Il caffè è ormai freddo nella tazza. Patroclo tiene ancora saldamente la presa sul manico, mentre il suo sguardo si perde nel vuoto.
Gli capita sempre più di frequente di non consumare quella bevanda mentre è ancora calda. Non ha tuttavia mai smesso di riempire quasi all’orlo il contenitore con l’acqua bollente, che la polvere istantanea trasforma in una brodaglia a cui sostiene con una cosciente bugia di essersi abituato. Può mentire a sua madre tanto quanto a quei vaghi conoscenti che definisce amici, ma non a sé stesso. Per questa ragione, aggredisce la tazza con un entusiasmo sempre minore.
Il cane di taglia media che un vicino tiene ostinatamente sul balcone provvede a destarlo dal vuoto in cui ha spinto la sua mente. Patroclo emette un timido fischio, di cui l’animale non si cura minimamente. L’uomo si arrende pertanto all’idea di tornare alla realtà, guardando con malcelato disgusto il contenuto residuo della tazza che prontamente svuota nel lavandino.
Il sapore amarognolo che pervade la sua bocca non è piacevole, esattamente come gli capita di constatare ogni volta in cui decide di infliggersi quella punizione a conclusione di un pasto. Si costringe pertanto a raggiungere il bagno per lavare i denti. A seguire sa già che rimedierà qualcosa che assomigli ad un pigiama, quindi si tufferà sul divano e si ammorberà con qualche serie tv che lo guidi ad un sonno rapido e senza sogni.
La porta del bagno è chiusa, come gli ha imposto suo padre durante tutti gli anni della loro convivenza. Una regola che Patroclo aveva sempre giudicata priva di buonsenso, considerato come non avessero quasi mai ricevuto ospiti.
«Non si può mai sapere chi ti ritrovi in casa», era solito dirgli, motivando così la sua pudica necessità di non lasciare intravedere quel luogo così intimo e privato.
Le loro strade si erano separate all’improvviso, quando ad entrare in casa erano stati due malintenzionati, passati curiosamente proprio dalla finestra del bagno. Avevano preso il povero Patroclo in ostaggio, minacciandolo con un coltello alla gola, affinché suo padre non opponesse resistenza e facesse dono ai due ospiti inattesi delle poche cose di valore che possedevano. La famiglia, scioccata dall’evento, aveva deciso di mettere in vendita la casa. Il trentenne Patroclo aveva parallelamente accettato che fosse giunta l’ora di iniziare la sua vita indipendente.
Un riflesso condizionato aveva poi spinto il figlio a perseverare nell’abitudine di chiudere la porta del bagno della sua casa da single, ignorando la sua stessa contrarietà a quella regola domestica . Per contro, dopo quasi trent’anni quello stesso riflesso lo motiva ad aprire sempre con circospezione, nonostante le inferriate alle finestre, quasi che possano comparire dal nulla altri malintenzionati.
Anche questa volta appoggia saldamente la mano sulla maniglia, ruotandola e spingendo l’anta con cautela, pronto a richiuderla rapidamente nel caso in cui individui l’ombra di presenze moleste. Non si tratta di un comportamento razionale: è il suo istinto a guidarlo, mentre la mente vaga per altri lidi.
A differenza delle precedenti millenovecentosettantanove occasioni, tuttavia, la porta si richiude immediatamente, pur se con la dovuta delicatezza.
Una luce naturale ma del tutto fuori contesto, come un sole trasposto tra le quattro mura, ha infatti illuminato la stanza non appena Patroclo ha avvicinato la testa al pertugio. Lui è riuscito a scorgere la doccia proprio di fianco all’ingresso, ma non oltre.
L’uomo è indeciso sul da farsi. Non riesci a convincersi ad entrare per appurare la fonte della luce. Nessuno può avere messo in scena un brutto scherzo, e non c’è alcun dispositivo elettronico che…
«Aspetta un secondo!»
Ricorda all’improvviso di avere installato il mese prima proprio in bagno uno di quei dispositivi che, stando alle pubblicità, avrebbero dovuto occuparsi pressoché di qualsiasi incombenza casalinga. Ha poi capito che per un uso efficace del marchingegno avrebbe dovuto acquistare tutta una serie di altri apparecchi, tra cui elettrodomestici, lampadine, un antifurto… Ha perciò abbandonato il dispositivo su di una mensola, collegato ma inattivo da settimane. L’unica spiegazione che gli viene in mente è pertanto che l’aggeggio si sia illuminato per una qualche segnalazione, anche se l’intensità di quella luce gli è parsa davvero eccessiva rispetto a quell’ipotesi. Se ha ragione, decide che restituirà l’apparecchio invasivo già il giorno successivo.
Apre pertanto nuovamente la porta con maggiore fiducia, cercando conferma al suo sospetto e pronto ad inveire nei confronti della causa del suo spavento.
Spalancata l’anta, ciò che si trova di fronte lo lascia completamente senza parole, per quanto la sua solitudine si accompagni raramente a dei soliloqui significativi.
In corrispondenza della parete di fondo, si apre uno sconfinato campo di girasoli illuminato come nelle ore più calde della giornata.
Quella visione non ha alcun senso. Lì di fronte, oltre il muro dotato di finestra, dovrebbe trovarsi il cortile interno delle due palazzine gemelle in cui abita ormai da tempo. Senza contare il fatto che il suo appartamento è al terzo piano, per quello che la sua mente cerca di ricordargli.
Patroclo muove la sua figura dinoccolata verso il campo, la bocca spalancata per l’incapacità di comprendere cosa stia accadendo. Giunto fino al limite del bagno, saggiamente si piega per allungare una mano verso il terreno: se si tratta di un’illusione dovuta ad una forma di stress senza causa apparente, oppure ad una malattia grave di cui non aveva avuto avvisaglie, vuole evitare di precipitare per i dieci metri che lo separano dal piano della corte. O di pestare il piede contro il muro invisibile, che a tutti gli effetti potrebbe scoprire ancora saldamente al suo posto.
Invece, oltre al profumo dei girasoli e della terra, alla leggera brezza ed al tepore del sole, anche il tatto risponde agli stimoli dell’ambiente in cui incredibilmente si è ritrovato.
Accenna ad un sorriso, perché le sensazioni in cui si ritrova immerso sono così piacevoli da scatenare in lui una reazione istintivamente positiva, quale ormai solo qualche film leggero riesce a provocargli.
S’incammina quasi senza accorgersene tra i girasoli. Accarezza delicatamente le loro teste, prima di fermarsi ad assaporare tutta la fragranza di un esemplare che lo ha colpito per maestà e fierezza.
Si volta e guarda tutt’intorno a sé. La sua palazzina è scomparsa. I profili delle colline coltivate gli impediscono di comprendere dove possa trovarsi. Per il momento non coglie alcun segno di presenza umana, perciò inizia a correre ridendo allegramente verso la vetta più alta.
Raggiunta la cima, capisce subito dove si trova, poiché si tratta di uno dei luoghi più importanti per la sua stessa infanzia. La vallata che declina dolcemente verso il mare è per lui immediatamente riconoscibile, retaggio degli anni trascorsi presso i nonni paterni a Potenza Picena.
Nonna Fausta in modo particolare è stata una delle figure principali per il giovane Patroclo, fino a quando non ha lasciato questo mondo. Era stata lei a condurlo a passeggiare per i campi, facendogli scoprire angoli nascosti di quel paradiso e portandolo ad amare la natura ed il frutto del lavoro dell’uomo. Nonno Mario era molto più severo, chiuso e poco portato per la condivisione anche con il nipote. Gli aveva tuttavia insegnato ad usare le mani per svariate necessità domestiche, cosa di cui lui gli è grato tutt’ora, pur non avendo più modo di rimarcarlo di persona.
Ripercorrendo i passi affrontati con la nonna, Patroclo riporta alla memoria i momenti trascorsi con Teresa. Era stata la sua prima ragazza, conosciuta in un’estate di un millennio prima, quando lui era un quindicenne sceso in villeggiatura da Verona, e lei una quattordicenne del posto, brava ragazza cresciuta in una famiglia semplice ma solida sia per principi, che per stabilità economica.
Si erano rivisti per qualche estate, fino a quando lei non gli aveva mandato una lettera in cui gli raccontava di essersi fidanzata. Non c’era da stupirsi, la ragazza aveva ormai compiuto diciott’anni e la loro relazione a distanza si era tramutata sempre più in una bella amicizia. Patroclo aveva inizialmente provato una forte gelosia, tanto che aveva pensato di partire per dire la sua sul pretendente. Aveva poi capito di dover maturare, accettando il fatto di non poter essere per lei nulla più che un confidente.
Erano tornati a vedersi tanti anni dopo, quando il matrimonio di Teresa era naufragato e, pur non volendo divorziare per non gettare discredito sulle due famiglie, aveva deciso di partire alla volta del Nord Italia per cambiare vita. Un anziano parente le aveva infatti trovato lavoro a Padova, un impiego probabilmente molto noioso ma anche ben remunerato. I due amici di vecchia data avevano pertanto deciso di incontrarsi per confrontare le loro reciproche esperienze di vita.
Dopo un paio di appuntamenti innocenti, la fiamma che aveva covato a lungo sotto la cenere aveva ripreso vigore. Avevano pertanto ripreso a frequentarsi, questa volta potendo contare su di una distanza decisamente più modesta. Avevano circa trent’anni, e nulla e nessuno sembrava potersi frapporre al loro meritato destino insieme.
Tutto era nuovamente franato quando il padre di Teresa aveva avuto un malore. Grazie al boom del turismo nelle Marche, l’attività di famiglia era infatti letteralmente esplosa. Per contro, l’uomo si era fatto carico di tutto l’incremento di attività, senza assumere nessuno per massimizzare i profitti e consolidare l’eredità dell’amata figlia. Il suo fisico non aveva purtroppo retto, costringendolo prima in ospedale, e poi a dare un drastico taglio al suo impegno.
Teresa aveva riflettuto con i genitori su come gestire il futuro di quell’attività. La donna aveva imparato molto da loro, inoltre aveva diverse idee moderne che avrebbero potuto dare un’ulteriore spinta all’azienda. La sua fuga precipitosa aveva procrastinato e potenzialmente cancellato il passaggio dell’azienda in mano sua, ora tuttavia un suo rientro sarebbe potuto essere quanto mai opportuno, anche perché gli utili che già in quel momento venivano generati, fatto salvo per la battuta d’arresto dovuta al malessere del padre, erano in grado di compensare quasi completamente lo stipendio del suo lavoro padovano.
C’era tuttavia la questione della sua relazione con Patroclo. Lui infatti non l’avrebbe mai seguita. Lei, come già accaduto quando era una ragazzina, avrebbe deciso di vivere nella sua terra natia. Ancora una volta, il destino si era messo di traverso.
Dopo un addio molto più doloroso rispetto a quando avevano poco più di diciott’anni, Teresa si era rappacificata con il marito da cui non aveva mai divorziato. Aveva condotto egregiamente l’attività di famiglia, tanto che avevano potuto investire anche su altre attività, tra cui una importante partecipazione in un nuovo villaggio vacanze. Aveva anche dato alla luce due figli, un maschietto ed una femminuccia. Era forse molto più impegnata che realmente felice, ma finché suo padre restò al mondo, leggere l’orgoglio nello sguardo dell’uomo la ripagava di tutti i sacrifici.
Patroclo si era invece completamente chiuso in sé stesso. Aveva quasi escluso dalla sua vita i genitori, gli amici, i colleghi, al di fuori di tutte le interazioni necessarie. Ognuno si era infatti arrogato il diritto ed il dovere di recapitargli una sua opinione su quanto gli era accaduto. All’ennesima dose di saggezza spiccia, nonché priva di una reale conoscenza di ciò che gli era capitato e del senso di vuoto che l’uomo aveva provato, aveva capito di dover escludere qualsiasi interazione umana dalla sua esistenza, per limitare la sofferenza che gli provocava il ritorno con il pensiero a Teresa, ed a ciò che sarebbe potuto essere del loro futuro.
Ora, trent’anni dopo averla vista per l’ultima volta, le sembra quasi di scorgerla nella figura di una donna che gli stando le spalle, di fronte ad una bella cancellata in ferro battuto. Le assomiglia così tanto che Patroclo arriva addirittura a pensare che possa trattarsi della figlia della donna. D’altra parte, a conti fatti la ragazza dovrebbe ormai avere raggiunto la stessa età della madre quando quest’ultima era tornata a vivere in quella stessa terra.
La folta chioma corvina viene sostituita da un viso, che si apre ad un sorriso ampio e sorprendentemente spontaneo.
«Patroclo, sei arrivato finalmente!»
La donna gli corre incontro, felice di vederlo.
Lui resta spiazzato. Come può averlo riconosciuto? La somiglianza con la madre, tuttavia, è davvero incredibile.
Ciò che più lo deve cogliere di sorpresa avviene solo al momento del ricongiungimento, quando lei si slancia verso il suo volto e lo bacia con passione ed una confidenza che non può essere dovuta ad un malinteso.
La donna si allontana, preoccupata dalla rigidità dell’uomo: «C’è qualcosa che non va?»
Non ha senso, tuttavia quella somiglianza, quella spontaneità…
«Teresa», bisbiglia lui con un alito di voce.
Lei ride dolcemente: «Patroclo, sembra che non ci vediamo da trent’anni! Forza, che i miei genitori ti aspettano. Mia madre ha preparato uno stufato che nemmeno t’immagini. Dove hai le valigie?»
Cosa sta succedendo?
«Teresa, perdonami, ho bisogno di riprendermi un secondo. Probabilmente il viaggio e l’emozione per essere arrivato fino a qui mi hanno giocato un brutto scherzo.»
«Non ti preoccupare, vieni in casa. Vedrai che con un buon bicchiere di vino passerà tutto.»
Improvvisamente, dentro Patroclo si manifestano consapevolezze che sono figlie di una realtà che non ha mai vissuto.
E’ certo di avere accettato di mollare tutto, a Verona, per trasferirsi nelle Marche con lei. Lavoreranno insieme per il futuro dell’azienda di famiglia della ragazza, espandendola per quanto possibile grazie alle collaborazione con altre realtà del posto. Questo è ciò che ha deciso di fare, mettere la sua esistenza in gioco per non perdere un’altra occasione di trascorrere il resto dei suoi giorni con la donna che ama da così tanti anni.
Tutte quelle certezze gli regalano un entusiasmo incontenibile. Guarda Teresa negli occhi, per cercare un segno che gli faccia capire se abbia visto giusto. Ci sarà tempo per comprendere se si tratti solo di un sogno, per il momento è il più bel viaggio onirico che gli sia mai capitato.
Lei lo osserva compiaciuta: «Finalmente vedo la giusta felicità nei tuoi occhi. Coraggio, mio padre non ti mangia. Anche perché, poverino, in questo momento non potrebbe fare del male nemmeno ad una mosca.»
Patroclo si lascia prendere per mano da Teresa e guidare nella nuova realtà. Non si volterà più indietro, vivendo una vita lunga, piena e soddisfacente a partire dai suoi nuovi trent’anni, provando anche la gioia della paternità.
Ripenserà a quel lungo periodo trascorso imprigionato in un’esistenza triste e vuota come ad una dura lezione, che non scorderà mai ogni volta in cui dovrà scegliere se amare pienamente o se limitarsi a sopravvivere.
Ma dove sta la realtà?
Qualche giorno dopo l’incontro con il campo di girasoli, allarmati dalle assenze al lavoro, i colleghi allerteranno la polizia. Le forze dell’ordine faranno irruzione nell’appartamento, dopo avere chiesto autorizzazione ad una famiglia travolta dal senso di colpa per aver consentito a quell’elemento di diventare così schivo e malinconico.
I poliziotti gireranno per la piccola casa, trovando la porta del bagno socchiusa. Aprendola con cautela, rinverranno il corpo senza vita di Patroclo, venuto a mancare per ragioni che i medici non riusciranno a comprendere.
Ma in fondo, non è questa la verità.
La verità è semplicemente che da troppi anni quel corpo era un guscio vuoto, che impediva all’anima di Patroclo di spiccare il volo per ritrovare la sua vera dimensione. Quella in cui ha fatto la scelta più coraggiosa e difficile, ma in fondo l’unica dotata di senso: trascorrere la vita con la donna che ha sempre amato.