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Racconti brevi

L’amour à Paris

Thomas uscì dal suo hotel con passo deciso. Aveva solo un’ora di tempo prima di dover prendere la metropolitana in Blanche, altrimenti sarebbe arrivato in ritardo alla riunione in un palazzo vicino a Place des Pyramides, nel quartiere de La Défense. Prima di allora voleva assolutamente salire sulla collina di Montmartre.

La vista della città dalla Basilica del Sacré-Cœur lo aiutava a schiarirsi le idee, nonostante dovesse lottare con la folla di turisti a qualsiasi ora del giorno per aprirsi un pertugio. Era un sacrificio che compiva volentieri, così come il chilometro abbondante di strade che percorreva a piedi dal Kipling Hotel fino alla sua meta, e di nuovo dalla Basilica alla metropolitana. Ogni volta in cui aveva il privilegio di trascorrere qualche giorno di lavoro a Parigi, non trovava modo migliore per avviare una giornata rispetto a quella passeggiata.

Quel giorno, tuttavia, un imprevisto rischiò di scombinargli i piani.

Camminava a testa bassa, immerso nella lettura delle e-mail ricevute dalla sera prima fino a quel momento. Aveva compiuto solo pochi passi, quando andò a scontrarsi con una donna appena uscita dall’Hôtel Joséphine, che si trovava proprio di fronte al suo albergo, esattamente sul lato opposto di Rue de Calais. La colpa era evidentemente della sua distrazione, perciò si profuse immediatamente in una serie di scuse particolarmente sentite.

«Mi perdoni, mademoiselle, questi maledetti smartphone ci spingono a comportamenti del tutto maleducati e pericolosi, come camminare senza guardare dove si mettono i piedi. Le ho fatto male?»

La donna che era stata vittima della sua distrazione era riuscita miracolosamente a non cadere. Sembrava tuttavia scossa, tanto che impiegò qualche istante prima di rispondere: «No, non si preoccupi, sto bene.»

«È sicura? Vuole che l’aiuti a rientrare in albergo? Oppure preferisce che le offra qualcosa da bere per riprendersi?»

«Davvero, non importa. La ringrazio per l’interessamento, mi scusi ma ora devo proprio andare.»

Thomas non era convinto. Il volto della donna tradiva davvero poca serenità, ma forse la ragione non era limitata a quanto appena accaduto. Si costrinse ad alzare le spalle ed a riprendere la sua passeggiata, pur dispiaciuto di avere probabilmente rovinato la mattinata ad una innocente sconosciuta.

Raggiunse Montmarte ed il piazzale della Basilica solo un paio di minuti più tardi rispetto alla rigida scaletta che si era prefissato di rispettare. Aveva intenzione di dedicare venti minuti alla contemplazione della vista, perciò avrebbe potuto tranquillamente recuperare quel piccolo ritardo riducendo la sua sosta in quel luogo incantevole.

Esaurito il tempo a sua disposizione, si costrinse a malincuore a riprendere la strada verso la metropolitana, quando all’angolo opposto della scalinata gli parve di scorgere la donna dell’incidente di quella mattina. Non aveva tempo da dedicarle, ma osservandola da lontano non poté fare a meno di notare la sua espressione, se possibile ancora più triste e sconvolta rispetto a venti minuti prima. Non c’era più dubbio sul fatto che quanto accaduto non fosse sufficiente a giustificare il suo umore.

Ancora più mortificato per avere probabilmente aggravato una situazione emotiva già complicata, Thomas affrettò il passo. Avrebbe faticato a concentrarsi sul lavoro, nonostante la contemplazione della vista dal Sacré-Cœur lo avesse come sempre aiutato a definire gli obbiettivi della giornata.

Quella sera rientrò al Kipling moderatamente soddisfatto. La trattativa commerciale che stava portando avanti era particolarmente complessa, ma stava procedendo anche meglio del previsto. Decise di concedersi un drink prima di ritirarsi, spizzicando qualcosa per evitare di sentire il bisogno di una vera e propria cena. Provò a cercare un posto da Pojo, uno dei più apprezzati bistrot della zona. Qui servivano anche delle ottime tapas. Fortunatamente, si era appena liberato un tavolo.

Thomas continuò a controllare le e-mail fino a che non arrivò una cameriera a prendere la sua ordinazione. Non aveva nemmeno guardato il menu, perché sapeva perfettamente cosa ordinare. Doveva essere almeno la quinta volta in cui tornava in quel locale, e non si era mai trovato male.

Mentre stava sorseggiando il suo drink, dieci minuti più tardi, vide entrare una donna. Era ancora lei, la stessa contro cui aveva urtato quella mattina. Non c’erano altri posti disponibili nel locale, perciò la cameriera fu costretta a proporle di attendere. La donna rifiutò, abbandonando il bistrot.

Thomas non poté fare a meno di pensare che per lei fosse davvero una giornata storta. Entrando dalla porta, aveva notato in lei un’espressione leggermente più serena rispetto a quella mattina: forse la prospettiva della cena le aveva restituito un po’ di buonumore. Naturalmente, quella sfumatura di ottimismo era del tutto scomparsa dopo aver constatato che per quella sera non avrebbe potuto consumare un pasto in quel locale.

L’uomo si alzò di scatto dalla sedia, tanto che per poco non travolse il drink che aveva appena appoggiato al tavolo. Avvisò la cameriera che sarebbe tornato subito, quindi si precipitò in strada per cercare la donna. La vide pochi passi più avanti.

«Mi scusi! Lei, che è appena uscita da Pojo!»

La donna si voltò con espressione atterrita. Evidentemente, nel pessimismo che sembrava pervaderla, doveva essersi convinta di avere combinato qualche guaio senza essersene resa conto. Quando riconobbe l’uomo di quella mattina, restò sorpresa.

Thomas proseguì, una volta ottenuta la sua attenzione: «Mi perdoni se ho gridato, ma non volevo che se ne andasse. Se mi permette, vorrei sdebitarmi per questa mattina offrendomi di averla ospite del mio tavolo, visto che purtroppo non ci sono posti liberi nel locale. Se non lo gradirà, potremo anche non conversare, in fondo per me è già abbastanza tardi e non credo di fermarmi ancora per molto.»

La donna esitò per qualche istante, tuttavia capì che si trattava di un puro atto di cortesia da parte di un uomo con un concetto vecchio stile della galanteria. In fondo, non aveva nulla da temere, se non di annoiarsi terribilmente. Sempre meglio che trascorrere un’altra ora a struggersi in solitudine.

«D’accordo, accetto il suo invito.»

Thomas si sforzò di trattenere un gesto di tripudio. Era decisamente sollevato, la sua coscienza lo avrebbe tormentato per giorni al pensiero di quanto accaduto quella mattina, se non avesse avuto occasione di porvi rimedio.

Tornarono nel locale, con buona pace della cameriera che iniziava a preoccuparsi di essere stata truffata da un cliente datosi alla fuga. L’uomo le spiegò l’intenzione di aggiungere un’ospite al suo tavolo, così la sua compagna per quella sera poté accomodarsi.

«Mi permetta quantomeno di presentarmi: il mio nome è Thomas, e vengo da Watford, una cittadina a nord di Londra, in Inghilterra. Sono a Parigi per lavoro, mi tratterrò fino a domani sera.»

Si strinsero la mano. La donna esitò per qualche istante, prima di ricambiare la presentazione: «Io sono Isabella ed abito a Toledo, in Spagna. Molto piacere.»

La donna per l’intera serata non accennò mai a spiegare la sua presenza in città. La ragione doveva essere legata al suo umore, che tornava a velarle lo sguardo ogniqualvolta Thomas facesse cenno alla romanticità della Ville Lumière. Evidentemente, doveva aver sostenuto una grave perdita affettiva che ancora la faceva soffrire.

Parlarono del più e del meno per poco più di un’ora. Thomas era solito mettere a proprio agio i commensali con un uso sapiente dell’ironia, tuttavia la cortina difensiva di Isabella non cedette mai, anche se l’uomo non demorse per non lasciare spazio a silenzi imbarazzanti.

Si salutarono, ringraziandosi vicendevolmente per la compagnia ed augurandosi una buona notte.

Il giorno seguente, il tempo si guastò.

Per Thomas non fu un grosso problema, fatta eccezione per la mancata visita al Sacré-Cœur. Le sue riunioni si svolsero al chiuso, inoltre nel pomeriggio ebbe un paio d’ore libere in più del previsto, così sfidò la sorte e si presentò al Louvre, sperando di riuscire ad entrare. Ebbe l’accortezza di acquistare il suo biglietto sul sito del museo, mentre si dirigeva verso la fermata della metropolitana di “Palais Royal – Musée du Louvre”, constatando in tal modo di dover solo pazientare, ma che certamente avrebbe avuto la possibilità di accedere.

Camminò lungo la Grande Galerie, colma di opere d’arte pittorica. Si fermò a contemplare un celebre lavoro del Ghirlandaio, denominato Ritratto di vecchio con nipote. Il sapiente uso del colore e la più che probabile allegoria del tempo che scorre lo colpirono particolarmente. Adorava i pittori rinascimentali italiani, ma ciò che lo stupiva ancor più era la loro capacità di sorprenderlo continuamente, nonostante i secoli di distanza e la potente anestesia verso i prodigi artistici di un tempo, creata nell’uomo moderno dalla tecnologia.

Isabella giunse alle sue spalle. Non sapeva se interagire con quell’uomo con cui continuava ad incrociare il passo, oppure se attendere che si spostasse verso l’opera successiva, dovendo tuttavia a quel punto adeguare tutto il resto della sua visita ai movimenti di Thomas per non farsi scoprire. Inizialmente valutò anche l’idea di abbandonare il museo, ma in fondo non aveva intenzione di far sì che il suo periodo di malumore rovinasse a lei stessa l’incontro con quei capolavori, a cui teneva moltissimo.

Si decise a farsi avanti: «Un’opera decisamente singolare, non trova?»

Thomas trasalì, capendo che quelle parole erano rivolte a lui: «Mademoiselle Isabella, non avevo notato la sua presenza. Sono rimasto affascinato dal contrasto fra il volto del nonno deturpato dall’età, e la bellezza perfetta del nipote. Se il Ghirlandaio potesse parlarci, probabilmente spiegherebbe davvero di aver inteso rappresentare lo scorrere degli anni.» Abbandonò il quadro con lo sguardo, voltandosi verso Isabella: «Anche lei in visita al Louvre?»

«Sì. Ero convinta che lei sarebbe partito questa sera.»

«Esattamente, il mio treno partirà alle nove di questa sera da Paris Nord. Grazie ad una riunione annullata questo pomeriggio, ho potuto ricavare del tempo da dedicare all’ammirazione di questi capolavori.»

«Beh, direi che è stata una fortuna.»

«Indubbiamente.»

Per qualche istante, entrambi lasciarono viaggiare il pensiero nell’interpretazione di quelle parole. Ragionarono sui due possibili significati, ossia se la persona di fronte a loro si riferisse con la definizione di fortuna all’occasione della visita al museo, oppure alla possibilità che avevano avuto di incontrarsi di nuovo. Era infatti evidente il cambiamento nell’atteggiamento sociale di Isabelle, una reazione positiva ai suoi stessi turbamenti che rendeva la sua compagnia notevolmente più accattivante.

Thomas osò formulare una proposta: «Sarebbe troppo chiederle di passeggiare insieme lungo questi corridoi? Ho sperimentato in passato quanto una visione in compagnia delle opere d’arte aiuti a mettere in luce particolari che altrimenti passerebbero inosservati.»

Isabella rispose di slancio: «Con piacere!» Si vergognò un po’ per quell’entusiasmo che avrebbe potuto essere male interpretato. In fondo, era semplicemente contenta del fatto che quell’uomo la stesse aiutando ad affrontare la sua settimana parigina con minor pessimismo nei confronti dell’umanità, soprattutto per quanto riguardava la metà maschile.

Esplorarono insieme le gallerie, dimenticandosi dello scorrere del tempo. Isabella scoprì quanto quell’uomo fosse in grado di mettere a proprio agio una persona in sua compagnia, mentre Thomas capì che la risata della donna che gli aveva concesso il privilegio di abbattere le sue difese emotive, avrebbe potuto fargli piacevolmente male al cuore.

Si lasciarono alla fine del tour. Non cenarono insieme, perché lei era un po’ stanca e lui non voleva correre il rischio di distrarsi continuamente nel tenere d’occhio l’orologio. Non si scambiarono i rispettivi numeri di telefono: il destino li aveva fatti incrociare più volte in quei due giorni, se fosse stato scritto nel loro futuro che si sarebbero rivisti, sarebbe semplicemente accaduto.

Rimasta sola, Isabella non poté fare a meno di pensare che il giorno dopo avrebbe sofferto terribilmente la solitudine. Meglio così, era a Parigi per espiare le colpe della sua dabbenaggine, avrebbe semplicemente ripreso da dove si era interrotta.

Thomas invece vide la sua serata virare al peggio. Dopo aver capito quanto la compagnia di quella donna avesse rischiato di rompere il giuramento che aveva fatto a sé stesso, si era trovato di fronte al cartello dei treni alla Gare Paris Nord, dove il suo viaggio di ritorno a casa risultava annullato. Provò ad informarsi, ma fino al giorno dopo non c’erano altre soluzioni disponibili.

Chiamò il Kipling, che tuttavia era al completo per quella notte. Mentre pensava a come organizzarsi, il personale dell’albergo lo richiamò per segnalargli che l’Hôtel Joséphine, facente parte della stessa catena, aveva una stanza a disposizione, a patto che la riservasse per l’intero weekend. Thomas sospirò e si arrese all’idea di trascorrere lontano da casa altri due giorni. Se non altro, il mattino successivo avrebbe potuto rimediare alla mancata visita a Montmartre.

Il mattino seguente, entrambi gli ospiti dell’hotel uscirono dalle rispettive stanze alle otto in punto. Non erano amanti delle lunghe dormite ed erano svegli da circa un’ora, inconsapevoli della vicinanza delle loro camere.

«Mademoiselle. Non pensavo di avere il privilegio di incontrarla già a quest’ora.»

Isabella adottò l’espressione di chi creda di aver visto un fantasma: «Cosa ci fa in questo albergo, signor Thomas?»

«Ho avuto la sventura di scoprire la cancellazione del mio treno solo una volta giunto in stazione. Purtroppo, il mio amato Kipling era al completo, tuttavia mi è stata proposta questa sistemazione, a patto che mi fermi fino a domani.»

La donna non sembrò convinta. Era evidente il timore di essersi imbattuta in un molestatore, che inventasse bugie pur di starle vicino.

Thomas ne colse l’imbarazzo, affrettandosi a precisare: «Ad ogni modo non si preoccupi, non la distoglierò dai suoi programmi per questi due giorni.»

Isabella non si premurò di rispondere in tono conciliante, perché non era ancora affatto persuasa.

Si fecero compagnia durante la colazione, anche se parlarono molto poco. Lei aveva bisogno di un po’ di tempo e di caffeina, prima di interagire con altri esseri umani. Lui era intento a controllare la corrispondenza del lavoro, quasi del tutto ignorata dal momento in cui aveva deciso di visitare il Louvre.

Thomas s’incamminò verso la sua solita meta mattutina, a cui decise di dedicare più tempo rispetto all’abitudine. Quel giorno non aveva appuntamenti di lavoro che rischiavano di vederlo tardare, perciò il suo pensiero che vagava nel cielo sopra Parigi si concentrò su altri obbiettivi.

Diede voce al suo turbamento: «Cosa devo fare, Laura? Non avrei mai voluto che arrivasse questo momento, eppure il mio cuore mi dice altro. Se solo tu potessi darmi un segno.»

La mattinata era nuvolosa, tuttavia all’improvviso il sole fece capolino nel bel mezzo del grigiore. Lo accolse come il cenno di risposta che attendeva.

Nel frattempo, Isabella stava passeggiando per altri luoghi. Cercava di concentrarsi su ciò che aveva perduto e su quanto si sentisse ingenua. Non riusciva tuttavia ad evitare di sentirsi sola. Forse, quell’uomo tanto cortese avrebbe potuto aiutarla a riflettere su sé stessa. A meno che non lo avesse visto sbucare all’improvviso da dietro un angolo: in quel caso, lo avrebbe probabilmente denunciato alle autorità.

Non si rividero fino al tardo pomeriggio, quando si incrociarono nella hall dell’albergo.

«Mademoiselle, com’è andata la sua mattinata?»

«Discretamente, anche se devo dire che la visita al Louvre mi aveva messo in tutt’altra disposizione d’umore. E la sua giornata?»

«La definirei illuminante, anche se non sono ancora convinto di dover seguire l’ispirazione che ho avuto.»

Isabella si lasciò andare come non avrebbe saputo prevedere razionalmente: «Vuole raccontarmelo di fronte ad un aperitivo? Parlarne con qualcuno potrebbe aiutarla a fare chiarezza nei suoi pensieri.»

Thomas rimase sorpreso. Essendo la donna la causa di una parte importante di ciò che lo turbava, non era sicuro di riuscire ad aprirsi con lei. Avrebbe dovuto attingere alle sue capacità di mediatore commerciale.

«Molto volentieri, a patto che non lasci parlare solo me.»

«Promesso.»

Si spostarono in Place Adolphe Max al bar Le Vintimille, dove accompagnarono i drink con pizza e taglieri di formaggi.

Qualche goccia d’alcool in più dell’usuale sciolse le loro lingue, tanto che Isabella iniziò a raccontare la ragione dei suoi malumori.

«Forse lei non se n’è accorto, signor Thomas, ma io sono in viaggio di nozze.»

«Caspita, deve aver sposato l’uomo più piccolo del Mondo. Lo tiene forse nel taschino della camicia?»

«No, ho preferito lasciarlo direttamente a casa.»

«Curioso viaggio di nozze, davvero.»

Gli occhi di Isabella furono velati dalle lacrime: «Mi sono sentita una stupida, un’ingenua, davvero una nullità quando ho scoperto quello che stava facendo sotto al mio naso.»

«Una persona che fa piangere una donna per il suo comportamento, non può essere definito un uomo.»

«Sono d’accordo. Pensi che eravamo fidanzati da quando eravamo compagni di scuola, a dodici anni. Certo, ci sono stati momenti di incomprensione. È normale quando si cresce. Tuttavia, non ci siamo mai lasciati per più di un mese, e soprattutto dalla maggiore età siamo sempre stati insieme. Eravamo certi di essere fatti l’uno per l’altra, non avevamo bisogno di cercare qualcos’altro in altre persone. Sembrava tutto perfetto, forse troppo. Qualche mese fa, dopo aver preparato tutto per il matrimonio e prenotato il viaggio di nozze a Parigi, vengo a scoprire da un messaggio mandato da un cellulare che non conoscevo che quel maledetto ha una relazione con un’altra donna. All’inizio pensavo che fosse uno scherzo di cattivo gusto, magari addirittura un qualche genere di esca per attirarmi verso il mio addio al nubilato. Invece, a quel numero non mi ha mai risposto nessuno.»

«Come ha potuto essere sicura che fosse la verità? Ha affrontato il suo fidanzato?»

«No, ho chiesto consiglio alla mia più cara amica. L’ho vista quasi svenire di fronte ai miei occhi, così ho capito che non solo lei sapeva tutto, ma che addirittura lui mi aveva tradito anche con lei! Al momento in cui me ne sono andata da Toledo per venire qui a godermi almeno il viaggio in questa città che adoro, ho scoperto quattro diverse infedeltà da parte dell’uomo della mia vita, e solamente negli ultimi tre anni. Siamo stati insieme per diciotto anni: com’è possibile che non mi sia accorta di nulla? Quante volte può avermi tradito, sentendosi sempre più libero di fare i suoi comodi ad ogni occasione in cui la passava liscia?»

Isabella stava alzando la voce, un’esposizione molto diversa rispetto a quella assolutamente più sobria della sera al Pojo. Metà del piccolo locale si voltò nella sua direzione. Nonostante l’ebrezza donata dall’alcool, lei se ne accorse e si tranquillizzò.

Fu Thomas a prendere in mano il discorso: «Devo ammettere che di storie come la sua ne ho sentite diverse, ma nessuna che avesse una durata tale nella relazione. Diciott’anni di fidanzamento da quando ne aveva dodici, perciò lei ha trent’anni, è corretto?»

«Sì, giusto, anche se fra un mese saranno trentuno.»

«Posso solo dirle che è molto presto per perdere fiducia nel genere maschile. La tristezza che ha provato quando ci siamo incontrati il primo giorno e la rabbia di questa sera dimostrano che lei si sente in colpa con sé stessa, essendo trascorsi ormai alcuni mesi da quando ha ricevuto il primo messaggio. Non è stata fortunata, ma certamente essere rimasta con lo stesso uomo per così tanto tempo ed in una fase così delicata della crescita sociale, le ha probabilmente impedito di fare esperienza con le vere delusioni che una relazione può comportare.»

«Ha ragione. Quindi non dovrei prendermela così tanto?»

«Ha assolutamente tutto il diritto di provare rabbia, ma non la diriga verso sé stessa, né verso il genere maschile intero. Se la prenda con quell’uomo. Appenda un sacco da kickboxing in casa e vi affigga una fotografia del traditore, e la colpisca giorno dopo giorno fino a che non sentirà di essersi sfogata.»

Isabella non si sarebbe aspettata un consiglio tanto concreto e violento da un uomo così posato, che per giunta mimò il gesto dei pugni contro il sacco. Scoppiò a ridere, anche se non poté fare a meno di ringraziarlo, assicurandogli che molto probabilmente avrebbe fatto come lui suggeriva.

«E lei, Thomas, da quale ispirazione è rimasto turbato questa mattina?»

L’uomo sospirò: «Ho capito di provare il desiderio di avvicinarmi ad altre donne. Non mi fraintenda, non lo sto dicendo con malizia nei suoi confronti. Il fatto è che avevo promesso a me stesso che non avrei più provato nulla nei confronti di altre esponenti del genere femminile.»

«È rimasto ferito dalla fine di una relazione?»

«Possiamo dire così. In realtà, la mia cara Laura è venuta a mancare ormai due anni fa. Adoravamo Parigi e spesso venivano qui per trascorrere il fine settimana. Eravamo affezionati alla vista che offre Montmartre. Così, quando sono da queste parti per lavoro, non resisto alla tentazione di risalire sulla collina e guardare la città con gli stessi occhi adoranti con cui la ammirava mia moglie.» Thomas si concesse un sorso del suo drink per mettere ordine tra i suoi pensieri: «Essendo venuta a mancare all’improvviso, non abbiamo avuto modo di parlare del futuro, così non ho idea di cosa lei avrebbe pensato di una mia relazione con un’altra donna. Per rispetto nei suoi confronti, ho promesso a me stesso che, nell’impossibilità di sapere, mi sarei fatto divieto di aprirmi ancora all’amore. Eppure sento ora che qualcosa dentro di me sta cambiando.»

«Mi dispiace molto per sua moglie. Purtroppo non posso darle nessun consiglio, è una questione troppo intima: deve fare semplicemente quello che sente giusto dentro di sé.»

«Proprio qui nasce il dilemma: non ne sono affatto sicuro.»

Per non indulgere troppo alla malinconia, cambiarono tema di conversazione, trascorrendo una piacevole serata.

Il giorno seguente si fecero compagnia fino all’ora in cui Thomas prese il treno per tornare a casa. Isabella doveva trascorrere l’intera settimana successiva in città, nonostante ciò durante la domenica mattina accettò di visitare con l’uomo sia la Tour Eiffel che Notre Dame.

Quella sera si scambiarono i numeri di telefono, anche se erano piuttosto certi che difficilmente si sarebbero rivisti.

Trascorse circa un anno da quell’incontro.

Thomas aveva deciso di aprirsi ad una nuova relazione, tuttavia non aveva mai trovato una donna che gli facesse palpitare il cuore come era riuscita a fare Isabella con la sua risata fresca e spontanea.

Al termine di un’altra settimana di trasferta parigina, guardò nuovamente nel cielo sopra la città. Non chiese nulla né a Laura, né a sé stesso, stava semplicemente lasciando che i suoi pensieri si disperdessero, insieme ad un senso di solitudine che lo aggrediva sempre più di frequente.

«Signor Thomas, speravo di trovarla qui.»

«Mademoiselle Isabella, siete tornata a Parigi?»

«Sì, mi sono presa un paio di giorni di ferie. Devo ringraziarla, il suo suggerimento della fotografia sul sacco da kickboxing ha funzionato alla perfezione.»

Thomas si concesse una risata, accorgendosi con imbarazzo della lacrima che stava spuntando ad un angolo del suo occhio destro: «Ne sono felice. Quindi ha fatto pace con il genere maschile?»

«Non saprei, da allora non ho più trovato nessun uomo con cui avessi voglia di trascorrere del tempo.»

«Forse si tratta solo di avere un po’ di pazienza.»

«Oppure è questione di capire quale sia la persona giusta.»

Il loro primo bacio avvenne in quell’istante. Non fu certo l’ultimo, e come un anno prima, il sole fece capolino nel cielo grigio, illuminando la meravigliosa Parigi ed il loro futuro insieme.