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Racconti brevi

L’emozione della fantasia

Il mio nome è Lodovico. In realtà sono quasi certo di non chiamarmi così, ma la mia memoria se n’è andata da un pezzo, così come tutte le persone che conosco. Ho cercato su internet diversi nomi, e questo è quello che mi è piaciuto di più, così l’ho scelto e me lo sono tenuto. Da qualche parte dovrei in effetti avere dei documenti, ma al momento non mi interessa scoprire la verità.

Quelli che incontro per strada dicono che dovrei avere circa quarant’anni, ed è un peccato che sia successo qualcosa nella mia testa, perché avrei potuto fare delle belle cose nella mia vita, me lo sento.

Vivo invece in un appartamento, tutto solo. Ogni mese ricevo una pensione d’invalidità, modesta ma sufficiente per provvedere alle mie necessità. Anche perché, che sia stato merito mio oppure si tratti di un’eredità, fortunatamente la casa in cui abito non ha né mutuo, né affitto.

Mi piacerebbe trovare qualcuno con cui viaggiare, per riscoprire il mondo che se n’è in parte andato con la mia memoria. Forse un giorno capiterà. In fondo non sono un brutto uomo, e mi pare di riuscire ad essere anche un conversatore piacevole.

Per il momento mi devo limitare a viaggiare con la fantasia, grazie al fatto che il resto della mia mente lavora ancora perfettamente, per quanto posso giudicare, riuscendo a colmare con l’immaginazione i vuoti lasciati dai ricordi svaniti.

Per questi voli virtuali, ho un trucco. Ad una decina di minuti da casa mia sorge infatti un aeroporto. Mi piace passeggiare fra partenze ed arrivi ed osservare l’umanità che si alterna, fra gente assonnata per l’orario od il jet lag, oppure persone freneticamente in corsa perché sono in ritardo o perché (perdonatemi, ma ce ne sono più di quante possiate pensare) hanno urgentemente bisogno di una toilette.

Quando qualcuno tra questi mi sembra più interessante, mi siedo su di una panchina e lascio viaggiare la fantasia.

Ieri mattina, per esempio, ho visto una ragazza con uno sguardo triste, atterrata da pochi minuti da Bordeaux.

Si chiamava Stéphanie Clavet, ed aveva trentatré anni. Carina, viso pulito, occhi e capelli castani. Ma quel velo di malinconia che la ricopriva era sufficiente a tenere lontani gli altri passeggeri di un buon mezzo metro.

Non le è capitato nulla di che. Abita a Libourne, una quarantina di chilometri da Bordeaux. Fino a poco tempo fa, condivideva un appartamento con un uomo, tale Olivier. La loro è stata una storia d’amore travolgente, di quelle che ti cambiano improvvisamente le prospettive: un attimo prima hai in mente solo il lavoro ed una vacanza semiavventurosa con le amiche, ed il momento successivo pensi a quanto sarebbe bello caricare tuo figlio sul seggiolino e partire con tuo marito per un villaggio turistico.

Non c’è stato il tempo materiale perché lei desse alla luce un figlio. Tranquilli, non è successo nulla di particolarmente triste. Stéphanie ha semplicemente scoperto, dopo tre anni di convivenza, che la ex di Olivier non era poi tanto ex. Lui ha giurato e spergiurato di non averla più vista, tantomeno frequentata. Probabilmente si trattava della verità, ma quando lo ha messo alle strette, ha colto chiaramente nello sguardo del suo fidanzato una scintilla di passione per quella donna che non dovrebbe più esistere per un’altra persona, quando stai pianificando il futuro con la tua nuova compagna di vita.

E pensare che se Stéphanie non avesse letto per caso un messaggio ammiccante sul telefono di Olivier, probabilmente la storia clandestina fra i due non più ex sarebbe ricominciata come il più classico dei tradimenti, e lei del tutto ignara della verità si sarebbe piacevolmente stupita del rinnovato affetto che il suo infedele compagno le avrebbe dimostrato.

La donna è invece atterrata in Italia.

Ha atteso il periodo giusto per prendersi tre settimane di ferie, indispensabili per superare lo shock della fine della relazione più importante della sua vita, interrottasi sul più bello per l’intromissione di una rivale con cui non avrebbe potuto competere, perché era troppo radicata nel cuore del suo uomo.

Stéphanie spera che l’Italia l’aiuti a cambiare il suo umore. Quella mattina ha fatto una puntatina a Bergamo, che ha scoperto essere molto interessante ed è comoda da raggiungere dall’aeroporto. Quindi raggiungerà Milano, dove soggiornerà per poi spostarsi verso le meravigliose mete che si è prefissata: Verona, Venezia, Firenze, Roma… Grandi classici, ma non ha ancora avuto occasione di visitare la penisola più famosa del mondo, fatta eccezione per una vacanza al mare quando era bambina.

Se poi, noleggiando un’auto e lasciando Firenze alle spalle per perdersi tra le colline toscane, dovesse incontrare una persona che la trattenga dal tornare a Bordeaux, chi è lei per sottrarsi al suo destino. Que serà, serà.

Le auguro ogni bene, sembra davvero una brava persona e non merita di indossare quell’espressione triste.

Tutt’altro atteggiamento aveva un uomo sui quarantacinque anni, arrivato con la famiglia da Trapani. Lo guardavo e non capivo: scriveva con grande concentrazione ad una donna sullo smartphone, l’ho intuito intravedendo l’applicazione di messaggistica colma di emoticon, tra cui una profusione di cuori. Nonostante la moglie fosse solo due passi più avanti, non sembrava che lui fosse preoccupato dalla gelosia della donna. Né che i due figli che camminavano ai loro lati potessero riportare alla madre il contenuto della conversazione.

Poi, ho finalmente capito. L’uomo, Salvatore Basile, elettricista storico di Mazara del Vallo ed appassionato di musica folk, stava contattando nientemeno che la sorella gemella. La donna, residente da anni in provincia di Brescia ad una trentina di chilometri da quell’aeroporto, aveva appena regalato al fratello il primo e probabilmente unico nipotino, al quale si doveva quella gita di famiglia fuori stagione.

Era un momento molto importante per loro due.

Avevano perso i genitori ormai alcuni anni prima, e ne avevano sofferto entrambi terribilmente, consapevoli di avere salutato per sempre i due fari della loro esistenza, esempi di cosa significhi l’amore ed il rispetto reciproco all’interno di una coppia. Dopo tanti anni di unione coniugale non avevano smarrito il desiderio di sorprendersi, o di appellarsi vicendevolmente con nomignoli affettuosi. Non avevano potuto fare molto per contribuire alla solidità economica dei gemelli, ma gli insegnamenti che avevano loro impartito si erano dimostrati più che sufficienti.

Se tuttavia Salvatore era rimasto nella città natale, crescendo i figli vicino ai nonni e coltivando il rapporto con loro fino al termine della vita dei genitori, Rosalba dopo gli studi era emigrata in Lombardia, non rientrando in Sicilia se non per eventi straordinari o per le mai abbastanza lunghe vacanze estive.

La donna aveva pertanto patito molto di più la scomparsa dei genitori, sentendo la mancanza di un rapporto interrotto tanti anni prima per inseguire la carriera lavorativa.

La malinconia si era avvolta intorno al suo cuore come un guanto confortevolmente opprimente. Aveva cercato senza successo una via di uscita, finché un uomo più tenace dei tanti che l’avevano corteggiata nel tempo era riuscito a guidarla verso la convivenza, e da lì il passo verso la maternità era stato relativamente breve.

Ora, il nuovo arrivato in grembo, Rosalba sembrava avere ritrovato la vera felicità, di nuovo completa e piena nei suoi sentimenti.

Il suo gemello aveva avvertito il grande ed atteso cambiamento, e non vedeva l’ora di riabbracciare la sorella e di conoscere quella piccola ed innocente creatura che gliel’aveva restituita, nelle vesti della donna piacevolmente ironica e sorridente che era sempre stata.

Quando ho visto Salvatore sfilare di fronte a me, preso sottobraccio dalla moglie, il loro sorriso complice, sincero e spontaneo mi ha davvero scaldato il cuore.

Ma non è solo l’amore il grande protagonista di quei corridoi, così ricchi di umanità variegata.

C’è anche la meraviglia, come quella che ho letto negli occhi di un bambino molto speciale.

Si aggirava per gli ampi spazi tra i negozi e le varie aree dell’aeroporto, mentre i genitori vegliavano su di lui a debita distanza, lasciandolo libero di esplorare.

Diverse persone si voltavano o si mostravano infastidite dal suo comportamento che, se avesse avuto la possibilità di maturare delle competenze sociali, si sarebbe potuto definire impertinente. Non lo era affatto: ogni cosa intorno a lui lo affascinava, ogni persona od oggetto era una scoperta, ed anche se poco restava nella sua memoria di queste esperienze, riuscivo a cogliere l’emozione che lo pervadeva.

Ad un certo punto, Paolo (così lo chiamavano i genitori) si è avvicinato a me. Ha fatto il giro intorno alla panchina su cui mi ero accomodato quel giorno. Non mi sono voltato, ma speravo con tutto il cuore che desiderasse interagire con me.

Così è stato: i miei capelli cortissimi lo hanno attirato, e che piacere dev’essere stato scoprire la sensazione che gli trasmetteva passarmi a ripetizione una mano sopra la testa, con tutte quelle punte delicate che ricordano una spazzola a setole morbide.

I genitori si sono avvicinati per richiamarlo, ma ho chiesto loro di lasciarlo fare.

Quel contatto è durato poco, il suo passaggio molto di più. Ho riflettuto per diversi giorni su quali sensazioni popolino l’anima di una persona come Paolo, ed ovviamente non ho trovato molte risposte.

Quello che è certo è che ho dovuto usare la fantasia per regalare nomi ed emozioni alle persone che incrocio in aeroporto, o nei luoghi in cui mi lascio catturare dall’osservazione dell’umanità di passaggio. Probabilmente, i vari Stéphanie e Salvatore sono comuni vittime della routine, felici solo quando il mondo circostante comunica loro che è giusto esserlo.

Con Paolo, non è stato necessario. Le emozioni sono parte integrante della sua genuina spontaneità. Da una parte vorrei aiutarlo a progredire verso pensieri e comportamenti che gli consentano di sentirsi perfettamente incluso nella società.

Dall’altra, in un piccolo angolo della mia mente vorrei recuperare quella naturalezza nel leggere il mondo che perdiamo troppo presto, durante gli anni della nostra infanzia.