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Racconti brevi

L’amore distante

Giorgio si sistema sulla sua comoda sedia. La portineria che dà accesso agli uffici ed ai laboratori di diverse aziende farmaceutiche, sarà pressoché inoperosa fino al mattino successivo: poco prima è infatti uscita l’ultima impiegata ancora presente. Resta solo il personale dell’impresa di pulizie, ma entro una mezz’ora anche loro dovrebbero lasciare il complesso.

L’uomo si ritrova solo, nel silenzio delle quattro mura. Fanno eccezione i dispositivi accesi, dal computer per l’autorizzazione degli accessi in orari straordinari all’impianto di riscaldamento, indispensabile per comprensare le vetrate che consentirebbero facilmente al freddo esterno di entrare.

Giorgio apre il sacchetto di carta che ha portato da casa. Si sforza di resistere alla tentazione di addentare anzitempo il suo pasto, perché quello che ha a disposizione dovrà durare per diverse ore, un fondamentale diversivo per allentare il peso della solitudine.

Non soffre in generale Ne ha approfittato i turni di notte, nonostante diversi colleghi ed amici avessero cercato di dissuaderlo dal mettersi a disposizione per quella fascia oraria a quasi sessant’anni. Ne ha approfittato per recuperare qualche serie TV che non era riuscito a seguire nella routine quotidiana, e non ha patito in modo significativo i ritmi disordinati del sonno.

Quella sera, tuttavia, è diversa dalle altre. È la vigilia di Natale, ed un po’ di compagnia una volta tanto non gli sarebbe dispiaciuta.

Ha cercato scherzosamente di convincere il collega del turno di giorno a fermarsi qualche ora con lui, ma ovviamente il giovane ha preferito tornare a casa dalla famiglia. Quel ragazzo gli piace, è sicuro che farà strada: ha carattere da vendere e, soprattutto, il suo italiano non è macchiato da inflessioni dialettali come quello di Giorgio.

L’uomo non ricorda granché dei suoi luoghi d’origine. Ha lasciato la provincia cosentina per raggiungere la Lombardia con i genitori ormai oltre cinquanta anni prima. Sua madre ha tuttavia parlato in calabrese per tutta la vita, condizionando il figlio che anche oggi si rende conto di come spesso le persone gli chiedano di ripetere una parola oppure un’intera frase a causa della sua pronuncia.

Giorgio sorride ripensando a quando Anita, sua moglie, cercava inutilmente di correggerlo. A tanti anni di distanza dal loro fidanzamento, lui ancora non si spiega cosa abbia trovato in quel burbero ragazzone qual era a venticinque anni quella minuta e gentile maestra di scuola elementare di Rozzano.

L’uomo recupera dal telefonino una fotografia di tanto tempo prima, che sua figlia è riuscita a trasportare dalla carta fotografica al digitale. Quanto era bella Anita il giorno del loro matrimonio! Avrebbe potuto innamorarsi di lei mille volte e forse più, per il resto delle loro vite. Invece, un destino beffardo ed ingiusto li aveva separati troppo presto. Giorgio sente ancora una forte fitta al cuore, a quindici anni dal giorno in cui l’aveva salutata per sempre.

Sua figlia Carla gli aveva più volte proposto di andare a vivere da lei a Roma, anche se lui è perfettamente consapevole del fatto che suo genero non ne sarebbe stato felice: Giorgio non è affatto un tipo semplice da sopportare, se ne rende conto, e la convivenza con un altro uomo sarebbe stata parecchio spigolosa. Per questo motivo, aveva evitato di interpretare il ruolo del suocero invadente ed aveva ogni volta declinato la proposta di sua figlia. Peccato, gli sarebbe piaciuto vedere crescere suo nipote. Invece, data la distanza non ha occasione di giocare con Mattia ormai da quell’estate.

Chissà se a 3 anni il bambino sente già l’atmosfera del Natale: in questo caso, il loro appartamento sarà stato riempito dalla sua eccitazione e da decine di decorazioni a tema. Giorgio non è certo un romanticone, ma almeno sul Natale, Anita era riuscita a cambiarlo, tanto che Carla era cresciuta in una casa sempre riccamente addobbata sotto le feste.

Lo schermo dello Smartphone si spegne, un chiaro segno di come l’uomo che lo sta tenendo in mano viaggiava ormai da diversi minuti con la fantasia, lontano dall’immagine di sua moglie.

Di fronte ai suoi occhi, appare la silhouette di un piccolo alberello di plastica imbiancato per simulare la neve. Lo ha portato lui stesso ormai diversi giorni prima, un gesto istintivo che poco si sposa con le sfoglie superfici dell’ambiente circostante. Sarà a causa della turnazione del personale, oppure delle lunghe ore solitarie che hanno il potere di anestetizzare molti sentimenti umani, ma nessuno dei suoi colleghi ha mostrato l’intenzione di aggiungere altri segni della festività imminente. Solo lui, il vecchio brontolone, ha pensato di portare in quel luogo un timido simbolo del Natale.

Giorgio avvia sul telefono una recente serie spagnola di successo. In certe situazioni la giudica un po’ eccessiva, ma tutto sommato non gli dispiace, perciò riesci a seguirla con buona continuità. Reclina leggermente la sedia, le mani incrociate dietro la testa, le gambe goduriosa mente distese ad appoggiare i piedi sulla scrivania e si prepara ad una quarantina di minuti di intrattenimento.

Dopo pochi istanti si deve ricomporre: passa infatti la squadra delle pulizie. Giorgio saluta tutti ed augura ad ognuno un felice Natale. Cerca anche di regalare qualche battuta per allietare il momento, ma quelle persone devono essere particolarmente stanche e desiderose di tornarsene a casa, perché a parte qualche sorriso di circostanza, nessuno gli dà la soddisfazione di una risposta.

Ecco, ora è davvero solo, e lo resterà fino al mattino successivo quando arriverà il collega del turno di giorno. Sempre che si presenti.

È infatti già accaduto in passato che, a causa dei bagordi della vigilia e forse della poca voglia di lavorare nel giorno di Natale, la persona deputata a ricoprire quell’infelice posizione si fosse data per malata.

Giorgio non ne farebbe un dramma, ma certamente non perderebbe occasione per farla pagare al collega per i mesi a venire.

Tornato a godere della posizione di massimo relax, avvia nuovamente la serie TV sullo smartphone e cerca di disattivare il cervello. Senti infatti dentro di sé una crescente malinconia.

Vorrebbe avere la sua famiglia accanto a sé. Non il mattino successivo, ma in quel preciso istante.

Vorrebbe poter riabbracciare sua moglie, sentire la sua voce e la sua timida risata, accarezzarle i capelli e sentire quel profumo che tanto le piaceva, e che inondava ogni stanza in cui passasse, unica eccezione al suo bisogno di non farsi mai notare.

Vorrebbe fare qualche dispetto al suo adorato nipotino. Magari insegnandogli un paio di termini in calabrese, giusto per far arrabbiare suo padre.

Un bambino è in grado con la sua sola presenza di rendere speciale il Natale, Giorgio lo sa perfettamente, perché da quando Carla è cresciuta ed ha perso buona parte della sua magia infantile, le festività non sono più state le stesse. Il nonno ha preparato un bel regalo, incartandolo con quelle mani troppo robuste per adattarsi ai lavori di fino. Ha portato quel pensiero con sé al lavoro, forse per creare un’illusione festiva più credibile. Lo ha tuttavia lasciato in macchina, affinché nessuno lo giudicasse per quel gesto così intimo e difficile da comprendere.

Una scena movimentata nella serie tv richiama la sua attenzione punto si rende così conto di essersi perso oltre venti minuti della puntata, immerso nei ricordi e nella nostalgia.

Ferma la riproduzione sullo smartphone, ed è in quel momento che si accorge delle lacrime che rigano copiose le sue guance.

Si sente in imbarazzo, ma per fortuna non c’è più nessuno che possa cogliere quel suo momento di debolezza.

All’improvviso, un vociare sommesso richiama la sua attenzione. Almeno due persone stanno per arrivare nei pressi dell’ingresso alla sua postazione confortevole ma solitaria. Chi può essere a quell’ora?

Difficilmente si tratta di malintenzionati: date le dimensioni degli edifici nel complesso, potrebbero tranquillamente cercare di entrare dalle vie laterali.

Forse qualche dipendente che ha dimenticato qualcosa di importante prima delle ferie. Ma chi tornerebbe a quell’ora nella notte della vigilia, quando potrebbe tranquillamente rimediare il mattino successivo?

I sensi di Giorgio sono in allerta, data la stranezza della situazione. Proprio a lui doveva capitare, e soprattutto in un momento così delicato?

Quando gli ospiti inattesi si materializzano, l’uomo capisce di non avere proprio nulla da temere. Al contrario.

«Papà, sorpresa!»

Giorgio resta per qualche istante a bocca aperta.

«Carla, cosa ci fate qui?»

La donna che entra raggiante in reception, seguita dopo pochi istanti dal marito con in braccio il figlio addormentato, non tarda ad offrire una spiegazione per quella splendida sorpresa.

«Siamo arrivati in treno questo pomeriggio in stazione centrale. Abbiamo prenotato una stanza in un albergo vicino casa nostra, hai presente quello che si affaccia sulla piazza del comune? Dopo aver mangiato una cosa al volo, abbiamo portato Mattia al cinema ed infine siamo andati alla messa di mezzanotte. Insomma, è stato un pomeriggio piuttosto movimentato, ma ne è valsa la pena. Sei contento di vederci?»

Giorgio è commosso, ma difficilmente le emozioni positive lo spingono fino alle lacrime. Deve tuttavia schiarirsi la voce prima di ringraziare la figlia per aver fatto tanta strada per lui.

L’uomo si ritrova pochi minuti dopo di nuovo comodamente seduto sulla sua sedia, ma questa volta tiene in braccio il nipote beatamente addormentato. La serenità giunge finalmente a lenire le sue ferite interiori.

«Papà, questo è pane e nduja? Non avevi promesso a me e soprattutto al cardiologo di metterti a dieta?»

«Carla, che dici, non vedi che ci sono pure i peperoni? I peperoni sono verdure!»

La figlia evita di fare la paternale al padre. È la vigilia di Natale e non vuole certo rovinare la bella atmosfera che si è istintivamente creata. Si fa una risata e dà un generoso morso al panino, solo per la soddisfazione di togliere un po’ di salume dallo stomaco di quell’uomo che avrebbe un urgente bisogno di riguardarsi. Prevedibilmente, Giorgio resta a bocca aperta, scoppiando anche lui in una fragorosa risata che finisce per svegliare il nipote.

«Nonno, ciao!»

L’abbraccio di Mattia scioglie definitamente il cuore dell’uomo. Le due persone così distanti per età si fondono in un unico essere, come se fossero legati fin dalla nascita del più giovane.

Poco più tardi, i tre nuovi arrivati si congedano per fare ritorno in albergo.

Giorgio, rimasto nuovamente solo, è ora sereno e sorridente. Quasi quasi potrebbe davvero considerare l’idea di trasferirsi da sua figlia a Roma.

Comodamente disteso sulla sedia, le gambe allungate sulla scrivania, lo smartphone nuovamente sintonizzato sulla serie spagnola, l’uomo si sente di nuovo sereno e completo. Sa che il giorno successivo sarà davvero Natale, per lui e per la sua famiglia. Al futuro penserà dal giorno successivo, per il momento può bastare per guardare con ottimismo al suo futuro.

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Il poeta

Il poeta sedeva sulla panchina con lo sguardo perso nel vuoto. Sentiva di avere perso la capacità di evocare le sue emozioni nei versi, e ciò lo lasciava smarrito come un ragazzo al primo giorno di lavoro.

Teneva appoggiato sulle sue gambe il fidato quaderno con la copertina in legno di bambù. A quelle ruvide pagine aveva affidato negli anni i suoi sogni e le speranze, ma anche i timori per il futuro ed il ricordo delle cicatrici del passato.

Il foglio che avrebbe dovuto accogliere i suoi pensieri, quel giorno era desolatamente vuoto. C’è qualcosa di magico ed al tempo stesso di angosciante in una pagina bianca: da una parte, è entusiasmante iniziare a creare qualcosa di totalmente nuovo, dando vita alla propria arte in versi, perché non si può mai sapere dove ci condurrà quel viaggio all’interno della nostra anima; al tempo stesso, se la carta resta intonsa troppo a lungo significa che qualcosa si è inceppato nel nostro meccanismo interiore. Quasi certamente non stiamo affrontando il momento giusto per dare forma ai nostri pensieri, lieti o tetri che siano.

Il momento di aridità creativa si trasforma in un problema quando le ore di sterilità si susseguono fino a diventare giorni. Il poeta non sentiva sgorgare le proprie emozioni dal cuore alla penna oramai da una settimana, nonostante fosse giunta la primavera, ed ogni mattina dopo avere salutato la moglie e la figlia si fosse seduto pazientemente sulla sua solita panchina, nel parco del paese, il quaderno in grembo in attesa di ricevere le sue pennellate d’inchiostro.

Cosa si era rotto dentro di lui? Cosa poteva essere accaduto per sopprimere la sua creatività fino all’assenza di sentimenti? Eppure, la natura rinascente che lo circondava aveva attivato il suo corpo tanto quanto il suo spirito: provava il desiderio di caricarsi in spalla la famiglia e di partire per girare il mondo, per vivere mille avventure e collezionare centinaia di ricordi. Aveva provato a raccontare quella positività, ma nulla che meritasse di tramutare in blu quei fogli bianchi era giunto alla parte cosciente del suo essere.

Rimase sulla panchina per ore. Aveva scelto di scrivere per vivere, e di vivere per scrivere. Se tuttavia l’arte dentro di lui si era improvvisamente spenta, avrebbe deluso sé stesso in primo luogo, e le persone intorno a lui come immediata conseguenza. Avrebbe dovuto riporre la parte più importante di sé in un cassetto, costringendosi a trovare un lavoro che avrebbe detestato, diventando un uomo che non gli era mai interessato essere. Con tutto il rispetto possibile, ma per anni aveva contribuito al sostentamento della famiglia grazie ai suoi versi ed ai racconti che aveva concepito, riuscendo al contempo ad essere costantemente presente nella vita di sua figlia. Un privilegio che, se avesse trovato un impiego, gli sarebbe stato negato, come in fondo accadeva alla maggior parte dei padri.

Quando comprese che la giornata iniziava a volgere al termine, con il vuoto nel cuore si apprestò a richiudere il quaderno, su cui aveva appuntato e presto cancellato diverse parole inconcludenti. Parole così vuote di sentimenti che non avrebbero meritato di sporcare quel foglio sfortunato.

Mentre portava lo sguardo dall’infinito alla realtà di fronte a lui, vide tre donne sopraggiungere dall’ingresso del parco. Non erano persone qualunque, bensì si trattava delle donne più importanti della sua vita: sua madre, sua moglie e sua figlia. Erano arrivate fino a lì passeggiando per il paese, dopo i rispettivi impegni, probabilmente per ricondurlo a casa.

L’iniziale pudore che lo investì, al pensiero che le avrebbe deluse spiegando la sua ormai conclamata incapacità di dare vita alla sua arte, venne sostituito da una violenta ammirazione per la fierezza con cui incedevano verso di lui, donne illuminate dal sole in discesa alle loro spalle. Persone tanto differenti, e che per età ed esperienze diverse vivevano in modo molto personale la rispettiva femminilità.

Il poeta sorrise: la soluzione ai suoi problemi era così vicina da essersi confusa con il mondo che aveva cercato di abbagliarlo con i colori ed i profumi della primavera. Abbassò lo sguardo, spalancando il quaderno che aveva iniziato a socchiudere. Prese diversi appunti su ciò che avrebbe voluto scrivere, e che nei giorni e nelle settimane successivi avrebbero dato vita ad un torrente in piena di pensieri che avevano come unico comune denominatore l’importanza delle donne nella sua esistenza. Parole belle ed intense, che sarebbero state largamente apprezzate perché, nonostante il tema d’uso frequente, sarebbero riuscite ad essere tutt’altro che scontate, rappresentando da un punto di vista maschile tutto l’orgoglio e la difficoltà di essere donna. Ancora oggi. Nonostante gli insegnamenti del passato e la follia degli uomini descritta anche ai nostri giorni dalla cronaca.

Per quella sera, tuttavia, si sarebbe limitato a segnare i capisaldi del suo ritorno alla creatività. Si alzò, andando incontro alle tre donne più importanti della sua vita. Loro lo guardarono, piacevolmente sorprese dal suo sorriso così sincero ed aperto.

Lui semplicemente spiegò: «Verrà forse un giorno in cui vi deluderò. Arriverà un momento in cui non riconoscerò più in me stesso la persona che ho sempre voluto e creduto di essere. Fino a quel momento, voglio solo consegnarvi una certezza: vi voglio bene, e se in quell’ipotetico giorno me ne dovessi dimenticare, vi prego di ricordarmelo, perché il vostro amore è l’energia che mi tiene in vita e che mi rende l’uomo che avete di fronte in questo momento.»

La famiglia lasciò il parco, lieta ed unita nell’amore che legava ognuno di loro e che, nonostante le difficoltà insite nel destino di qualsiasi rapporto, nel loro futuro non sarebbe mai venuto meno.

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Le scelte della vita

Nella casa ammantata dal silenzio notturno, Paolo non riusciva a staccarsi dalla visione della cantina disordinatamente affollata dai ricordi delle passioni di un tempo.

Erano state ore totalmente irrazionali. Avrebbe detto di avere trascorso la serata in compagnia dei soliti tre amici, bevendo e giocando a briscola chiamata. Era certo di essere uscito dalla casa che li aveva ospitati con la testa resa leggera dell’alcool, tuttavia in condizioni adeguate alla guida. Non aveva dubbi in merito al fatto che al suo fianco ci fosse quello tra i compagni di baldoria che abitava più vicino a lui, così che Paolo potesse dargli un passaggio. Eppure…

…eppure quando frenò di colpo per evitare un gatto che aveva attraversato all’improvviso la buia strada comunale, la voce della persona spaventata accanto a lui giunse al suo orecchio con un tono più femminile di quanto lui si sarebbe aspettato. Da allora, nulla aveva più avuto senso.

Dopo essersi ripreso dalla sorpresa, sfruttò la scusa dell’ebrezza per porre alla donna sconosciuta quelle domande che, in condizioni di lucidità, non avrebbero avuto alcuna ragione di essere formulate. Scoprì in tal modo che Silvana, la probabile trentenne accanto a lui, era in effetti sua moglie; che avevano un figlio di due anni di nome Tommaso, in quel momento affidato ai nonni paterni; che erano trascorsi sette anni dalla sera che fino ad un attimo prima pensava di stare vivendo; infine, che l’amico svanito accanto a lui viveva e lavorava in Irlanda ormai da quasi un anno.

Quando ebbero raggiunto quella che scoprì essere la sua casa coniugale, la sua testa vorticava ancora tremendamente. Silvana diede la colpa all’eccesso di drink della serata, così lo punì abbandonandolo a dormire sul divano. Paolo ne approfittò per aggirarsi tra le stanze della villetta a schiera in cui vivevano, finché non giunse in cantina dove trovò le vestigia di quel passato cristallizzatosi nella sua mente, ed apparentemente anche nel tempo magicamente slittato in avanti di sette anni.

Nel caos organizzato di quel luogo, Paolo trovò tutte le passioni di un tempo: il suo primo romanzo, la cui bozza stampata e annotata giaceva sotto una coltre di polvere; la sua amata chitarra, così scomoda da raggiungere che probabilmente non veniva più toccata da almeno due anni; la collezione di oggetti e testi sul Giappone, una terra che amava e nella quale aveva deciso che si sarebbe un giorno trasferito, ora simulacro di un’adorazione spentasi nelle nebbie del tempo.

Realizzò che non era solo sua moglie ad essergli sconosciuta. Paolo capì di non avere la più pallida idea di chi fosse quell’uomo di cui vedeva l’immagine riflessa nel vecchio specchio appoggiato alla parete della cantina.

«Io non ti conosco. Vattene dalla mia vita, rivoglio la persona che ero, rivoglio il mio futuro, i miei sogni!»

Risvegliata dalle urla e dal lanciò delle cianfrusaglie contro la porta, Silvana scese in cantina.

«Si può sapere cosa stai facendo? Vuoi svegliare tutto il complesso?»

Paolo guardò quella donna che, in un passato di cui non aveva memoria, aveva deciso di sposare. Doveva a lei la colpa di ciò che era successo?

«Cosa pensi di me?»

«In questo momento è meglio che io non parli.»

«Dico sul serio: che opinione hai di tuo marito?»

Silvana si schiarì la voce, prima di rispondere: «Sai, hai fatto tanto sacrifici per noi. Però, per quanto te ne sia grata, devo dire che sei cambiato molto in questi anni. La persona che ho conosciuto tanti anni fa era appassionata e piena di sogni, oggi non riesci a staccare la testa dal tuo lavoro. Non ci fai mancare nulla, ma non ci sei mai quando ti vorremmo vicino, né per me, né soprattutto per Tommaso.»

«Perché mi hai permesso di cambiare?»

«Perché non me la sono sentita di criticarti per aver scelto di mettere da parte le tue passioni per regalarci un futuro più solido.»

Paolo capì perfettamente. Aveva sbagliato tutto, ma a fin di bene, e per la stessa ragione sua moglie lo aveva assecondato. Ora erano entrambi infelici.

«Devo andare, ho bisogno di schiarirmi le idee. Non ti preoccupare, da domattina andrà tutto meglio.»

Paolo lasciò Silvana a bocca aperta, uscendo in piena notte nel freddo autunnale. Non si era nemmeno concesso di chiederle una foto di suo figlio: qualora se ne fosse perdutamente innamorato, non avrebbe avuto il coraggio di tentare di riportare indietro le pagine del calendario, con il concreto rischio che Tommaso non venisse mai al mondo.

Salì in macchina e ripercorse a ritroso la strada, certo che in quel modo sarebbe tornato a vivere un passato che avrebbe aggredito in tutt’altra direzione.

Attese pazientemente parcheggiato vicino a casa dell’amico in cui era certo di avere trascorso la serata, quindi ripartì non appena vide gli occhi di un gatto a lato della carreggiata. Frenò di colpo per simulare ciò che era accaduto poche ore prima, ma non riuscì ad arrestarsi, andando ad urtare contro un albero.

L’amico di fianco a lui si scosse: «Ehi, cosa hai combinato? Ti sei addormentato?»

Paolo era sollevato dalla voce maschile che sentì accanto a sé: «No, un gatto che è uscito all’improvviso mi ha fatto perdere il controllo.»

Quindi era stato un incidente, fortunatamente non grave, a dare vita a quel sogno che lo aveva proiettato in avanti di sette anni. Bene, non avrebbe lasciato che l’insegnamento che aveva tratto da quell’esperienza cadesse nel vuoto.

Nei mesi successivi si impegnò per non lasciare morire i suoi sogni. Fece in modo che il trasferimento in Giappone divenisse una prospettiva concreta; pubblicò il suo primo romanzo e ne iniziò un secondo, pur non coltivando l’ambizione di farne una carriera; infine, non abbandonò mai la sua chitarra e con essa la passione per la musica.

Una sera, circa un anno dopo, diede una festa a casa sua. Invitò un piccolo gruppo di amici a suonare, e si divertì ad affiancarli in un paio di canzoni per togliersi la soddisfazione.

Quando andò a prendersi una birra, una ragazza lo avvicinò per parlargli. Si chiamava Silvana.

Dopo una decina di minuti, era già chiaro ad entrambi come si stesse creando una notevole affinità fra di loro. Lui volle così mettere subito in chiaro il suo piano per il futuro: «Sai, al più tardi entro un paio d’anni vorrei trasferirmi in Giappone.»

«Davvero? E’ meraviglioso! E hai già qualcuno che ti accompagni?»

Il cerchio del destino si era chiuso. Tommaso sarebbe nato qualche anno dopo, in Giappone e con un padre che non avrebbe mai perso la voglia di tenere vive e di trasmettergli le sue passioni.