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Racconti brevi

L’ira degli dei

Il vento accarezza i lunghi capelli neri e mossi della ragazza.

Uscendo dal bosco per raggiungere la vetta spoglia di una collina, Ku-baba si volta per guardare dietro di sé. La struttura orografica di quella che un giorno si chiamerà Turchia non le consente di scorgere più lontano di qualche centinaio di metri, tuttavia lei sa bene cosa ha lasciato dietro di sé, come ogni componente della carovana.

«Ba, non vieni?»

Lei si concede di non rispondere al fratello per qualche istante, mentre i ricordi le scorrono rapidi e dolorosi davanti agli occhi.

«Ba, non possono aspettarci. Ci lasceranno indietro.»

Ku-baba si arrende ai richiami.

Sa benissimo che Dumuzi ha ragione: sta per calare la sera, ed il cielo non promette nulla di buono. Devono assolutamente trovare un posto in cui fermarsi per la notte prima che le tenebre e la pioggia li inghiottano. Devono inoltre guardarsi dagli animali che si aggirano per i boschi, disperatamente in fuga come loro, spaventati ed affamati.

«Eccomi, andiamo.»

Da quando hanno lasciato precipitosamente la terra in cui sono nati e cresciuti, lei ha dovuto comportarsi come una madre per Dumuzi. D’altra parte, se nulla fosse cambiato nelle loro vite, entro un paio d’anni i loro genitori avrebbero ricevuto diverse proposte di matrimonio per lei, perché aveva ormai compiuto dieci anni ed era perciò entrata in età da marito. Era quindi naturale aspettarsi che potesse prendersi cura di un’altra persona.

Il suo fratellino aveva invece meno di sette anni. Inoltre, si stava sviluppando un po’ più lentamente dei coetanei, anche se gli uomini della loro famiglia erano tutti sufficientemente alti e forti, perciò un giorno Dumuzi avrebbe certamente colmato la distanza con gli altri ragazzi.

La carovana si ferma pochi minuti più tardi. Una radura tra gli alberi, probabilmente creata da una frana non recente, è infatti la migliore opzione per una sosta notturna che abbiano trovato in tutto il pomeriggio. L’autonominato comandante decide pertanto di interrompere per quel giorno la migrazione, con buona pace di chi vorrebbe proseguire per mettere più spazio possibile tra di loro e la massa d’acqua che ha sommerso ogni cosa, sfruttando fino all’ultimo i raggi del pallido sole di fine autunno.

I due giovani fratelli si siedono un po’ in disparte. Non si fidano di molti tra coloro che stanno viaggiando con loro. Non hanno granché che possa attrarre i malintenzionati, fatta eccezione per le pelli conciate dalla loro madre con cui si copriranno e si isoleranno dal terreno umido, e soprattutto per la virtù di Ku-baba. Se qualcuno dovesse cercare di approfittarsi di lei, la ragazza è certa che nessuno accorrerebbe in suo soccorso. Non c’è più nessuno che si preoccupi per lei al punto da rischiare la vita per difenderla.

La voce di Dumuzi giunge nuovamente a distrarla, mentre sta cercando di cogliere sguardi sospetti negli uomini intorno a loro: «Mi manca la mamma.»

Già, la mamma. Ku-baba ha preso molto da lei, sia nell’abilità nel trattare la pelle degli animali, sia nel carattere serio e determinato, ma non per questo chiuso al confronto con gli altri. Dal punto di vista fisico, invece, i due ragazzi hanno incrociato le somiglianze con i genitori: lei ha preso l’avvenenza da loro padre, grazie anche a quegli occhi grigio-verdi così misteriosi, mentre Dumuzi ha ereditato la chioma riccia e la bocca sottile dalla famiglia della madre.

La ragazza emette un sospiro prima di rispondere: «Manca anche a me. In questo momento starebbe cuocendo un capretto, e sarebbe furiosa perché papà starebbe facendo tardi per dare una mano ai pescatori.»

Il fratellino si lascia andare ad una piccola risata malinconica. Suo padre faceva tardi per cena quasi tutte le sere, ed i motivi erano sempre diversi: i pastori di ritorno con le mandrie dopo settimane, le imbarcazioni da tirare in secco dopo la giornata al lago, il colloquio con gli anziani del villaggio per conoscere le decisioni più importanti…

All’improvviso, Dumuzi si slancia verso la sorella, abbracciandola e scoppiando in lacrime. Sono trascorse tre settimane da quando hanno lasciato la loro casa per sfuggire alla furia del lago: i ricordi di quei momenti di terrore sono ancora troppo forti e presenti nelle loro anime.

Ku-baba cerca di essere forte per il fratello, ma non riesce a trattenere la commozione.

I due ragazzi non sono certo gli unici ad avere patito delle gravi perdite. In più punti dell’accampamento ci sono persone di ogni età che, complice la malinconia della solitudine notturna, sono state catturate dalle emozioni. Durante il viaggio c’è stata anche una nascita, ma le attenzioni che il gruppo di circa trecento persone ha riservato alla nuova vita non sono riuscite a contrastare tutta la sofferenza vissuta dall’intero villaggio spazzato via in pochi minuti dalla rabbia di Enki.

«Ve l’avevo detto, il dio delle acque si sarebbe infuriato se non avessimo smesso di svuotare il lago delle sue creature. Bisogna usare la misura in tutte le cose che riguardano gli dei. Ma come al solito non vi interessa ascoltare questo povero vecchio, ed ora eccoci qui a piangere ed a fuggire verso l’ignoto!»

L’ennesima predica da parte del sacerdote a cui era stata affidata la cura del tempio dedicato ad Enki non serve certo ad alzare l’umore generale. Alcune piccole pietre giungono al suo indirizzo da più punti: nessuno ha intenzione di fare del male ad un anziano portavoce di una divinità, ma al tempo stesso preferirebbero che l’uomo non ricordasse a tutti le loro colpe.

Nel popolo sta serpeggiando l’idea che il vero responsabile dell’accaduto sia in realtà Enlil, dio dell’aria. Enki è infatti sempre stato buono e generoso, ed il lago era come sempre abbondantemente ricolmo di pesci. Il fatto che la prima settimana dopo l’onda anomala che ha devastato i villaggi sia stata contrassegnata da venti di tempesta ed abbondanti piogge, che hanno contribuito ad ingrossare enormemente anche i fiumi, sembrerebbe dare corpo a quell’idea. Ma il sacerdote di Enki ha bisogno di sentirsi importante per la comunità, per questo non ha rinunciato all’occasione offerta dal silenzio generale per offrire di nuovo la sua opinione.

L’anziano recepisce comunque la volontà generale e si acquieta, pur continuando a borbottare nel suo giaciglio improvvisato. Nel frattempo, qualche timida goccia di pioggia arriva ad attutire i rumori della notte.

I due fratelli si stringono per proteggersi dall’umidità e per darsi reciprocamente conforto. Masticano silenziosamente la carne essiccata di capra che i pastori sopravvissuti hanno avuto la freddezza di portare con loro mentre preparavano in pochi istanti la fuga, contribuendo a sfamare la carovana che, pur numerosa, non è certo paragonabile alle quasi duemila anime che poteva contare il villaggio prima dell’arrivo delle acque.

Qualche giorno più tardi, il gruppo ha purtroppo perso due ulteriori elementi anziani. Uno di questi è il sacerdote di Enki. I due saggi ricevono una cerimonia sbrigativa ma necessaria per consentire alle loro anime di accedere all’aldilà, che come noto a tutto il loro popolo si trova nelle profondità della terra.

Probabilmente altri due componenti della carovana non riusciranno a raggiungere la destinazione, Biainili, dove si erge la più alta montagna conosciuta alle genti di quella zona del mondo. Un branco di lupi ha infatti aggredito un uomo ed una donna attardatisi poco lontano rispetto ai compagni di fuga, ma abbastanza da consentire agli animali di trovare il coraggio per attaccare. Sono feriti ed hanno la febbre molto alta, per il momento vengono trasportati dagli uomini più forti, ma stanno rallentando il passo di tutti e probabilmente cederanno molto presto alle infezioni.

«Ba, perché non possiamo fermarci qui?»

Dumuzi è stufo di camminare. E’ un bambino, avrebbe bisogno di divertirsi, di imparare cose nuove e di socializzare con i coetanei, invece non fa che marciare ormai da più di un mese. Il freddo umido non aiuta, ma la pioggia continua a cadere giorno dopo giorno ed in una vallata vicino a quella che stavano attraversando due giorni prima hanno visto con i loro occhi una frana portarsi via decine e decine di alberi. Il bambino non è certo l’unico a desiderare di fermarsi e di iniziare a pensare al futuro.

«Ancora non si può, Dumi. In queste zone non si può coltivare, e non sono adatte nemmeno per le capre, che hanno bisogno come noi di stabilità.»

Inoltre, dovrebbe aggiungere Ku-baba, le acque non hanno ancora smesso di salire. Altre persone in fuga che hanno incrociato negli ultimi giorni hanno raccontato di vallate travolte e sommerse dall’onda di piena come se fossero state improvvisamente trasportate in riva al loro lago. Il mondo che tutti loro conoscevano non esiste più. L’unica speranza è continuare a salire, sempre che l’ira degli dei un giorno si plachi.

La ragazza non vuole però turbare il fratello, perciò si è limitata a spiegare le ragioni più ottimistiche che spingono la carovana a proseguire. Se non riusciranno a raggiungere la loro meta, oppure questa verrà a sua volta sommersa, non c’è ragione per cui lei debba guastare ulteriormente gli ultimi giorni di Dumuzi.

Trascorre un’ulteriore settimana, dopo la quale il tempo sembra fortunatamente sistemarsi. E’ caduta anche una leggera nevicata, ma il cielo si è poi finalmente aperto, pulito da un vento freddo ma provvidenziale che ha rivelato la cima delle montagne imbancate. Dai racconti dei pastori della zona, incontrati durante le transumanze dai loro conterranei che avevano portato al pascolo le capre anno dopo anno, sanno che avrebbero trovato terra fertile in abbondanza fra le montagne ed il grande lago di Van, come lo chiamano gli autoctoni.

In preda ad un improvviso entusiasmo, il piccolo popolo accelera l’andatura. Durante una sosta serale viene deciso che, una volta raggiunta la meta, verrà eretto un altare sia ad Enki che ad Enlil, perché le colpe del popolo vengano perdonate.

Il broncio di Dumuzi è piuttosto evidente e non necessiterebbe di parole, che comunque arrivano alle orecchie della sorella: «Io non voglio ringraziare un dio che ha ucciso mamma e papà.»

«Gli dei sono gli dei. Decidono del nostro destino, Dumi, che ci piaccia o no. Quello che possiamo fare è rendergli onore perché siano sempre ben disposti nei nostri confronti.»

«Va bene, ma cosa hanno fatto di sbagliato le persone che non sono riuscite a scappare?»

La domanda, perfettamente sensata, non ha ovviamente alcuna risposta semplice. Le trecento persone fuggite dal loro villaggio, così come quelle che sono riuscite a scappare da altri caseggiati intorno a quello che un giorno verrà chiamato Mar Nero, sono semplicemente state fortunate. I due bambini stavano trascorrendo una giornata sulla collina sopra al villaggio, insieme ad alcuni coetanei, quando hanno visto l’onda di piena giungere improvvisamente dalla parte occidentale del lago. Hanno iniziato ad urlare per richiamare l’attenzione di tutti, ma solo altri adulti che hanno avuto la fortuna di avvedersi come loro di quanto stava accadendo sono riusciti a mettersi in fuga. Per tutti gli altri, non c’è stato nulla da fare, e non c’è alcuna colpa che possa giustificare una simile catastrofe.

«Non lo so davvero. Probabilmente gli dei erano arrabbiati con tutti gli uomini perché stavamo diventando troppi. C’è chi dice che Enlil si sia arrabbiato perché eravamo troppo rumorosi, e lui non riusciva a riposare. Sembrano ragioni davvero sciocche per spiegare quello che è successo, ma alle volte gli dei sono capricciosi e non danno molto peso alla vita degli uomini.»

Dumuzi comprende la ragione per cui è importante rendere onore a quegli esseri così potenti ma al tempo stesso così emotivi. Sua madre una volta si era infuriata con loro perché parlavano di notte e non le permettevano di dormire, ma non aveva certo minacciato di annegarli nel lago per questo.

La consapevolezza della fragilità della vita umana, unita all’ottimismo per un futuro un po’ più roseo, fanno crescere più rapidamente il giovane, che giorno dopo giorno appare più fiero e determinato nello sguardo.

Giunta finalmente in un villaggio sulle righe del lago di Van, anch’esso vittima della furia delle acque ma danneggiato in modo molto più marginale rispetto al loro, la carovana prende possesso di alcuni terreni, che la gente del posto non ha le conoscenze per coltivare.

Nei mesi e negli anni successivi Ku-baba si darà da fare nella concia delle pelli, mentre Dumuzi diverrà un valido coltivatore. Entrambi si sposeranno ed avranno dei figli, e di generazione in generazione il loro sangue si mischierà con quello degli autoctoni.

Il racconto del diluvio che ha cancellato la loro terrà resterà per sempre nella memoria del loro popolo e di tutti quelli che, direttamente o indirettamente, ne sono stati coinvolti. Tutte le genti del Vicino Oriente riporteranno per secoli l’ira degli dei nei loro testi sacri, testimoniando ad imperitura memoria la sofferenza di quelle genti sventurate, e lo stupore delle stesse divinità per la portata di ciò che il loro desiderio di riprendere il controllo su di un’umanità sempre più numerosa ed autonoma ha causato.