Diego si sentì finalmente libero.
Nuotò con energia fino ad allontanarsi dal bagnasciuga preso d’assalto dagli altri turisti. Raggiunse un punto in cui le acque della riviera romagnola erano sufficientemente limpide, restando a galla per guardare verso la riva e scorgere gli amici sotto agli ombrelloni. Alzò il braccio per richiamare la loro attenzione, ricevendo in risposta una salva di urla e diti medi.
Si sentiva un po’ stanco dopo la nuotata, perciò decise di rientrare dove riuscisse a toccare con i piedi, cosa che in effetti accadde già a parecchi metri dalla riva. Emerse dalle acque quando fu ormai a pochi passi dalla sabbia asciutta, sentendosi un vero uomo mentre il mare scivolava via dolcemente dal suo corpo di ventenne.
«Ehi, Diego, invece di fare il figo cerca di venire qua sotto con noi, che mi sono rotto di giocare con il morto.»
Decise di accogliere l’invito dell’amico ad unirsi ad una partita di briscola chiamata. D’altra parte, erano le quattro di pomeriggio: troppo presto per iniziare con l’aperitivo, ma l’ora perfetta per qualche giro di carte e di birre sotto l’ombrellone.
«Che ti ridi, Diego? Hai visto qualche polla con le branchie e la coda mentre nuotavi?»
Il ragazzo non si era accorto di avere un sorriso ebete stampato in faccia. La ragione era molto semplice: era orgoglioso di sé stesso.
Nessuno aveva capito quanta fatica gli fosse costato superare la fine della sua storia con Pamela, la ragazza con cui stava dalla terza media e che ad un certo punto del loro quarto anni insieme aveva deciso di voler fare altre esperienze.
Che poi quelle esperienze avessero un nome ed un cognome preciso, Diego lo aveva capito benissimo: non era così stupido da non accorgersi di come si guardasse di nascosto con un suo compagno di classe, più alto e con più personalità di quanto Diego stesso avrebbe mai potuto sperare di mettere in mostra, nonostante quel ragazzo avesse come Pamela un anno in meno di lui. Semplicemente, non aveva potuto farci nulla: la sua autostima era sempre stata piuttosto bassa, aveva perciò sperato che la ragazza con cui era convinto di arrivare fino al matrimonio stesse solo cercando di farlo ingelosire. Alla fine effettivamente ce l’aveva fatta: ogni volta che Diego li incrociava in giro per il paese, notando la lingua del fighetto persa ad esplorare luoghi di cui lui in anni non aveva nemmeno bussato alla porta, la sua gelosia schizzava a livelli tali da riportare in voga l’anticiclone africano nel bel mezzo di una fredda giornata di pioggia autunnale.
Da allora era stato un po’ come se si fosse gettato a letto, senza mai trovare la forza per rialzarsi. Faceva ogni cosa controvoglia: mangiare, seguire lezione, uscire a bere con gli amici, niente gli dava più emozioni. I suoi avevano pensato che fosse stata solo colpa di una botta di adolescenza dietro al coppino, perciò non avevano fatto altro che prenderlo a male parole quando le sue medie voti erano precipitate in tutte le materie fino alla bocciatura, al terzo anno di liceo. Proprio lui, che se era sempre stato negato con lo sport e poco portato per socializzare, aveva almeno dimostrato di potersela cavare negli studi.
I suoi vecchi avevano pensato di fargli cambiare scuola, mandandolo in un istituto tecnico.
«Magari con delle materie più pratiche ti sentirai più a tuo agio.»
Non lo avessero mai detto. Che poi la maggior parte dei suoi amici frequentava quel tipo di scuola, perciò lo avrebbe anche fatto volentieri, ma non sopportava che proprio loro non capissero il treno che gli era passato sopra la testa.
Era trascorso quasi un anno dalla fine della storia con Pamela, eppure le parole dei suoi genitori furono in grado di tirare fuori tutta la frustrazione che aveva dentro. Scappò di casa senza pensarci un attimo.
Lo ritrovarono gli amici dopo tre giorni nella piazza di un paese vicino, mentre stava seduto con un panino che non era proprio appena preparato. Guardava nel vuoto, seduto per terra con la schiena appoggiata ad uno dei monumenti più brutti del mondo, giusto per aggiungere un po’ di tristezza ad una scena che era già di per sé deprimente.
Lo riportarono a casa, dove i genitori gli fecero fare un test per vedere se in quei giorni si fosse drogato. Lui quasi non se ne accorse, come non si rese conto dell’anno successivo in cui, quasi in folle, passò per il rotto della cuffia il terzo anno di liceo.
Poi, un’estate, incontrò un tizio fuori da un bar.
Aveva compiuto da poco diciotto anni, ma non aveva voluto festeggiare né in famiglia, né con la compagnia. Era comunque partito per le vacanze al mare, giusto perché era stato prelevato da casa con la forza.
Erano in Riviera, lui e gli amici che se lo portavano dietro più per pietà che per compagnia, visto che non parlava quasi mai e non spiccicava un sorriso neanche se minacciavano di pagarlo. Cosa che ogni tanto in effetti facevano, dopo il terzo giro di medie, ma lui non se la prendeva, perché in effetti stava almeno una media avanti a tutti.
Ecco, una di quelle sere stava seduto in silenzio come sempre, fuori da un bar di Rimini. All’improvviso arrivò un uomo molto più grande di loro, con i capelli ricci lunghi fino alle spalle, magro come un chiodo, una improbabile camicetta blu a fiori e dei pantaloncini kaki a mezza gamba. La testimonianza sulle scarpe non è giunta con certezza fino ai nostri giorni, ma qualcuno dice che fossero infradito, se vi può interessare.
Il tizio iniziò a parlare fitto con Diego. La cosa strana è che non sembrava più ubriaco o fumato di lui, ma insisteva per cercare di farlo parlare, o almeno di tirarlo fuori dal suo stato catatonico. Andò avanti per quasi un’ora, mentre gli amici del ragazzo iniziavano a chiedersi chi diamine fosse quel tizio e cosa volesse da lui.
Sì, beh, forse avevano impiegato un po’ troppo a farsi queste domande, ma ormai erano abituati a lasciare Diego in disparte.
Fatto sta che, dopo appunto quasi un’ora di chiacchiere fitte a senso unico, il nostro protagonista si alzò e cacciò un grido che i poliziotti di tutto il circondario arrivarono a frotte in trenta secondi, ma solo per vederlo correre via come un pazzo mentre si toglieva la polo e la gettava in mezzo alla strada.
Ritornò al bar dopo dieci minuti, fradicio dopo essersi gettato in mare: il tizio era ancora lì, e Diego lo abbracciò sorridendo.
Nessuno seppe mai cosa quell’uomo avesse detto, perché Diego non lo ha mai confessato, ma il ragazzo era improvvisamente rinato. Aveva trovato dentro di sé la forza che gli serviva, oltre a una bronchite che si prese dopo essere rimasto tutta la sera bagnato e senza maglietta.
Impiegò comunque due anni per tornare davvero quello di prima, forse anche un po’ meglio, perché acquisì poco per volta più autostima. Dopo avere concluso la maturità con un bel voto ed essersi iscritto all’università, si concesse la vacanza in Riviera che stavamo descrivendo all’inizio di questa storia.
Dicevamo che Diego era appena rientrato a riva dopo una nuotata al largo. Arrivò sotto l’ombrellone dando una generosa scrollata alla testa bagnata, inondando birre e carte per far saltare la mosca al naso agli amici, che lo rincorsero in giro per la spiaggia facendo a loro volta saltare la mosca al naso agli altri turisti. Tutti in fondo volevano divertirsi, ma anche se ridevano alla fine raggiunsero Diego e gliele suonarono. Pazienza, anche lui stava ridendo, ed in fondo era un ventenne in forma, perciò non si accorse quasi di nulla.
Chi si accorse di qualcosa fu una ragazza parecchio carina, che guarda caso si chiamava Pamela, ma non c’entrava nulla con la ex di Diego. Lo aveva visto lottare per gioco con gli amici, ma soprattutto lo aveva visto sorridere.
Quando i loro occhi si erano incrociati, il cuore di entrambi aveva perso un battito nello stesso momento.
Penso siate abbastanza abituati a questo tipo di racconti da sapere come andò a finire: Diego si accorse all’improvviso di avere perso anni dietro alla Pamela sbagliata, ma soprattutto capì una volta per tutte che non importa cosa pensino gli altri di te.
E’ nel momento in cui credi davvero in te stesso che il mondo realizza finalmente quanto vali.