Uno scrittore completa un romanzo non una, ma ben due volte. Entrambe generano emozioni forti e contrastanti, ma sensibilmente differenti.
La prima conclusione è quella della stesura vera e propria. L’autore sa grossomodo come andrà a finire la sua storia, ma solo quando il torrente delle parole finirà di sgorgare dalle sue mani avrà realmente e concretamente chiaro il destino dei suoi personaggi.
Per quanto la prima stesura possa anche essere relativamente distante dalla versione definitiva, quando si mette nero su bianco per la prima volta la parola fine la sensazione sarà quella di aver perso improvvisamente i contatti con alcuni vecchi e cari amici. Malinconia e smarrimento sono il primo violento impatto sull’umore dello scrittore, in stridente contrasto con quell’energia incredibile che fino a pochi istanti prima cattura le nostre mani quando capiamo che con un ultimo, piccolo sforzo creativo, la nostra opera sta finalmente giungendo a conclusione.
La soddisfazione professionale da una parte, il vuoto emotivo dall’altra. Emozioni che aiutano a capire quanto abbiamo messo di noi stessi nel concepimento di quelle pagine su cui abbiamo speso giorni e notti.
La seconda volta in cui si dichiara la fine di un romanzo, è quella in cui si decide che la duecentomilionesima revisione è quella giusta. La verità è che uno scrittore non darebbe mai alle stampe un’opera, perché ad ogni rilettura, sua o da parte di un fidato consulente, compare sempre quella virgola fuori posto, oppure quel paragrafo in cui un personaggio perde di consistenza.
D’altronde, un autore è pur sempre un essere umano. Vive come tutti giornate positive ed altre meno buone, sperimenta momenti di fiducia nei confronti dell’umanità e situazioni in cui si isolerebbe in un monastero in vetta all’Himalaya. Tutto ciò condiziona il modo di rileggere la nostra stessa creazione, portandoci a giudicare in modo leggermente diverso ciò che abbiamo scelto di mettere nero su bianco.
Alla fine, tuttavia, giunge il momento in cui capiamo di dover dichiarare conclusa la nostra opera. E’ il giusto premio per noi stessi, i nostri personaggi meritano di prendere vita di fronte agli occhi dei lettori. Ma quanto è difficile accettare di non poterci ripensare per un altro migliaio di riletture.
In conclusione, la narrativa è un incubatrice di emozioni, non solo per il lettore, ma anche e soprattutto per l’autore dell’opera. Sono sensazioni complesse e spesso contrastanti, ma che rendono piena l’esperienza offerta da quest’arte meravigliosa.