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Racconti brevi

L’assalto degli Oru

Seduto comodamente ad occhi chiusi sul divano di casa sua, Patrick inspirò ed espirò profondamente, lasciando scivolare via lo stress accumulato durante la giornata. Intorno a lui c’era il buio, creato artificialmente dalla chiusura delle tapparelle e dall’assenza di altre persone in casa che avessero bisogno delle luci accese.
L’unico suono proveniva dal suo smartphone, che riproduceva rumori bianchi tramite un’applicazione.
Ripeté di nuovo l’operazione: inspirare; espirare; inspirare; espirare.
Sentì il corpo completamente rilassato, e la mente del tutto sgombra da pensieri.
Era il momento di riaprire gli occhi.

Nebbia.
Strano, era certo che sarebbe comparso in un’ampia vallata, ventilata e priva di corsi d’acqua.
All’improvviso, capì. Maledetto olfatto! Quello era l’unico senso che il suo cervello non riusciva ad elaborare in quel luogo senza dove.
Non era infatti nebbia, ma fumo: il villaggio stava andando a fuoco!

Corse a perdifiato nella direzione che gli sembrava corretta, pur non vedendo praticamente nulla.

Ad un certo punto, il terreno si inclinò rapidamente ad indicare la presenza di una collina: doveva essere il luogo su cui gli abitanti avevano eretto una torre di guardia. Data la situazione, Patrick si sarebbe aspettato di sentire voci concitate giungere da lì verso il villaggio, invece nulla. Evidentemente, l’incendio doveva essere iniziato parecchio tempo prima.

Era arrivato tardi.

Risalì il colle, trovandosi poco per volta al di sopra del fitto del fumo. Voltandosi in direzione del villaggio, tuttavia, non riusciva a vedere ancora nulla.

Di fronte a lui si stagliava la torre. Non era altissima, tuttavia era più che sufficiente per tenere d’occhio le due vallate gemelle e prevenire in tal modo l’arrivo di possibili forze ostili.

Patrick varcò la porta, lasciata spalancata. Era un chiaro segno del fatto che la coppia di guardie aveva lasciato frettolosamente quel luogo. Un dettaglio che certamente non lo stupì.

Si arrampicò lungo gli stretti scalini, fino a giungere di nuovo all’aria aperta. Anche da lassù, il villaggio era coperto dalla coltre di fumo. Riusciva ad intuire il profilo di alcuni edifici in pietra, ma non gli fu possibile capire se ci fossero delle persone indaffarate a cercare di spegnere l’incendio. Non avendo un fiume a disposizione, ma solo un pozzo e peraltro piuttosto profondo, gli sventurati abitanti avrebbero in ogni caso avuto enormi difficoltà a contenere un disastro di quelle proporzioni.

Se non erano lì, dove si trovavano ora i paesani? Patrick non poteva accettare l’idea che nessuno di loro fosse sopravvissuto al tragico evento.

Voltandosi in direzione della vallata gemella per scorgere l’origine dell’accaduto, vide invece in lontananza e con sorpresa la popolazione che stava cercando. Erano evidentemente in fuga verso luoghi più sicuri, avendo dovuto accettare a malincuore che per il villaggio non c’era più speranza.

Patrick urlò con quanto fiato aveva in gola per richiamare la loro attenzione, tuttavia erano troppo lontani ed il vento spirava in direzione sfavorevole. Considerato il passo reso lento dalla malinconia e dal peso della sconfitta, l’uomo capì che in una decina di minuti di corsa li avrebbe raggiunti. Scese pertanto senza esitazione i gradini e prese a correre nella loro direzione.

Giunse alle retrovie della carovana nel tempo atteso, piegandosi sulle ginocchia per recuperare dallo sforzo.

Il gruppo si era accorto di lui, ma nessuno aveva voglia di accoglierlo con il consueto entusiasmo.

L’unica persona che si rivolse esplicitamente a lui fu Klothy. Nelle parole della ragazza, la rabbia aveva preso il posto dell’affetto che caratterizzava il loro rapporto: «Sei arrivato troppo tardi! Dov’eri, quando più avevamo bisogno di te?»

La giovane scoppiò in lacrime, confortata dalla madre con un abbraccio più doveroso che arricchito dal necessario affetto. Anche la donna osservò Patrick con evidente rancore, quasi che l’uomo avesse colpa per quanto era accaduto, e di cui lui ancora non sapeva pressoché nulla.

Quel sentimento nei suoi confronti nasceva dalla scelta dell’uomo di non fermarsi mai a lungo nella terra di Kindra. Lui aveva cercato di spiegarne la ragione, ossia il fatto di poter restare laggiù solo durante uno stato di trance raggiunto durante la meditazione: se qualcuno fosse entrato in casa sua e lo avesse risvegliato bruscamente, avrebbe corso il rischio di rimanere intrappolato fra le due dimensioni. Peggio, sarebbe potuto entrare in un coma irreversibile.

In quel momento, una spiegazione così chiara e condivisibile non poteva essere accettata da chi aveva appena perso tutto, e grazie al suo aiuto avrebbe potuto difendersi dalla minaccia. Ma quale?

«Volete dirmi cosa è successo?»

Solo le due donne restarono con lui. Il resto degli abitanti continuò a camminare, voltando verso di lui solo la coda di un occhio con distaccato disprezzo.

La voce di Klothy giunse a lui appena udibile: «Sono stati gli Oru.»

Ancora loro. Quel maledetto popolo di razziatori a cavallo.

Erano nemici giurati di tutte le genti che cercavano stabilità e progresso, perché non concepivano una vita rinchiusa in una dimora che non fosse rappresentata dal cielo aperto.

Quella spiegazione non era tuttavia sufficiente. La torre di guardia avrebbe dovuto prevenire un attacco, e sotto la guida di Patrick erano state costruite solide mura: «Le difese non hanno funzionato?»

«Sembra che qualcuno all’interno del villaggio abbia aperto le porte.»

«Viandanti insospettabili.»

«No, sai bene che qualsiasi straniero non passa inosservato, e non c’era nessuno di estraneo in paese al momento dell’attacco.»

«Quindi, qualcuno è stato corrotto. Immagino che cammini ancora fra di voi.»

«Se questo è davvero ciò che è accaduto, sì: il traditore è fra di noi.»

Patrick ebbe un’idea: «Il sole sta iniziando a calare. Non appena la popolazione si coricherà per la notte, troveremo l’infiltrato.»

La carovana proseguì la marcia fino a raggiungere un fiume ai piedi di una collina. Sembrava una posizione perfetta per rifocillarsi e sostare in posizione sufficientemente sopraelevata da consentire di scorgere nuove minacce. Quella terra era infatti poco conosciuta a tutti loro, perciò erano ignari dei pericoli che stavano correndo in quei momenti.

Nessuno volle scambiare storie intorno al fuoco. Troppo basso era il morale, così come la voglia di rubare all’uomo che giungeva da un altro mondo qualche nuova e prodigiosa conoscenza.

Quest’ultimo finse di dormire come tutti gli altri. In verità, prima di stendersi osservò la posizione degli uomini di guardia e del popolo che cercava di trovare nel sonno una tregua dalla frustrazione.

Capì in fretta a chi doveva attribuire la colpa per l’accaduto: sembravano essere due persone, un ragazzo ed un uomo di mezz’età. Non era strano che, se ricordava correttamente, si trattasse di padre e figlio. Evidentemente, uno dei due era stato contattato e corrotto, quindi aveva parlato con il parente perché si dividessero il compito e spalancassero al momento giusto le due porte cittadine.

Circa due ore più tardi, nel silenzio generale sentì una guarda parlare sottovoce con uno tra costoro, probabilmente il più giovane. Capì che quest’ultimo si stava allontanando con la scusa di una necessità fisiologica. Astuto: pochi minuti più tardi ci sarebbe stato il cambio della guardia, così si sarebbero allontanati entrambi senza dare nell’occhio alle stesse persone.

Così accadde.

Patrick si alzò poco dopo il genitore, avvicinandosi alla guardia che lo aveva lasciato andare.

«Dove vai? Anche tu di vescica debole?»

«No, e non lo sono nemmeno loro.»

«Loro chi?»

«L’uomo che se n’è appena andato ed il figlio che ha lasciato l’accampamento prima del cambio della guardia.»

«Cosa stai dicendo? Pensi che siano stati loro…»

«Non lo penso, ne sono certo. Vedi quel luccichio? E’ la lama del coltello che il padre tiene alla cinta.»

Le guardie corsero all’inseguimento. Patrick non andò con loro, preferendo sostituirsi alla guardia, tuttavia alcuni uomini avevano sentito tutto e si unirono alla caccia.

Circa mezz’ora più tardi, i fuggitivi vennero ricondotti di fronte ad una piccola folla furiosa e che pretendeva una spiegazione, anche se non l’avrebbe mai accettata.

«Ci hanno offerto oro. Tanto oro, quanto non ne abbiamo mai visto prima. Non possiamo pretendere il vostro perdono, ma negli ultimi tempi eravamo in grossa difficoltà, spesso non avevamo cibo da mettere in tavola.»

L’uomo proruppe in un pianto disperato. Aveva venduto il suo villaggio in cambio di una piccola fortuna, ma anche di una vita da raminghi per lui e per suo figlio.

Il popolo senza patria sovrastò il suo lamento con insulti e minacce.

Patrick cercò di calmarli: «Questi uomini hanno sbagliato, non c’è dubbio. Ma in questo momento la priorità e trovare dei mezzi di sostentamento e per costruire un nuovo luogo in cui vivere, sicuro e prospero.»

«E come dovremmo fare? Non abbiamo più nulla!»

«Ci aiuteranno loro.»

Le espressioni perplesse dei presenti non si smorzarono di fronte al sorriso furbo dell’uomo giunto da un altro mondo.

Padre e figlio raggiunsero i nomadi Oru dopo due giorni di cammino. Le tracce degli zoccoli erano evidenti lungo i prati, ma i cavalli correvano per buona parte della giornata, perciò era stato impegnativo colmare la distanza.

«Ecco qui i nostri infiltrati! Bravi, avete fatto un ottimo lavoro. Tenete quanto pattuito.»

Il padre raccolse il sacchetto colmo di monete sonanti, che tuttavia non rispecchiava quanto si sarebbe atteso: «Penso che ci sia un errore, sarà al massimo la metà dell’oro concordato.»

«Vero, perché la cifra non era a testa, ma per tutti e due. Non siete forse padre e figlio?»

L’uomo capì che non aveva senso discutere con quella gente, avrebbero potuto legarlo ad un cavallo lanciato in corsa in qualsiasi momento.

Riprese pertanto la parola: «D’accordo, mi sembra giusto. Vi chiedo solo di accettare questo piccolo dono come ringraziamento per l’opportunità che ci avete offerto, in un momento in cui la nostra famiglia era in difficoltà.»

Il capo Oru e le sue guardie del corpo accolsero quel sacchetto di carta con sospetto ma anche curiosità. Non avevano mai visto quel materiale, né tantomeno quanto conteneva.

«Cosa sarebbero?»

«Funghi, ma di ottima qualità. Vengono da un bosco vicino al nostro vecchio villaggio, e sono molto famosi nella nostra zona, ma credo che non vi sia mai capitato di provarli. Sono da mangiare così come li vedete.»

Una guardia squadrò il padre con perplessità: «Non starai cercando di avvelenarci, spero!»

«Io? E perché mai, chiunque di voi dovesse sopravvivere, ci cercherebbe anche in capo al mondo. Ma se vi fa sentire più sicuri, ne assaggeremo prima uno a testa io e mio figlio.»

Così fecero, cercando di celare la mano tremante in attesa degli effetti descritti da Patrick.

Le conseguenze dell’ingestione di funghi allucinogeni era stata descritte da quest’ultimo come non letale, ma sufficiente a mettere fuori combattimento l’intero ed impreparato campo dei nomadi Oru per diversi minuti, se non addirittura qualche ora.

L’uomo era riuscito a portare con se quei funghi come qualsiasi prodotto naturale che desiderava condurre dal suo mondo, mentre il trasferimento di oggetti artificiali sconosciuti in quella realtà non gli era possibile. Aveva avuto quella idea perché detestava ciò che gli Oru avevano fatto, ma non poteva accettare di muovere in qualche modo guerra e vedere altre persone perdere inutilmente la vita. Il tempo non gli era certo mancato, grazie alla lunga rincorsa durata ben due giorni.

Dopo pochi minuti, padre, figlio e l’intero accampamento Oru erano in preda agli effetti delle allucinazioni. Fu così che gli abitanti senza più villaggio riuscirono a rubare loro tutti i cavalli, fuggendo poi rapidamente e portando con loro i due traditori ancora sotto l’effetto delle droghe naturali.

Dopo alcune ore di cavalcata, raggiunsero il grande mercato equino di Silkvale. Qui vendettero la gran parte degli animali, ottenendo in cambio denaro sufficiente a consentire loro di pensare con un minimo di ottimismo al futuro.

Nei giorni successivi, venne individuato un punto sopraelevato ed abbastanza ampio da poter ospitare un nuovo villaggio con delle mura. Un ampio bosco nelle vicinanze e due corsi d’acqua rendevano quel luogo così adatto che si stupirono che non fosse stato abitato in precedenza, ma d’altra parte quella regione era prevalentemente popolata da tribù nomadi.

Lavorarono alacremente per settimane e settimane, fortunatamente senza nuovi attacchi. Gli Oru erano allo sbando: voci giungevano dai territori circostanti per raccontare quanto quel popolo si fosse separato in clan che continuavano a darsi battaglia per una miserevole supremazia. Il racconto di come la gente di Patrick li avesse lasciati con le terga al suolo aveva fatto il giro della regione, perciò tutti li temevano e guardavano con rispetto il nuovo insediamento.

Alla fine, prima che un nuovo inverno arrivasse e li trovasse senza un riparo, il villaggio era rinato. Era molto più grande, sicuro e dominava una prospera vallata, che gli abitanti avevano già iniziato a coltivare sotto le indicazioni dell’uomo giunto da un altro mondo.

Al quale, è giusto dirlo, faceva sempre più raramente ritorno. Aveva capito che il suo posto era laggiù, accanto a quella gente che pendeva dalle sue labbra e ad una ragazza che gli stava rubando sempre più il cuore.