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Lo scrittore dilettante

Stavo per scrivere un articolo che spiegasse chi sia dal mio punto di vista un scrittore, ma poi mi sono reso conto di non averne il diritto. La prima ragione è che ho compiuto scelte di vita che mi hanno portato a relegare quest’arte ad un ruolo del tutto secondario. La seconda è che, travolto dalla quotidianità, da anni ormai sono anche un pessimo lettore.

La mia umile punizione per questa iniziale arroganza è sublimata dall’aggettivo che conclude il titolo: dilettante. E’ un termine in cui mi riconosco, e che definirei così: adeguatamente umile, con tanta voglia di fare sacrifici, ma senza prendermi troppo sul serio.

Ci sono pro e contro nell’essere uno scrittore dilettante.

In senso positivo, l’era digitale offre certamente grandi opportunità. Si possono pubblicare le peggiori porcate senza bisogno di avere un editore a supporto, scoprendo magari con meraviglia dell’autore stesso che in fondo non si tratta di opere così indegne di essere lette. Gli e-book inoltre, pur non avendo nemmeno lontanamente il fascino di un libro cartaceo, per lo scrittore dilettante hanno un costo prossimo o addirittura pari a zero. Insomma, niente più anni spesi a sognare di vedere la propria opera prendere la forma di un vero e proprio romanzo, in attesa dello sguardo benevolo di un editore: si procede direttamente con la distribuzione negli store più battuti della rete, ricevendo in poche settimane dopo il leggendario visto si stampi il proprio capolavoro comodamente a casa, traboccante della fragranza della carta appena sfornata dalla tipografia.

Per contro, internet è anche croce per le opportunità, non solo delizia. Qualsiasi dilettante, persino il sottoscritto, può essere presente nei negozi virtuali con più di un’opera (ne ho già in bibliografia addirittura tre!). Essere presenti, tuttavia, non significa essere visibili. Non si tratta di una questione di orgoglio: il contrario di visibilità è letteralmente l’essere invisibili. Un autore che abbia poche vendite sa che le sue opere saranno sempre in fondo alle principali pagine di ricerca per categoria, quali il filtro sulle ultime novità in uscita, oppure la scelta per genere. Questo accade sempre, a meno che non si inverta la rotta tramite promozioni sui social oppure attività che rilancino l’interesse per sé o per la propria opera, come ad esempio un evento di presentazione. Ma servono due risorse su cui lo scrittore dilettante è parsimonioso, soprattutto per la conseguenza numero tre della definizione che ho esposto all’inizio. Lo ricordate? Bravi: non prendersi troppo sul serio.

Giusto, non ho elencato le due risorse, anche se è piuttosto ovvio: il tempo, normalmente dedicato alla propria occupazione principale ed agli affetti, oltre che a continuare a generare opere che non si avrà il tempo di promuovere, ed i soldi, che se investiti in notevole quantità potrebbero significare che si stia dando davvero troppa importanza a questa passione (punto uno: umiltà).

Avrete forse notato che nei capoversi precedenti ho considerato due aspetti su tre della definizione di dilettante, in questo caso inteso per la professione di scrittore. Ne manca uno, quello relativo alla voglia di compiere qualche sacrificio in onore della propria adorazione per quest’arte. Faccio un esempio che mi riguarda direttamente: quando sono nel pieno della creazione, punto la sveglia per alzarmi almeno un’ora prima rispetto al normale orario richiesto dal mio lavoro, così che anche in settimana il mio desiderio di non interrompere il flusso creativo venga appagato; oppure posso attendere la sera, dopo avere cenato in famiglia, avere sistemato la cucina e la raccolta differenziata, ed infine avere dato la buonanotte a mia figlia. In entrambi i casi, la scarsa lucidità ed il bisogno di rilassarmi potrebbero farmi desistere, ma non appena la bozza dell’opera che sta prendendo vita tra le mie mani si apre davanti a me, potrei andare avanti a scrivere per ore senza accorgermene.

Per chi non viva la stessa passione per un’arte creativa, si tratta di aspetti quasi incomprensibili.

Chiudo con una piccola riflessione, rubata dal mio ultimo romanzo.

Massimo, il protagonista de “Il profumo della carta del pane“, impegnato in un bilancio della sua esistenza capisce di non avere mai spinto sull’acceleratore di una possibile carriera come scrittore (guarda caso) perché, molto semplicemente, se non si tenta non si può fallire. A lui ho regalato il talento, ma anche delle prospettive chiare fin dall’età scolastica, che purtroppo al momento giusto non ha avuto il coraggio di seguire per farne il suo futuro.

Ebbene, lasciando tranquillo Massimo per evitare che sfugga qualche spoiler, non è mai troppo tardi per lasciarsi guidare dalla voglia di vivere le proprie passioni. L’importante è ricordare: umiltà, voglia di fare sacrifici, ma senza prendersi troppo sul serio.

Sono le regole base che ho utilizzato per definire uno scrittore dilettante. Allo stesso tempo, possono anche essere il punto di partenza per ognuno di noi, per decollare verso quegli obiettivi più alti che il talento, il coraggio e la costanza possono permetterci di raggiungere. Ma questa, è ovviamente un’altra storia.

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Riflessioni

La doppia fine di un romanzo

Uno scrittore completa un romanzo non una, ma ben due volte. Entrambe generano emozioni forti e contrastanti, ma sensibilmente differenti.

La prima conclusione è quella della stesura vera e propria. L’autore sa grossomodo come andrà a finire la sua storia, ma solo quando il torrente delle parole finirà di sgorgare dalle sue mani avrà realmente e concretamente chiaro il destino dei suoi personaggi.

Per quanto la prima stesura possa anche essere relativamente distante dalla versione definitiva, quando si mette nero su bianco per la prima volta la parola fine la sensazione sarà quella di aver perso improvvisamente i contatti con alcuni vecchi e cari amici. Malinconia e smarrimento sono il primo violento impatto sull’umore dello scrittore, in stridente contrasto con quell’energia incredibile che fino a pochi istanti prima cattura le nostre mani quando capiamo che con un ultimo, piccolo sforzo creativo, la nostra opera sta finalmente giungendo a conclusione.

La soddisfazione professionale da una parte, il vuoto emotivo dall’altra. Emozioni che aiutano a capire quanto abbiamo messo di noi stessi nel concepimento di quelle pagine su cui abbiamo speso giorni e notti.

La seconda volta in cui si dichiara la fine di un romanzo, è quella in cui si decide che la duecentomilionesima revisione è quella giusta. La verità è che uno scrittore non darebbe mai alle stampe un’opera, perché ad ogni rilettura, sua o da parte di un fidato consulente, compare sempre quella virgola fuori posto, oppure quel paragrafo in cui un personaggio perde di consistenza.

D’altronde, un autore è pur sempre un essere umano. Vive come tutti giornate positive ed altre meno buone, sperimenta momenti di fiducia nei confronti dell’umanità e situazioni in cui si isolerebbe in un monastero in vetta all’Himalaya. Tutto ciò condiziona il modo di rileggere la nostra stessa creazione, portandoci a giudicare in modo leggermente diverso ciò che abbiamo scelto di mettere nero su bianco.

Alla fine, tuttavia, giunge il momento in cui capiamo di dover dichiarare conclusa la nostra opera. E’ il giusto premio per noi stessi, i nostri personaggi meritano di prendere vita di fronte agli occhi dei lettori. Ma quanto è difficile accettare di non poterci ripensare per un altro migliaio di riletture.

In conclusione, la narrativa è un incubatrice di emozioni, non solo per il lettore, ma anche e soprattutto per l’autore dell’opera. Sono sensazioni complesse e spesso contrastanti, ma che rendono piena l’esperienza offerta da quest’arte meravigliosa.