ritrovi a giudicare non accolga con empatia i nostri sbagli, pur spesso dovuti ad un sovraccarico d’incombenze unito alla pressione dell’urgenza.

Mi fermo ad un semaforo. Chiudo per qualche istante gli occhi stanchi, mentre la mente scivola via dal corpo.

Sogno l’amata Toscana. Per chi mi conosce, non è certo una sorpresa.

Immagino di svegliarmi in un piccolo podere avvolto dalla foschia mattutina. Una generosa stiracchiata, e giù dal letto con un sorriso.

La casa è fredda, ma presto una buona tazza di caffè arricchita dalle briciole dei ciambellini che vi ho intinto mi restituisce il calore di cui ho bisogno.

Una sciacquata veloce per togliere i segni del sonno, qualche abito pesante indossato senza troppa cura e dopo pochi istanti sono fuori di casa.

La foschia che gravita leggera attenua i colori della natura che mi circonda, togliendomi il fiato: il paesaggio che amo assume il milleunesimo volto, stupendomi nuovamente.

Passeggio senza fretta né meta per i campi circostanti, per un tempo che non sono in grado di definire. Mi nutro dei profumi della terra bagnata e della vegetazione grata per l’umidità vitale.

Nonostante sia nato e cresciuto in Brianza, quelle terre hanno sempre richiamato in me un’ancestrale sensazione di familiarità. Anche se il mio sangue proviene da quei luoghi, da bambino siamo scesi di rado dai parenti in Toscana, perciò non riesco a spiegarmi del tutto l’origine di questo richiamo. Eppure è dentro di me, forte e costante.

Salgo sulla vetta di un colle per godere di una vista migliore. I profili ondulati che si affacciano tra la foschia, illuminati dal primo sole del mattino, dipingono un ambiente etereo che crea dentro di me un lieve disagio, quasi che non sia degno di ammirarlo.

Resto in contemplazione per diversi minuti, cercando di associare ogni tratto visibile ad un luogo che conosco, finché la nebbia si dirada ed il timido sole invernale riesce finalmente a prendere il sopravvento.

E’ ora di rientrare a casa. D’altra parte, l’orto non si mantiene da solo, nonostante la rigogliosa terra che lo sostiene.

Trascorro le ore successive così, lavorando nel mio piccolo appezzamento soprattutto per proteggere piante e terreno dalla morsa invernale. Lo faccio con estrema pazienza e con un’attenzione ai particolari che mi è del tutto nuova, abituato per vent’anni di carriera lavorativa ad anteporre sempre la quantità e le priorità altrui rispetto alla precisione nel raggiungimento del risultato.

Nel frattempo, la mia mente svuotata da qualsiasi preoccupazione si riempie di storie fantastiche, mondi inesplorati che viaggiatori improbabili affrontano al fianco di guide inaffidabili, avventure temibili ed al contempo entusiasmanti tra creature mai conosciute da anima viva.

Durante la sosta per il pranzo, e di nuovo più tardi dopo una doccia piacevolmente calda, mi dedico a trasporre le mie divagazioni in prosa. La Toscana sta ispirando in me due generi di romanzo: il fantasy, a cui non mi dedico dalla parola fine sulla mia prima opera, e la storia romantica, perché è meraviglioso innamorarsi in questa terra così affascinante, ricca di poesia, di colori e di sapori.

Il suono delle mie dita sui tasti mi accompagna fino al sopraggiungere della stanchezza. Non sono più sufficientemente lucido per proseguire, è ora di concedermi al morbido abbraccio delle lenzuola. Il sonno non tarda ad arrivare.

Il rumore dei clacson mi riporta alla grigia realtà.

Alzo la mano per scusarmi, ma in tutta risposta l’uomo dietro di me mi manda ripetutamente a quel paese.

L’umore si è già guastato, spero tuttavia che rimanga qualcosa nel mio animo dall’avventura onirica.

Raggiungo l’ufficio. Qui accolgo con le solite chiacchiere di inizio giornata i colleghi del mio reparto. L’atmosfera è piacevole, si scherza e ci si prende in giro come avviene in un gruppo affiatato ed armonioso.

Poi, la consueta negatività prende il sopravvento.

Arrivano le prime email sulle urgenze di interesse altrui. Telefonate per problemi, errori riscontrati con colpevole ritardo da chi ha il compito di controllare ma di cui l’unica responsabilità sembra attribuibile a chi ha sbagliato una volta su oltre mille operazioni, compiute per lo più correndo. Nessun filtro, nessuna possibilità di giustificare l’impossibilità di essere perfetti in uno spettro pressoché infinito di attività gestite contemporaneamente.

La misura è colma. Chiamo mia moglie.

«Ma sei sicuro?»

«Assolutamente sì. Ce ne andiamo in Toscana. Ho appena comunicato le dimissioni. Torniamo a casa, facciamo le valige e, non appena Sara uscirà da scuola, partiamo. Va bene? Lungo la strada cerchiamo di capire dove potremo sistemarci, le soluzioni non ci mancano.»

L’entusiasmo dall’altra parte della linea telefonica non lascia dubbi sulla convinzione con cui la mia proposta è stata accolta.

Presto dovremo preoccuparci di come andare avanti, perché i soldi sono sempre un problema. Nel frattempo, l’idea di vivere nella realtà il mio viaggio onirico, questa volta con le due donne che arricchiscono la mia esistenza, restituisce al mio spirito stanco ed appesantito la leggerezza e la voglia di vivere che gli mancava ormai da tempo.