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Racconti brevi

Dimenticare Momo

Jenny stuzzicò distrattamente il piercing al sopracciglio destro. Lo aveva da così tanto tempo che quasi non ci faceva più caso.
Sullo smartphone scorrevano post che non riuscivano a fare breccia tra i suoi pensieri, ma non per questo le veniva voglia di condividere con il mondo la sofferenza che stava affrontando: molti l’avrebbero ritenuta banale, così poco interessante da far venire loro voglia di deriderla, come si usa al giorno d’oggi.
Non aveva bisogno di aggiungere altra rabbia e malumore alla sua giornata.

Decise che era giunto il momento.

Sul telefonino avviò per l’ennesima volta Snuff degli Slipknot, una ballad malinconica sulla fine di una storia d’amore. Non aveva mai trovato un brano che riuscisse a capirla così a fondo, soprattutto in quelle ultime parole che Corey Taylor ripeteva con la sua voce graffiante: Se ti importa ancora, non farmelo mai sapere.

Era esattamente ciò che pensava: se in quel momento Momo stava ancora pensando a lei, Jenny aveva bisogno di restarne all’oscuro, poiché temeva che nonostante tutto, i suoi sentimenti per lui l’avrebbero costretta a perdonarlo, cascandoci di nuovo, per poi trovarsi a soffrire ancora e ancora.

Perché di una cosa era certa: lui non sarebbe mai cambiato, né per lei, né per nessun’altra.

La canzone le strappò come ogni volta alcune lacrime. Erano sempre di meno ad ogni occasione, Ma ciò non significava che lei stesse meglio. Più semplicemente, era un chiaro segno che avrebbe dovuto cercare altri modi per elaborare le sue ferite interiori.

Sua madre bussò alla porta per avvisarla che la cena era in tavola. La donna sapeva già che Jenny non le avrebbe risposto, ma era suo dovere quantomeno tentare, sperando che il giorno in cui quella porta si sarebbe riaperta spontaneamente arrivasse presto.

La ragazza fece come sempre finta di non sentire.

Una conseguenza di questo stato emotivo era una marcata passività verso il mondo esterno. Da quando aveva concluso due mesi prima un contratto come barista in un pub della cittadina in cui viveva, era perciò rimasta senza un impiego. Apri distrattamente un’applicazione che elencava gli annunci di lavoro nella sua zona, più per abitudine e per dare un contentino ai suoi genitori che per l’effettivo desiderio di tornare a misurarsi con qualche datore di lavoro geloso dei suoi quattro spicci, oppure con dei colleghi freddi e dispettosi, impegnati ad evidenziare la loro superiorità professionale.

Un’inserzione sponsorizzata attirò la sua parte cosciente. Veniva ricercato un profilo che non c’entrava nulla con il suo, e la zona era totalmente distante da quella in cui lei viveva: che razza di indicizzazione veniva fatta per far comparire quegli annunci a pagamento sul profilo degli utenti?

Si sforzó di approfondire, giusto per capire se in fin dei conti ci fosse qualche aspetto parzialmente coerente con il suo curriculum.

“Cercasi ragazza predisposta al sacrificio per aiutare la titolare di un’azienda agricola biologica nelle principali attività. Si richiedono buona volontà, disponibilità immediata ed a trasferirsi presso l’azienda per tre mesi, amore per la natura e pazienza. Si offrono vitto, alloggio ed un rimborso spese commisurato ai risultati dell’attività.”

Davvero singolare. Forse addirittura illegale: nessuna retribuzione effettiva, ma solo un possibile rimborso spese? Magari lo stipendio sarebbe stato formalmente equiparato al valore dell’affitto di una stanza e dei pasti, ma certamente era tutto molto strano.

Jenny dovette tuttavia ammettere che l’idea di quella fuga la intrigava parecchio. Per tre mesi, nulla che le ricordasse Momo o la sua incapacità di passare oltre.

La location, poi, esercitava su di lei un’attrattiva particolare, poiché le ricordava le vacanze di famiglia di un tempo: era in Val di Fassa, a circa milleduecento metri d’altezza.

Quell’opportunità sembrava costruita di proposito per darle un’occasione di rivincita.

Non perse un ulteriore istante: inviò immediatamente la sua candidatura, per poi pentirsene qualche minuto più tardi. Per compiere un salto simile bisogna essere pronti quantomeno per uscire dalla porta della camera da letto, per Jenny quel momento non era ancora giunto.

Eppure, prima o poi un calcio nel sedere sarebbe dovuto arrivare, affinché si decidesse a riprendere in mano la sua vita.

Quella spinta arrivò un paio d’ore più tardi, quando sorprendentemente la titolare dell’azienda la chiamò.

Jenny fu così sorpresa che tentennò per qualche secondo prima di premere il tasto verde sullo schermo. Poi, si disse che in fondo avrebbe sempre potuto rifiutare, ma non era mai una buona idea non rispondere dopo avere inviato un curriculum.

La voce all’altro capo della linea era cortese ed allegra, ma determinata. Voleva capire se la ragazza con cui stava parlando fosse solo alla ricerca di un posto in cui stare, oppure se sarebbe stata una valida aggiunta alla squadra al femminile.

La ragazza non volle nascondere nulla. Non era sufficientemente motiva per poter condurre un classico colloquio in cui avrebbe messo in luce solo i suoi punti di forza.

Spiegò pertanto di avere bisogno di una mano che la tirasse fuori da una situazione sentimentale che l’aveva fatta soffrire più del dovuto. Forse perché aveva scoperto il tradimento da parte del suo fidanzato in un momento in cui era certa che il loro amore sarebbe durato per sempre. Momo era stato davvero bravo, stordendola con attenzioni sempre più frequenti per guadagnare la sua fiducia pressoché incondizionata. Le era piaciuto a tal punto ritrovarsi circondata da un torrente di affetto, che spesso si chiedeva se non sarebbe riuscita a passare oltre alla sua infedeltà.

Quando si risvegliava dal torpore ed emergeva da quell’enorme senso di vuoto, capiva che in fondo non era quel ragazzo che stava cercando di riavere nella sua vita, ma le sensazioni che lui gli aveva regalato, figlie di una menzogna ordita da uno scontato doppiogiochista.

Durante la telefonata non spiegò ovviamente in dettaglio tutto quanto le era capitato, tuttavia fece trasparire la sua delusione ed il bisogno di ripartire lontano da casa, dalla famiglia e soprattutto dagli amici in comune con Momo.

«Benissimo. Ti senti pronta a regalarmi questa energia che stai tenendo dentro di te?»

Jenny sentì che dentro di lei qualcosa aveva iniziato a cambiare. La forza che aveva raccolto per confessare l’origine delle sue sofferenze era la dimostrazione di un inizio di ritorno alla vita esterna al suo inconscio.

«Sì, sono pronta. Posso venire in qualsiasi momento.»

E così fu. La sera successiva Jenny arrivò a Soraga, in provincia di Trento, a quasi trecento chilometri da casa.

I suoi genitori l’avevano salutata con un minimo di preoccupazione, ma anche con l’enorme sollievo di avere colto in lei un segno di ripresa.

Michela, giovane titolare che aveva solo sei anni più di lei, la accolse a braccia aperte. Per quella sera si limitò a condividere con lei la cena e ad aiutarla a prendere possesso della sua stanza.

Il mattino successivo fecero il giro dell’azienda. Visitarono le stalle, il caseificio, le arnie e infine l’orto, a cui Jenny avrebbe dovuto dedicare la maggiore attenzione. Era infatti l’area di attività che richiedeva minori conoscenze pregresse.

Per quanto riguardava il resto del personale, si trattava principalmente di manodopera stagionale, ma come la ragazza notò rapidamente non c’era nessuno che avesse come lei l’opportunità di risiedere direttamente nelle stanze del bed & breakfast, che avrebbe riaperto le porte il mese successivo dopo alcune settimane di pausa.

«Gli altri lavoratori sono più o meno gli stessi ormai da qualche anno, e vivono tutti in zona. Quando ho pubblicato l’annuncio stavo cercando qualcuno che avesse voglia di dedicarsi all’azienda in un altro modo, diciamo più profondo ed interiore: volevo che la vivesse giorno e notte come faccio io, affezionandosi a tutto ciò che le appartiene e contribuendo con nuove idee per migliorare. Tu hai l’età che avevo io quando ho iniziato, mentre completavo gli studi in agraria ed in attesa che i fondi regionali mi aiutassero a fare un salto di qualità. Spero che mi aiuterai a pensare fuori dagli schemi, come facevo io quando avevo il tempo di mettermi a riflettere.»

Jenny non si spaventò per quelle aspettative. Quando si sentiva emotivamente stabile, sapeva parlare senza peli sulla lingua. A seconda del responsabile con cui interagiva, quell’atteggiamento poteva essere visto come un pregio oppure un difetto. In quel caso, non c’era dubbio sul fatto che i suoi consigli sarebbero stati apprezzati. Doveva solo lasciare che gli ultimi residui di delusione e di malinconia scivolassero via lungo le vallate alpine, per tornare da Momo e condizionargli inconsapevolmente e negativamente l’esistenza.

I giorni iniziarono ad alternarsi alle notti dapprima con la naturale ed attesa successione, quindi sempre più rapidamente. Questo perché la nuova lavoratrice dell’azienda agricola si stava dando un gran da fare, e non solo per scacciare i cattivi pensieri: il passato le faceva sempre meno male, ed i sentimenti per quei luoghi erano progressivamente più forti.

Aveva anche assistito alla nascita di un vitellino, un’emozione così forte ed intima che le fece venire voglia di non staccarsi mai più da quella creatura.

Michela notava tutti i cambiamenti nella nuova arrivata, che poco per volta sembrava sempre più a suo agio, rapidamente autonoma e ricca di iniziativa. Certo, ogni tanto le sue buone intenzioni andavano incanalate nella giusta direzione, ma la titolare scoprì che non si trattava di una persona permalosa, nonostante i modi diretti e quell’ombra nell’anima che aveva mostrato al suo arrivo, ed a cui aveva fatto cenno durante il colloquio.

Le due ragazze impararono poco per volta ad apprezzare i rispettivi pregi ed a lavorare sui reciproci difetti per mantenere un rapporto sereno e positivo. Ci furono alcune discussioni, ma Jenny si rendeva subito conto di non avere conoscenze ed esperienza per controbattere, perciò faceva tesoro delle obiezioni che riceveva per crescere.

Una mattina, la più giovane tra le due uscì prima del solito nell’orto. Sapeva infatti che probabilmente Michela non sarebbe stata molto in forma, quel giorno, come aveva intuito dalla sera precedente.

La titolare si svegliò con fastidio. Avrebbe voluto dormire un altro secolo o due, ma non poteva permetterselo. Uscì pertanto dalle coperte e si avvicinò alla finestra. Spalancata la persiana, guardò fuori e vide la sua giovane assistente concentrata sull’attività che stava svolgendo. Colse un piccolo sorriso di cui la ragazza probabilmente non si era nemmeno resa conto. La luce del tiepido sole illuminò quel volto finalmente sereno, rendendolo ancora più radioso.

Il cuore di Michela perse un paio di battiti.

Cosa le stava accadendo? Non era davvero il caso di complicare il loro rapporto professionale.

Michela si affrettò a buttarsi sotto la doccia. Dopo una rapida colazione, uscì a controllare che fosse tutto sotto controllo.

«Ti sei alzata. Come stai?»

Di nuovo quel sorriso. Da vicino era ancora più doloroso.

«Meglio, grazie, anche se ancora non sono al cento per cento. Tu, invece?»

«Benissimo! Adesso vado alla stalla, ma prima volevo finire di sistemare l’orto perché ieri sera non sono riuscita ad anticipare il tramonto.»

«Ottimo! Sentiti libera di organizzarti come meglio credi. Io ne approfitterò per controllare un po’ di conti, ci vediamo fra un paio d’ore.»

Jenny si sorprese per quella ritirata immediata da parte di Michela, ma in fondo si vedeva sul suo volto che avrebbe avuto ancora bisogno di riposo.

La giovane ebbe la tentazione di entrare con lei e darle una mano, per verificare che non si stesse sforzando troppo anche solo per costringersi a restare in piedi.

Quel giorno, il loro rapporto sembrava invertito. A Jenny non dispiaceva, era una sorta di prova di maturità.

Dovette ammettere con se stessa che Michela era davvero una bella persona, una titolare decisamente rara per modi, comprensione e voglia di condividere le conoscenze. Al suo fianco sarebbe cresciuta molto, anche se al termine del contratto mancava poco più di un mese, e non era affatto sicura che nel suo futuro ci sarebbe stato nuovamente un impiego in quel settore.

Verso mezzogiorno, Jenny rientrò e si mise istintivamente ai fornelli per preparare il pranzo. Michela era infatti ancora assorta nella contabilità.

La ragazza decise di sondare il terreno, anche per capire cosa la titolare si sentisse di mangiare: «Tutto bene?»

«Sì, devo dire che non ci sono grossi problemi di cui dobbiamo preoccuparci. Ordini e prenotazioni per il B&B sono già sufficienti per coprire la gran parte delle spese che ho stimato fino ad inizio autunno, anche oltre se non ci saranno forti grandinate.»

«Allora perché quel volto serio, se posso chiedere?»

Michela non si era resa conto di avere indossato un’espressione severa.

«Non saprei, forse ero concentrata.»

Il tono non ammetteva ulteriori domande. Jenny per un istante pensò di avere fatto qualcosa di sbagliato, ma poi si convinse che doveva essere anche quello un effetto del malessere.

«D’accordo, torno in cucina a preparare qualcosa di leggero.»

Dopo che se ne fu andata, Michela si sentì in colpa. Stava facendo trasparire una freddezza nei confronti della ragazza che aveva origine solo in lei stessa, ed in un sentimento che aveva realizzato solo quella mattina, in un raro momento di debolezza fisica ed emotiva.

Ebbe la tentazione di correre in cucina ed abbracciarla, ma poi si disse che non ne aveva alcun diritto.

Jenny tornò indietro per chiederle conferma su ciò che stava preparando per loro e per la squadra che stava lavorando nei campi. Trovò Michela piegata sulla scrivania, una timida lacrima che faceva capolino all’angolo dell’occhio destro.

«Cosa succede? Devo chiamare un’ambulanza?»

La titolare trasalì, rialzandosi rapidamente. Sorrise, sentendosi davvero sciocca.

«No, non ti preoccupare, altrimenti dovrei andare in ospedale una volta al mese. Sto bene, almeno fisicamente.»

«Ho fatto qualcosa di sbagliato? Se c’è qualcosa di cui vuoi parlare, sono qui. Lo hai fatto tu con me quando sono arrivata qui, voglio poter ricambiare se ne avrai bisogno.»

Michela non riuscì più a controllare corpo e mente.

Si alzò, voltandosi verso Jenny e lasciando parlare il cuore.

«Non voglio che tu te ne vada alla fine del contratto.»

Le lacrime che sgorgavano ora copiose rendevano quella frase poco comprensibile.

«D’accordo, se vuoi che mi fermi ancora ne sarò felice.»

«Ma forse non è il caso. Anzi, non è il caso che tu resti un giorno di più. Ti pagherò il tempo che rimane.»

«Michela, non sto più capendo nulla. Cosa è successo?»

La donna, provata dalle emozioni, faticò a rispondere: «Una cosa terribile.» Si prese qualche istante, prima di proseguire con poche, ma definitive parole: «Mi sono innamorata di te.»

Jenny restò pietrificata. Non aveva minimamente colto quei sentimenti nei suoi confronti, anche se la sintonia fra di loro era cresciuta con una rapidità incredibile.

Michela riprese: «Capisci perciò che non voglio metterti a disagio, perché sono sicura che non potrai mai ricambiare quello che provo.»

La più giovane cercò dentro di sé una risposta. Capì che per tanto tempo aveva cercato una figura maschile che colmasse il vuoto lasciato da suo padre, che se n’era andato quando era ancora una bambina. Gli uomini l’avevano solo delusa, mentre ciò che la legava a Michela dopo nemmeno due mesi di convivenza era immensamente più forte e naturale.

«Sei solo un’arrogante, lo sai? Chi ti da il diritto di rispondere al posto mio?»

Michela spalancò gli occhi di fronte a quelle parole così fuori dal personaggio della Jenny che conosceva: «Cosa vorresti dire?»

«Dico che sono io a decidere quali sentimenti posso ricambiare.»

La ragazza si avvicinò con passo deciso verso la donna di fronte a lei, baciandola con passione e senza esitazione. Era la sua prima volta, e non voleva lasciare che la titubanza dovuta a quelle sensazioni nuove rovinasse un momento tanto importante.

Trovò dentro di sé la conferma di non avere commesso un errore.

Dopo alcuni istanti, Jenny e Michela si guardarono negli occhi, scoppiando in una risata timida e complice.

«Cosa stiamo combinando?» Ebbe il coraggio di chiedere la titolare dell’attività che aveva fatto da sfondo all’inizio del loro rapporto.

La più giovane le scostò delicatamente una ciocca di cappelli dall’occhio destro: «Stiamo semplicemente cercando di capire chi siamo veramente.»

Parole mature, pronunciate da una ragazza che aveva già guardato con attenzione dentro sé stessa, e che per questo motivo in quel momento era riuscita con maggiore facilità a leggere le ragioni di un’evoluzione imprevedibile nella loro amicizia.

Qualche settimana più tardi, l’azienda agricola si preparò per riaprire il bed & breakfast come da programma. Invitarono una persona speciale per un’anteprima e per le prove generali.

«Mamma, benvenuta!»

La madre di Jenny aveva accettato più che volentieri l’invito. Qualche giorno di relax gratuito nelle valli trentine non capita certo a tutti.

La donna era rimasta sorpresa per la decisione della figlia di prolungare la sua permanenza lavorativa in quel luogo così diverso dalla cittadina in cui era cresciuta: pensava che si sarebbe trattato di una semplice fuga per ritrovare sé stessa, invece sembrava che avesse incontrato una nuova dimensione che le calzava a pennello.

Trascorsero alcune ore, prima che Jenny prendesse la madre da parte per parlarle.

«Cosa succede?»

«Tranquilla, non c’è nulla di cui tu ti debba preoccupare. Almeno spero!»

«Così non mi aiuti!»

Il sole stava lentamente calando dietro i monti. I colori esplosero in tutta la vallata, rendendo l’atmosfera unica.

La figlia prese le mani della madre tra le sue per creare un contatto più profondo.

«Quando sono venuta qui, l’ho fatto soprattutto per dimenticare le delusioni che mi impedivano di essere me stessa.»

«Lo so. L’ho capito, ed ho ammirato tanto il tuo coraggio.»

«Non mi aspettavo di riuscirci fino a questo punto. Quassù sono letteralmente rinata.»

«E’ vero, ti vedo più felice: quando sorridi, ti si illumina tutto il viso.»

«Non è tutto merito mio. C’è una persona che mi ha aiutato molto, e di cui… Mi sono innamorata.»

«E’ una bellissima cosa: perché me lo dici come se fosse una notizia così difficile da dare?»

Un respiro profondo, prima di scoprire se sua madre avrebbe accettato la verità: «Perché questa persona è Michela.»

La donna allargò leggermente gli occhi, sorpresa ma forse al tempo stesso preoccupata di non volere trasmettere disagio alla ragazza.

«Questo proprio non me lo aspettavo.»

«Nemmeno io, ma è capitato. Siamo insieme da quasi due mesi, e non c’è nulla che mi faccia pensare di avere preso una decisione affrettata o irrazionale.»

Silenzio.

«Bene, mamma: cosa ne pensi?»

«Penso che se tu sei felice, non ho niente da chiederti se non di farmela conoscere meglio. E penso anche che gli uomini hanno fatto del male ad entrambe, non per loro cattiveria, o forse non sempre, ma semplicemente perché non siamo state fortunate nel trovare persone che ci capissero e ci stessero accanto come avremmo meritato. Se questa ragazza ha avuto il merito di tirarti fuori da quella stanza e trasformarti nella creatura radiosa che vedo di fronte a me in questo momento, non posso fare altro che ringraziarla!»

Le due donne si abbracciarono, creando una sintonia che la depressione che aveva affrontato Jenny negli ultimi tempi a casa aveva fortemente raffreddato.

Una ragazza aveva toccato il fondo. Aveva rischiato di perdere tutta l’autostima, di pregiudicare il suo futuro lavorativo, sentimentale e la propria indipendenza, tutto per un farabutto che si era approfittato di lei.

Ora, grazie ad una coraggiosa mano che aveva teso verso il destino, si era fortunatamente ritrovata. Non solo, aveva incontrato ed accolto il suo futuro dove mai avrebbe pensato.

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Favignana

La riva della costa siciliana si staglia di fronte a lei. Claudia sa che oltre quella breve lingua di mare sorge l’aeroporto di Trapani, da cui quella sera sarebbe rientrata a Bologna. Si sente mancare la terra sotto ai piedi al pensiero: quella fuga dalla vita familiare è durata decisamente troppo poco, il ritorno alla routine le crea un senso di angoscia quasi insostenibile.

Il Favonio giunge a scompigliarle i capelli, caldo e secco. Non ce ne sarebbe stata la necessità, perché la temperatura dell’aria è già sufficientemente piacevole da farle desiderare un bagno fuori stagione, ma non è più il momento. Correrebbe infatti il rischio di dover mettere in valigia la biancheria bagnata.

Guarda verso la grande isola invece che in direzione del mare infinito, ma non sa spiegarne il motivo.

Il suo desiderio di fuga giustificherebbe più facilmente la scelta di fondersi con l’orizzonte. Trova invece conforto nel mantenere il terreno in vista. La sua psicoterapeuta probabilmente le spiegherebbe che si tratta della ricerca di una nuova stabilità, perché non ha bisogno di ulteriori incertezze sul suo futuro. Ma come darle ancora retta, dopo avere scoperto che ha avuto una relazione con Stefano, suo marito?

Un grande classico.

Sei mesi prima, Claudia aveva sentito il bisogno di un aiuto, dopo anni in cui aveva trascurato i segnali di una preoccupante instabilità emotiva a causa di un matrimonio insipido trascinatosi per vent’anni, sommato ad una vita dedita unicamente ai figli ed al lavoro, mai a sé stessa. Non è certo una situazione anomala rispetto al resto dell’universo delle mogli e madri, ma i suoi due figli hanno ereditato l’apatia del padre, e quella mancanza di sentimenti la stava stringendo alla giugulare.

Aveva pertanto iniziato un percorso con una psicoterapeuta, che dopo alcune sedute aveva chiesto di coinvolgere anche suo marito per completare il quadro sulla sua paziente e per capire meglio le dinamiche conflittuali all’interno della coppia.

Apparentemente, l’uomo e la professionista si erano persi di vista dopo quell’unico incontro, ma alcuni segnali di mutua protezione nelle settimane successive durante le conversazioni di entrambi con Claudia avevano iniziato a far crescere in lei il sospetto che fosse accaduto qualcosa fra di loro.

La donna aveva trovato il coraggio per esporre il suo dubbio alla psicologa, che si era mostrata offesa per l’accusa di scarsa professionalità nell’essere venuta meno alla propria neutralità ed obiettività, deridendo per giunta la possibilità di una relazione con l’uomo.

Una sera, casualmente, l’apparente paranoica aveva tuttavia intercettato un messaggio sul telefono di Stefano in arrivo proprio dalla terapeuta. Il numero non era salvato in rubrica, ma Claudia lo aveva riconosciuto. L’anteprima dalla schermata di blocco non lasciava molti dubbi, considerato che lui non avrebbe dovuto nemmeno avere contatti con lei: “Cosa fai stasera? Mi…”

Non aveva resistito: aveva sottratto di nascosto il telefono al marito e, chiusa in bagno, lo aveva sbloccato leggendo il resto del messaggio: “Mi manchi, non posso resistere una settimana senza di te. Se ti liberi e vieni a casa mia, ti racconto una cosa che è saltata fuori durante l’ultima seduta che ti farà morire dal ridere. Rispondimi presto.”

L’emoticon con i cuori al posto degli occhi non sarebbe stata nemmeno necessaria, ma completò comunque un quadro piuttosto chiaro.

Poiché lui aveva colto l’occasione di un solo incontro per tradirla con una donna non particolarmente attraente, chissà quante volte doveva essere accaduto in precedenza. Claudia, sommersa dalle incombenze familiari e lavorative, non si era mai accorta di nulla. Che stupida.

Aveva messo la coppia fedifraga alle strette, ma si era ritrovata dalla padella nella brace.

La psicologa l’aveva minacciata di denunciarla, oltre a negare puerilmente che la seduta a cui si faceva riferimento nel messaggio fosse la sua. La moglie tradita si era infatti detta disposta a portare davanti ad una commissione la prova della violazione del segreto professionale, paventando la radiazione della professionista. La possibile denuncia da parte della psicologa era una difesa estrema di fronte ad un suo stesso palese ed ingenuo errore, ma Claudia si era resa conto di quanto la sua personalità mite non le avrebbe permesso di arrivare fino in fondo in un processo contro una donna caratterialmente così forte. Le motivazioni per mandarla a fondo sarebbero venute presto a mancare.

Si era pertanto concentrata su suo marito. Lui non aveva negato nulla di quella relazione, ma le aveva fatto notare due dettagli.

In primo luogo, i loro figli avrebbero certamente preferito stare con lui. Durante gli ultimi anni, infatti, mentre lei si impegnava per mandare avanti la casa e per seguirli con i compiti e gli impegni extrascolastici, rincorrendoli con urla e minacce per contrastare la classica poca voglia infantile di affrontare le proprie incombenze, lui era stato presente solo per passare con loro del tempo di qualità, fare il tifo alle partite di calcio e premiarli ad ogni minimo pretesto. Una versione estrema dei ruoli di agente buono ed agente cattivo, che Claudia in caso di separazione avrebbe pagato con un distacco pressoché completo dai suoi figli.

C’era poi la questione della casa, intestata completamente a Stefano in quanto ereditata dai genitori di lui, ormai venuti a mancare. Se a suo marito fosse spettata la custodia dei figli, probabilmente non avrebbe dovuto riconoscerle alcun mantenimento, anche perché lo stipendio più importante, per quanto non fosse certo sopra la media, era quello di Claudia. Lei si sarebbe ritrovata a dover sostenere con il suo lavoro un affitto, le bollette, le spese per l’automobile e le altre necessità primarie, e ad ogni imprevisto il suo conto sarebbe irrimediabilmente virato al rosso. Inoltre, la solitudine completa dopo tutti quegli anni di convivenza era una prospettiva persino peggiore rispetto all’apatia sommata alla frenesia della routine che sperimentava abitualmente.

Stefano la voleva ammanettare alla porta di casa perché da solo avrebbe faticato a mandare avanti la famiglia rivisitata al maschile. La psicoterapeuta doveva essere infatti l’ultima di una serie di amanti, che tali dovevano restare: lui non avrebbe mai voluto una donna dalla personalità forte che gli imponesse il suo stile di vita, molto meglio la remissiva Claudia, le cui caratteristiche non avrebbe tuttavia mai scelto in una nuova compagna perché non lo attraevano da un punto di vista prettamente materiale. Molto meglio tenersi stretta la schiava già consolidata, e nel frattempo continuare a coltivare le sue relazioni extraconiugali con donne caratterialmente più intriganti.

Dopo la minaccia di lasciarla sola e senza un soldo alla fine di ogni mese, Stefano aveva profuso scuse, lacrime e promesse per rendere meno opprimente la quotidianità. La moglie ferita e tradita aveva dovuto cedere per una mera mancanza di alternative. Ovvio che nel momento in cui fosse comparsa una via di fuga, l’avrebbe imboccata senza voltarsi, anche a costo di chiudere ogni sera in lacrime pensando ai figli lontani. Ma chissà quando avrebbe trovato quella porta aperta di fronte a sé, soprattutto perché a differenza di suo marito non era abituata, né caratterialmente predisposta, per guardarsi intorno in cerca di persone interessanti da frequentare.

La gita siciliana ha lo scopo di permetterle di respirare per qualche giorno. Nulla di sconvolgente, solo una boccata d’aria per poi tornare ad immergersi nella follia quotidiana. Stefano non ha avuto nulla da eccepire, sia perché non ne avrebbe avuto il diritto, sia grazie alla constatazione di come Claudia avesse mantenuto il proprio contributo alle necessità familiari sui livelli precedenti alla scoperta del tradimento, mostrando un’apparente serenità di fronte ai figli ed agli amici che aveva evitato a chiunque qualsiasi sospetto.

Al pensiero di quanto le costi recitare quella parte, la donna scoppia a piangere. La spiaggia di Bue Marino, diversi metri sotto la scogliera su cui si trova, in quel momento è pressoché deserta, e così anche l’area dove vengono lasciate auto e biciclette, tanto che non ci sono ambulanti in vista per la vendita di pane cunzato. D’altra parte è inizio ottobre, e per quanto il clima sia più che clemente, i turisti sono ormai lontani. Grazie a tutto ciò non si sente osservata durante quel momento di debolezza, di cui gode pienamente, libera dal giudizio sociale o psicoterapeutico.

Guarda l’orologio sullo smartphone: è ora di rientrare al porto di Favignana per prendere il traghetto verso Trapani.

Sale sull’auto a noleggio. Chiusa la portiera, si rende conto di avere ancora gli occhi appannati dalle lacrime. La malinconia per un presente che tanti anni prima aveva immaginato differente torna ad irrompere nel suo cuore, spingendola ad aprirsi nuovamente al pianto. Quando la forza dei singhiozzi la fa sobbalzare, si impone di riprendere il controllo, percuotendo con tre rapidi e forti pugni il volante. L’ultimo sfiora il clacson, che emette timidamente un richiamo non udito da anima viva.

Lievemente imbarazzata, Claudia si volta alle sue spalle per verificare che nessuno sia stato attirato dal suo momento di rabbia. Constatato che la sua visuale è sgombra da esseri umani, si concede una piccola risata nervosa e mette infine in moto l’auto.

Raggiunge il porto in una ventina di minuti. Dalla scogliera non aveva notato quanto il mare fosse agitato, teme che la pur breve tratta di rientro le causerà una nausea che renderà difficoltoso anche il successivo viaggio in aereo. La leggerezza di quella vacanzina solitaria sta già svanendo.

Si avvicina all’imbarco, dove trova un numero di persone superiore a quanto si aspettava. Sembra che ci sia un po’ di agitazione fra i presenti.

«E’ successo qualcosa?», chiede ad una signora leggermente fuori dal capannello.

«Il mare è troppo mosso, questa sera i traghetti non salpano. Non c’è modo di lasciare l’isola.»

Le sensazioni che Claudia sperimenta negli istanti successivi sono molto contrastanti.

Da una parte, nella sua ferrea programmazione delle giornate detesta gli imprevisti, soprattutto quando si ritrova ad affrontarli completamente da sola. C’è inoltre da considerare che molto probabilmente non riuscirà a farsi rimborsare il biglietto del volo, anche se in fondo si trattava di una tariffa particolarmente aggressiva.

D’altro canto, il senso di angoscia per il rientro a casa è improvvisamente scomparso, anche se prima o poi dovrà pure tornare a fare capolino.

«Signora, tutto bene?»

Claudia è sorpresa dalla domanda della donna: «Sì, a parte il fatto che dovrò organizzarmi per restare ancora qui. Perché me lo chiede?»

«Perché dopo la notizia che le ho dato si è messa a sorridere. Sono contenta per lei se non è un problema il fatto di restare bloccata qui.»

Evidentemente, per la donna e per la sua famiglia quella situazione rischia di creare difficoltà importanti. Claudia non ha alcuna voglia di empatizzare con una sconosciuta, perciò la saluta e si dirige verso il centro di Favignana per trovare un alloggio.

Mentre s’incammina, dà un’occhiata ad internet per cercare riferimenti e recensioni. Trova un posto che potrebbe fare al caso suo, un monolocale a due passi dal porto. Spera vivamente che sia disponibile, perché si sta facendo sera e non ha alcuna voglia di restare a spasso fino a tardi per poi infilarsi in chissà quale soluzione a qualche chilometro dal paese.

Fortunatamente, il numero che ha trovato è libero. Risponde un uomo, un po’ secco e sbrigativo nei modi: si vede che probabilmente non è periodo né orario per le telefonate di prenotazione, infatti è sorpreso quando scopre che si tratta di una cliente.

L’affittacamere le comunica che il monolocale non è pronto per essere messo a disposizione, soprattutto se si tratta solo di una notte. Di fronte alla voce delusa della donna, lui azzarda una proposta: ha una stanza in più a casa, può cederle quella; è l’appartamento confinante con quello che ha visto lei, perciò ugualmente comodo per il porto. Sul prezzo si metteranno d’accordo: per così poco, dice lui, non saprebbe nemmeno cosa chiederle, ma in qualche modo faranno, l’importante è non lasciarla in mezzo ad una strada.

Sorpresa da tanta gentilezza, Claudia si avvia verso l’indirizzo che le ha comunicato l’uomo. Si chiede se avrà la forza ed il coraggio di scappare, qualora trovasse qualcosa che non la convinca e non la faccia sentire al sicuro.

Giunge in pochi minuti al luogo indicato, suonando con una certa titubanza il citofono. Scende ad accoglierla una bella bambina di circa sette anni, con i lunghi capelli neri e mossi.

La donna avrebbe sempre voluto una figlia, ma dopo i due eredi maschi si era costretta ad interrompere la ricerca, perché non avrebbero potuto permettersi di sostenere un’altra bocca.

Da quella decisione, non riesce ad evitare di illuminarsi ogni volta in cui incontri una bambina.

«Ciao, io sono Claudia. Come ti chiami?»

«Lucia. Sei la signora che deve dormire in camera mia?»

Un momento di imbarazzo: sta sfrattando la bambina dalla sua stanza? Aveva capito che il letto fosse libero.

«Pare di sì, ma se preferisci posso cercare un altro appartamento.»

«No, sono contenta, così posso dormire con papà.»

Niente mamma, dunque. Almeno non avrebbe avuto problemi di gelosia. “Si tratta solo di una notte, Claudia, ce la puoi fare.”

Salgono in appartamento, dove trova il padrone di casa indaffarato con i preparativi della stanza.

«Mi scusi, ma proprio non mi aspettavo una chiamata in questo periodo. C’è mare mosso?»

Evidentemente si tratta di una possibilità già nota, anche se non così frequente, altrimenti gli esercenti avrebbero tenuto pronte le stanze in funzione delle condizioni di navigazione.

«Purtroppo sì, avrei avuto il volo da Trapani questa sera alle dieci ma dovrò rinviare.»

Quando i due adulti si guardano in viso, una volta che lui ha alzato la testa dalle lenzuola, sperimentano una strana sensazione. Percepiscono il legame che si sente normalmente all’interno di una famiglia, o tra persone che si conoscono da anni. Eppure, non è quasi certamente mai accaduto che si incrociassero prima di allora.

Lei è emiliana da generazioni. Quando ha provato ad indagare sul suo albero genealogico, ha interrotto le sue ricerche a fine Ottocento sull’Appennino reggiano, curiosamente per entrambi i rami della famiglia.

Lui è di origine calabrese, i suoi genitori si sono trasferiti a Favignana poco dopo la sua nascita per risistemare una palazzina ereditata da un parente con cui suo padre aveva un bellissimo rapporto. Da allora, la sua famiglia ha gestito attività di ricezione sull’isola con serenità ed un discreto profitto, anche se non possono certo considerarsi benestanti.

Eppure, c’è qualcosa nella presenza reciproca che li fa sentire istintivamente a loro agio.

L’uomo allunga la mano per presentarsi: «Piacere, sono Mauro.»

Stretta decisa ma non eccessivamente forte.

«Piacere Mauro, sono Claudia.»

«Venga pure, le mostro la stanza e poi le faccio vedere dove può trovare il bagno. Se ha bisogno di farsi una doccia, faccia come se fosse a casa sua.»

La donna si sentirebbe in imbarazzo ad approfittare fino a quel punto del loro appartamento, tuttavia apprezza la grande e naturale disponibilità.

Rimasta sola nella camera da letto della bambina, trova delle foto della madre. E’ decisamente probabile che le sia capitato qualcosa, e che non si tratti semplicemente di una separazione.

Mauro la sorprende con una cornice della donna in mano, ritratta sorridente fra il marito e la figlia.

«Ci ha lasciati ormai due anni fa. Lucia sente ancora molto la sua mancanza.»

L’uomo non accenna al suo vuoto. Evidentemente, sta facendo di tutto per tenere sotto controllo i sentimenti negativi perché non sovraccarichino la figlia.

«Mi dispiace, non volevo curiosare.»

«Non si preoccupi, se fosse stato un problema avrei tolto le fotografie prima del suo arrivo.»

La stanza si fa piccola, in attesa che uno dei due dica qualcosa.

Mauro si ricorda la ragione della sua improvvisata: «Cosa posso cucinarle per cena?»

«Non voglio chiederle anche questo, sta già facendo tantissimo per me.»

«Non si deve preoccupare, lo faccio con piacere. Comunque devo già preparare per noi.»

Claudia sente il bisogno di prendersi ancora una serata di svago, prima di organizzare il rientro a Bologna.

«E se mi sdebitassi portandovi fuori a cena?»

Si rende subito conto di avere sottinteso che quello sarà il pagamento per la camera, ma ormai la frase le è scappata di bocca.

L’orgoglio dell’uomo emerge con un sorriso: «Lei è ospite nostra, non potrei permetterle di offrire la cena. Le va’ uno spaghetto?»

Un’ora più tardi, si ritrovano tutti e tre a tavola in un ristorante del centro di Favignana.

Trascorrono una serata piacevole. Il clima è perfetto, il cibo già di per sé gustoso è reso speciale dall’aria di mare che giunge fino a lì, le chiacchiere leggere portano con loro risate di cui tutti e tre hanno bisogno. L’immagine di Lucia alle prese con gli spaghetti grondanti sugo resterà a lungo nella memoria dei due adulti.

Quando passeggiano verso casa, Mauro non riesce a negare a sé stesso quanto il sorriso di Claudia sia dolorosamente affascinante.

Nello stesso momento, Claudia non riesce a negare a sé stessa che vorrebbe abbracciare Mauro proprio in quel momento, sia per aiutarsi a vicenda a combattere la tristezza che hanno dentro di loro, sia perché le sue spalle larghe ed il suo sguardo determinato ma tutt’altro che minaccioso la fanno sentire protetta.

Quella sera si salutano e si augurano la buonanotte, ma entrambi gli adulti faticheranno a dormire. Lucia invece chiude gli occhi felice, sussurrando al padre: «Mi piace Claudia, la possiamo tenere con noi?» Mauro evita di rispondere, sperando che la figlia passi rapidamente al sonno senza sollecitargli un’opinione su quella richiesta.

Il giorno seguente, la bambina viene accompagnata dal padre a scuola. La donna si è alzata con loro, essendo abitualmente mattiniera, ma ha evitato di inserirsi nella routine dell’uscita di casa.

Cercando di organizzare il suo rientro a casa, Claudia scopre che anche per quel giorno non partirà nessun traghetto. Chiama suo marito per avvertirlo, lui si arrabbia per la scelta della donna di recarsi sulla piccola isola così in prossimità del volo di ritorno. Lei prova a controbattere, ma l’uomo chiude rapidamente la conversazione facendole pesare lo scarso attaccamento ai figli e fingendo palesemente una telefonata sul telefono di lavoro.

L’umore torna a farsi grigio.

Esce dall’appartamento, mandando un messaggio a Mauro per segnalargli che ha ancora necessità di un alloggio quantomeno per la notte successiva. Chiede se abbia qualche contatto per non continuare ad arrecare loro disturbo, precisando però che si è trovata benissimo e che in ogni caso avrebbe piacere a rivederli.

L’uomo la chiama pochi minuti più tardi: «Dove si trova?»

«Sto passeggiando a caso per Favignana.»

«Ha girato un po’ l’isola in questi giorni?»

«A dire il vero, no: ero arrivata ieri mattina dopo un weekend a Palermo.»

«Allora mi dia una mezz’ora: finisco una commissione e sono da lei.»

Claudia si chiede cos’abbia in mente Mauro.

Lo scopre quando lui arriva a prenderla in scooter, casco per il passeggero alla mano. Praticamente non parlano, partendo subito verso il capo occidentale dell’isola.

Raggiungono Punta Cala Grande. Lasciano il motorino, affrontando a piedi il marciapiede dell’approdo fino a ritrovarsi circondati dal mare.

«Non sarà il panorama migliore che lei abbia mai visto, ma personalmente adoro l’idea di perdere lo sguardo nell’orizzonte.»

La sensazione esattamente opposta rispetto a quella che aveva provato Claudia il giorno prima. In quel momento, tuttavia, anche lei sente di apprezzare il fatto di non scorgere la terraferma di fronte ai suoi occhi, forse perché ai margini del campo visivo ha le altre coste dell’isola ed il faro di Punta Sottile. Una fuga verso l’infinito con dei solidi punti di riferimento a portata di mano.

«Ti ringrazio, avevo proprio bisogno di questo senso di libertà. Finché sono rimasta sola, non riuscivo a togliermi il peso di ciò che ho lasciato a casa.»

E’ passata istintivamente al tu. L’intimità di quel breve viaggio lo richiede.

«Posso chiederti cosa ti è capitato?»

«Non riesco certo a paragonarlo a quanto è accaduto a te, ma ho scoperto che mio marito aveva una relazione con la mia psicoterapeuta. Avevo cercato un aiuto perché anni di impegno per il lavoro ed i miei figli senza uno spazio per me stessa, senza un briciolo di affetto in cambio, mi avevano completamente annullata come donna. Direi che quell’aiuto mi si è rivoltato contro. Il problema è che non posso fuggire da quella situazione: non potrei permettermi di mantenermi, considerato che la casa è un’eredità di mio marito, inoltre dovrei rinunciare a crescere i miei figli, che certamente preferirebbero stare con il padre perché si è limitato a coccolarli per tutti questi anni. Pensa che in questi giorni hanno fatto fatica a rispondere al telefono, e non si sono certo sprecati a chiedermi quando sarei tornata.»

«Sono situazioni in effetti molto diverse. Sicuramente non invidio il fatto che dovrai costringerti a tornare in una casa in cui ti sentirai un’estranea, pur avendo il diritto di ritenere che saresti l’unica a poter restare.»

Non affrontano più argomenti tristi, per quel giorno. Pranzano lungo la strada, quindi tornano a Favignana dove lei si concede di riposare in stanza, mentre lui si dedica ad altre commissioni per i genitori, che gestiscono l’albergo di famiglia a trecento metri da lui.

Mille pensieri affollano le menti di entrambi.

Claudia temporeggia nel cercare un traghetto per il giorno dopo, perché non vorrebbe proprio lasciare l’isola.

Nemmeno Mauro vorrebbe vederla partire, ed avrebbe in mente una proposta folle per tentarla. Ma come si può chiedere ad una persona di trasferirsi dalla Pianura Padana ad un’isola siciliana, lasciando due figli a casa, non avendo nemmeno pensato di iniziare una relazione sentimentale che possa giustificare quella pazzia?

Alla fine, Claudia riesce a trovare il modo per rientrare, la mattina successiva. Aspetta ad acquistare il volo, non fidandosi di un eventuale ulteriore problema. Non le resta che chiudere quella breve ma stupefacente parentesi.

«Claudia, questa sera ceneremo dai miei genitori, al ristorante dell’albergo di famiglia. A meno che questo invito non ti metta a disagio, ma non sarà certo un evento formale.»

La donna accetta molto volentieri. Ha voglia di conoscere qualche tassello in più di quella famiglia, è certa che i nonni dell’adorabile Lucia saranno persone squisite.

Un paio d’ore più tardi ne ha la conferma. I genitori di Mauro si mostrano molto accoglienti e propensi per un’ironia leggera e mai fuori luogo.

Poco per volta si scivola sui racconti personali, anche perché nel frattempo Lucia è crollata a dormire per la stanchezza della scuola. Claudia non riesce ad evitare di confessare che, nonostante voglia bene ai suoi figli, il pensiero di rientrare a Bologna le crea uno stato ansioso diametralmente opposto a quanto si dovrebbe provare all’idea di tornare a casa propria.

«Fermati qua, cara. Si sta tanto bene.»

La frase volutamente ingenua del padre di Mauro sublima il pensiero di tutti.

La moglie dell’uomo si illumina per via di un’idea: «Perché non le proponiamo il lavoro di Corinna?»

Corinna era la madre di Lucia. Claudia non sapeva che lavorasse nelle attività di famiglia: «Di cosa si occupava?»

Mauro si agita sulla sedia, prima di rispondere. E’ esattamente la proposta folle che avrebbe voluto farle, quando l’ha sentita dire per la prima volta che non avrebbe voluto lasciare l’isola.

«Stava alla reception. Considerato che non abbiamo moltissime stanze, si occupava anche di altro: il bar nei momenti tranquilli, dava una mano nella sistemazione delle camere, riceveva i fornitori, insomma era un po’ il volto della struttura.»

«Ora come siete organizzati?»

«Per coprire tutto quello che faceva lei , abbiamo dovuto assumere due collaboratori tramite un’agenzia. E’ una spesa importante, ma è un lavoro con orari che non è facile gestire né programmare, quindi era molto più comodo che se ne occupasse qualcuno che non aveva degli orari contrattuali.»

«Mi sembra molto bello, ma non state parlando seriamente.»

Il padre di Mauro si alza in piedi per enfatizzare la risposta: «Figlia mia, noi siamo gente che scherza volentieri, ma quando si tratta di lavoro diventiamo persone molto serie.»

Pochi istanti dopo, la proposta viene formalizzata: vitto, alloggio, nei momenti di picco anche uno stipendio, commisurato ai flussi di ospiti. Non c’entra nulla con il suo modo classico di intendere il lavoro, ma d’altra parte si tratta indiscutibilmente di una qualità di vita completamente differente.

Claudia chiede di poterci riflettere, ma sa di non avere tempo.

Lascia l’albergo ed inizia a passeggiare per le vie di Favignana, fino a raggiungere il mare.

I volti delle persone importanti della sua vita scorrono di fronte ai suoi occhi. In quel momento, l’unico che gli dia un’emozione è quell’uomo conosciuto da così poco, ma chi gli sembra di avere nella sua vita da sempre. L’attrazione fisica che certamente sente di provare per lui non è che un rafforzativo, perché l’aspetto più importante è la sua naturale gentilezza, la voglia che percepisce di vedere la serenità intorno a lui.

Ha preso la sua decisione.

Poco meno di un anno più tardi, Claudia è emozionata. I suoi figli stanno arrivando a Favignana a trovarla. Li ha visti un paio di volte, durante quei mesi, ma soprattutto li ha chiamati quasi ogni sera. Nonostante siano ancora così giovani, hanno accettato a modo loro che i genitori non fossero più in grado di vivere assieme e mantenere al tempo stesso la serenità nella famiglia.

Dopodiché, un giorno aveva raccontato loro di essersi innamorata di un altro uomo, e che quando sarebbero scesi nella bellissima Favignana a trovarla, avrebbero anche conosciuto la loro nuova sorellina, Lucia.

Aveva anche scoperto da un’amica che la psicoterapeuta, venuta a conoscenza della scomparsa di Claudia, aveva fatto pressione all’ex marito perché tentassero la convivenza. Non l’aveva sorpresa sapere che da quel momento l’umore dell’ex marito era cambiato, e non certo in meglio.

Ormai quello è il passato: oggi è finalmente il grande giorno. I due ragazzi vedranno la loro madre felice ed impegnata alla reception di un albergo, ma anche nel ruolo di apprezzata blogger per richiamare il turismo sull’isola.

La voce di Mauro la sorprende alle spalle: «Amore, i ragazzi dovrebbero arrivare fra poco a Trapani, io parto.»

«Grazie, a dopo.»

Lui si è reso disponibile ad andare a recuperare i figli di Claudia in aeroporto. Lei spera vivamente che il traghetto non faccia scherzi, perché ha voglia di riavere i suoi tre uomini in tempo per l’ora di cena.

Mentre vede andare via il suo compagno, non riesce a spiegarsi come possa esserne ancora innamorata come dopo il loro primo bacio, scambiato una settimana dopo la sua decisione di restare sull’isola.

Una follia, ma non c’è giorno che passi senza che lei ringrazi di avere compiuto per una volta nella vita una scelta senza ponderarne tutte le conseguenze.

«Mamma, quando arriveranno i miei fratelli?»

Sì, quella decisione le ha pure regalato l’amore di una figlia.

«Presto, papà è andato ora a prendere il traghetto.»

«Ok, allora io finisco di preparare la sala per la festa, così rimarranno a bocca aperta.»

Cosa potrebbe chiedere di più?

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Racconti brevi

L’amour à Paris

Thomas uscì dal suo hotel con passo deciso. Aveva solo un’ora di tempo prima di dover prendere la metropolitana in Blanche, altrimenti sarebbe arrivato in ritardo alla riunione in un palazzo vicino a Place des Pyramides, nel quartiere de La Défense. Prima di allora voleva assolutamente salire sulla collina di Montmartre.

La vista della città dalla Basilica del Sacré-Cœur lo aiutava a schiarirsi le idee, nonostante dovesse lottare con la folla di turisti a qualsiasi ora del giorno per aprirsi un pertugio. Era un sacrificio che compiva volentieri, così come il chilometro abbondante di strade che percorreva a piedi dal Kipling Hotel fino alla sua meta, e di nuovo dalla Basilica alla metropolitana. Ogni volta in cui aveva il privilegio di trascorrere qualche giorno di lavoro a Parigi, non trovava modo migliore per avviare una giornata rispetto a quella passeggiata.

Quel giorno, tuttavia, un imprevisto rischiò di scombinargli i piani.

Camminava a testa bassa, immerso nella lettura delle e-mail ricevute dalla sera prima fino a quel momento. Aveva compiuto solo pochi passi, quando andò a scontrarsi con una donna appena uscita dall’Hôtel Joséphine, che si trovava proprio di fronte al suo albergo, esattamente sul lato opposto di Rue de Calais. La colpa era evidentemente della sua distrazione, perciò si profuse immediatamente in una serie di scuse particolarmente sentite.

«Mi perdoni, mademoiselle, questi maledetti smartphone ci spingono a comportamenti del tutto maleducati e pericolosi, come camminare senza guardare dove si mettono i piedi. Le ho fatto male?»

La donna che era stata vittima della sua distrazione era riuscita miracolosamente a non cadere. Sembrava tuttavia scossa, tanto che impiegò qualche istante prima di rispondere: «No, non si preoccupi, sto bene.»

«È sicura? Vuole che l’aiuti a rientrare in albergo? Oppure preferisce che le offra qualcosa da bere per riprendersi?»

«Davvero, non importa. La ringrazio per l’interessamento, mi scusi ma ora devo proprio andare.»

Thomas non era convinto. Il volto della donna tradiva davvero poca serenità, ma forse la ragione non era limitata a quanto appena accaduto. Si costrinse ad alzare le spalle ed a riprendere la sua passeggiata, pur dispiaciuto di avere probabilmente rovinato la mattinata ad una innocente sconosciuta.

Raggiunse Montmarte ed il piazzale della Basilica solo un paio di minuti più tardi rispetto alla rigida scaletta che si era prefissato di rispettare. Aveva intenzione di dedicare venti minuti alla contemplazione della vista, perciò avrebbe potuto tranquillamente recuperare quel piccolo ritardo riducendo la sua sosta in quel luogo incantevole.

Esaurito il tempo a sua disposizione, si costrinse a malincuore a riprendere la strada verso la metropolitana, quando all’angolo opposto della scalinata gli parve di scorgere la donna dell’incidente di quella mattina. Non aveva tempo da dedicarle, ma osservandola da lontano non poté fare a meno di notare la sua espressione, se possibile ancora più triste e sconvolta rispetto a venti minuti prima. Non c’era più dubbio sul fatto che quanto accaduto non fosse sufficiente a giustificare il suo umore.

Ancora più mortificato per avere probabilmente aggravato una situazione emotiva già complicata, Thomas affrettò il passo. Avrebbe faticato a concentrarsi sul lavoro, nonostante la contemplazione della vista dal Sacré-Cœur lo avesse come sempre aiutato a definire gli obbiettivi della giornata.

Quella sera rientrò al Kipling moderatamente soddisfatto. La trattativa commerciale che stava portando avanti era particolarmente complessa, ma stava procedendo anche meglio del previsto. Decise di concedersi un drink prima di ritirarsi, spizzicando qualcosa per evitare di sentire il bisogno di una vera e propria cena. Provò a cercare un posto da Pojo, uno dei più apprezzati bistrot della zona. Qui servivano anche delle ottime tapas. Fortunatamente, si era appena liberato un tavolo.

Thomas continuò a controllare le e-mail fino a che non arrivò una cameriera a prendere la sua ordinazione. Non aveva nemmeno guardato il menu, perché sapeva perfettamente cosa ordinare. Doveva essere almeno la quinta volta in cui tornava in quel locale, e non si era mai trovato male.

Mentre stava sorseggiando il suo drink, dieci minuti più tardi, vide entrare una donna. Era ancora lei, la stessa contro cui aveva urtato quella mattina. Non c’erano altri posti disponibili nel locale, perciò la cameriera fu costretta a proporle di attendere. La donna rifiutò, abbandonando il bistrot.

Thomas non poté fare a meno di pensare che per lei fosse davvero una giornata storta. Entrando dalla porta, aveva notato in lei un’espressione leggermente più serena rispetto a quella mattina: forse la prospettiva della cena le aveva restituito un po’ di buonumore. Naturalmente, quella sfumatura di ottimismo era del tutto scomparsa dopo aver constatato che per quella sera non avrebbe potuto consumare un pasto in quel locale.

L’uomo si alzò di scatto dalla sedia, tanto che per poco non travolse il drink che aveva appena appoggiato al tavolo. Avvisò la cameriera che sarebbe tornato subito, quindi si precipitò in strada per cercare la donna. La vide pochi passi più avanti.

«Mi scusi! Lei, che è appena uscita da Pojo!»

La donna si voltò con espressione atterrita. Evidentemente, nel pessimismo che sembrava pervaderla, doveva essersi convinta di avere combinato qualche guaio senza essersene resa conto. Quando riconobbe l’uomo di quella mattina, restò sorpresa.

Thomas proseguì, una volta ottenuta la sua attenzione: «Mi perdoni se ho gridato, ma non volevo che se ne andasse. Se mi permette, vorrei sdebitarmi per questa mattina offrendomi di averla ospite del mio tavolo, visto che purtroppo non ci sono posti liberi nel locale. Se non lo gradirà, potremo anche non conversare, in fondo per me è già abbastanza tardi e non credo di fermarmi ancora per molto.»

La donna esitò per qualche istante, tuttavia capì che si trattava di un puro atto di cortesia da parte di un uomo con un concetto vecchio stile della galanteria. In fondo, non aveva nulla da temere, se non di annoiarsi terribilmente. Sempre meglio che trascorrere un’altra ora a struggersi in solitudine.

«D’accordo, accetto il suo invito.»

Thomas si sforzò di trattenere un gesto di tripudio. Era decisamente sollevato, la sua coscienza lo avrebbe tormentato per giorni al pensiero di quanto accaduto quella mattina, se non avesse avuto occasione di porvi rimedio.

Tornarono nel locale, con buona pace della cameriera che iniziava a preoccuparsi di essere stata truffata da un cliente datosi alla fuga. L’uomo le spiegò l’intenzione di aggiungere un’ospite al suo tavolo, così la sua compagna per quella sera poté accomodarsi.

«Mi permetta quantomeno di presentarmi: il mio nome è Thomas, e vengo da Watford, una cittadina a nord di Londra, in Inghilterra. Sono a Parigi per lavoro, mi tratterrò fino a domani sera.»

Si strinsero la mano. La donna esitò per qualche istante, prima di ricambiare la presentazione: «Io sono Isabella ed abito a Toledo, in Spagna. Molto piacere.»

La donna per l’intera serata non accennò mai a spiegare la sua presenza in città. La ragione doveva essere legata al suo umore, che tornava a velarle lo sguardo ogniqualvolta Thomas facesse cenno alla romanticità della Ville Lumière. Evidentemente, doveva aver sostenuto una grave perdita affettiva che ancora la faceva soffrire.

Parlarono del più e del meno per poco più di un’ora. Thomas era solito mettere a proprio agio i commensali con un uso sapiente dell’ironia, tuttavia la cortina difensiva di Isabella non cedette mai, anche se l’uomo non demorse per non lasciare spazio a silenzi imbarazzanti.

Si salutarono, ringraziandosi vicendevolmente per la compagnia ed augurandosi una buona notte.

Il giorno seguente, il tempo si guastò.

Per Thomas non fu un grosso problema, fatta eccezione per la mancata visita al Sacré-Cœur. Le sue riunioni si svolsero al chiuso, inoltre nel pomeriggio ebbe un paio d’ore libere in più del previsto, così sfidò la sorte e si presentò al Louvre, sperando di riuscire ad entrare. Ebbe l’accortezza di acquistare il suo biglietto sul sito del museo, mentre si dirigeva verso la fermata della metropolitana di “Palais Royal – Musée du Louvre”, constatando in tal modo di dover solo pazientare, ma che certamente avrebbe avuto la possibilità di accedere.

Camminò lungo la Grande Galerie, colma di opere d’arte pittorica. Si fermò a contemplare un celebre lavoro del Ghirlandaio, denominato Ritratto di vecchio con nipote. Il sapiente uso del colore e la più che probabile allegoria del tempo che scorre lo colpirono particolarmente. Adorava i pittori rinascimentali italiani, ma ciò che lo stupiva ancor più era la loro capacità di sorprenderlo continuamente, nonostante i secoli di distanza e la potente anestesia verso i prodigi artistici di un tempo, creata nell’uomo moderno dalla tecnologia.

Isabella giunse alle sue spalle. Non sapeva se interagire con quell’uomo con cui continuava ad incrociare il passo, oppure se attendere che si spostasse verso l’opera successiva, dovendo tuttavia a quel punto adeguare tutto il resto della sua visita ai movimenti di Thomas per non farsi scoprire. Inizialmente valutò anche l’idea di abbandonare il museo, ma in fondo non aveva intenzione di far sì che il suo periodo di malumore rovinasse a lei stessa l’incontro con quei capolavori, a cui teneva moltissimo.

Si decise a farsi avanti: «Un’opera decisamente singolare, non trova?»

Thomas trasalì, capendo che quelle parole erano rivolte a lui: «Mademoiselle Isabella, non avevo notato la sua presenza. Sono rimasto affascinato dal contrasto fra il volto del nonno deturpato dall’età, e la bellezza perfetta del nipote. Se il Ghirlandaio potesse parlarci, probabilmente spiegherebbe davvero di aver inteso rappresentare lo scorrere degli anni.» Abbandonò il quadro con lo sguardo, voltandosi verso Isabella: «Anche lei in visita al Louvre?»

«Sì. Ero convinta che lei sarebbe partito questa sera.»

«Esattamente, il mio treno partirà alle nove di questa sera da Paris Nord. Grazie ad una riunione annullata questo pomeriggio, ho potuto ricavare del tempo da dedicare all’ammirazione di questi capolavori.»

«Beh, direi che è stata una fortuna.»

«Indubbiamente.»

Per qualche istante, entrambi lasciarono viaggiare il pensiero nell’interpretazione di quelle parole. Ragionarono sui due possibili significati, ossia se la persona di fronte a loro si riferisse con la definizione di fortuna all’occasione della visita al museo, oppure alla possibilità che avevano avuto di incontrarsi di nuovo. Era infatti evidente il cambiamento nell’atteggiamento sociale di Isabelle, una reazione positiva ai suoi stessi turbamenti che rendeva la sua compagnia notevolmente più accattivante.

Thomas osò formulare una proposta: «Sarebbe troppo chiederle di passeggiare insieme lungo questi corridoi? Ho sperimentato in passato quanto una visione in compagnia delle opere d’arte aiuti a mettere in luce particolari che altrimenti passerebbero inosservati.»

Isabella rispose di slancio: «Con piacere!» Si vergognò un po’ per quell’entusiasmo che avrebbe potuto essere male interpretato. In fondo, era semplicemente contenta del fatto che quell’uomo la stesse aiutando ad affrontare la sua settimana parigina con minor pessimismo nei confronti dell’umanità, soprattutto per quanto riguardava la metà maschile.

Esplorarono insieme le gallerie, dimenticandosi dello scorrere del tempo. Isabella scoprì quanto quell’uomo fosse in grado di mettere a proprio agio una persona in sua compagnia, mentre Thomas capì che la risata della donna che gli aveva concesso il privilegio di abbattere le sue difese emotive, avrebbe potuto fargli piacevolmente male al cuore.

Si lasciarono alla fine del tour. Non cenarono insieme, perché lei era un po’ stanca e lui non voleva correre il rischio di distrarsi continuamente nel tenere d’occhio l’orologio. Non si scambiarono i rispettivi numeri di telefono: il destino li aveva fatti incrociare più volte in quei due giorni, se fosse stato scritto nel loro futuro che si sarebbero rivisti, sarebbe semplicemente accaduto.

Rimasta sola, Isabella non poté fare a meno di pensare che il giorno dopo avrebbe sofferto terribilmente la solitudine. Meglio così, era a Parigi per espiare le colpe della sua dabbenaggine, avrebbe semplicemente ripreso da dove si era interrotta.

Thomas invece vide la sua serata virare al peggio. Dopo aver capito quanto la compagnia di quella donna avesse rischiato di rompere il giuramento che aveva fatto a sé stesso, si era trovato di fronte al cartello dei treni alla Gare Paris Nord, dove il suo viaggio di ritorno a casa risultava annullato. Provò ad informarsi, ma fino al giorno dopo non c’erano altre soluzioni disponibili.

Chiamò il Kipling, che tuttavia era al completo per quella notte. Mentre pensava a come organizzarsi, il personale dell’albergo lo richiamò per segnalargli che l’Hôtel Joséphine, facente parte della stessa catena, aveva una stanza a disposizione, a patto che la riservasse per l’intero weekend. Thomas sospirò e si arrese all’idea di trascorrere lontano da casa altri due giorni. Se non altro, il mattino successivo avrebbe potuto rimediare alla mancata visita a Montmartre.

Il mattino seguente, entrambi gli ospiti dell’hotel uscirono dalle rispettive stanze alle otto in punto. Non erano amanti delle lunghe dormite ed erano svegli da circa un’ora, inconsapevoli della vicinanza delle loro camere.

«Mademoiselle. Non pensavo di avere il privilegio di incontrarla già a quest’ora.»

Isabella adottò l’espressione di chi creda di aver visto un fantasma: «Cosa ci fa in questo albergo, signor Thomas?»

«Ho avuto la sventura di scoprire la cancellazione del mio treno solo una volta giunto in stazione. Purtroppo, il mio amato Kipling era al completo, tuttavia mi è stata proposta questa sistemazione, a patto che mi fermi fino a domani.»

La donna non sembrò convinta. Era evidente il timore di essersi imbattuta in un molestatore, che inventasse bugie pur di starle vicino.

Thomas ne colse l’imbarazzo, affrettandosi a precisare: «Ad ogni modo non si preoccupi, non la distoglierò dai suoi programmi per questi due giorni.»

Isabella non si premurò di rispondere in tono conciliante, perché non era ancora affatto persuasa.

Si fecero compagnia durante la colazione, anche se parlarono molto poco. Lei aveva bisogno di un po’ di tempo e di caffeina, prima di interagire con altri esseri umani. Lui era intento a controllare la corrispondenza del lavoro, quasi del tutto ignorata dal momento in cui aveva deciso di visitare il Louvre.

Thomas s’incamminò verso la sua solita meta mattutina, a cui decise di dedicare più tempo rispetto all’abitudine. Quel giorno non aveva appuntamenti di lavoro che rischiavano di vederlo tardare, perciò il suo pensiero che vagava nel cielo sopra Parigi si concentrò su altri obbiettivi.

Diede voce al suo turbamento: «Cosa devo fare, Laura? Non avrei mai voluto che arrivasse questo momento, eppure il mio cuore mi dice altro. Se solo tu potessi darmi un segno.»

La mattinata era nuvolosa, tuttavia all’improvviso il sole fece capolino nel bel mezzo del grigiore. Lo accolse come il cenno di risposta che attendeva.

Nel frattempo, Isabella stava passeggiando per altri luoghi. Cercava di concentrarsi su ciò che aveva perduto e su quanto si sentisse ingenua. Non riusciva tuttavia ad evitare di sentirsi sola. Forse, quell’uomo tanto cortese avrebbe potuto aiutarla a riflettere su sé stessa. A meno che non lo avesse visto sbucare all’improvviso da dietro un angolo: in quel caso, lo avrebbe probabilmente denunciato alle autorità.

Non si rividero fino al tardo pomeriggio, quando si incrociarono nella hall dell’albergo.

«Mademoiselle, com’è andata la sua mattinata?»

«Discretamente, anche se devo dire che la visita al Louvre mi aveva messo in tutt’altra disposizione d’umore. E la sua giornata?»

«La definirei illuminante, anche se non sono ancora convinto di dover seguire l’ispirazione che ho avuto.»

Isabella si lasciò andare come non avrebbe saputo prevedere razionalmente: «Vuole raccontarmelo di fronte ad un aperitivo? Parlarne con qualcuno potrebbe aiutarla a fare chiarezza nei suoi pensieri.»

Thomas rimase sorpreso. Essendo la donna la causa di una parte importante di ciò che lo turbava, non era sicuro di riuscire ad aprirsi con lei. Avrebbe dovuto attingere alle sue capacità di mediatore commerciale.

«Molto volentieri, a patto che non lasci parlare solo me.»

«Promesso.»

Si spostarono in Place Adolphe Max al bar Le Vintimille, dove accompagnarono i drink con pizza e taglieri di formaggi.

Qualche goccia d’alcool in più dell’usuale sciolse le loro lingue, tanto che Isabella iniziò a raccontare la ragione dei suoi malumori.

«Forse lei non se n’è accorto, signor Thomas, ma io sono in viaggio di nozze.»

«Caspita, deve aver sposato l’uomo più piccolo del Mondo. Lo tiene forse nel taschino della camicia?»

«No, ho preferito lasciarlo direttamente a casa.»

«Curioso viaggio di nozze, davvero.»

Gli occhi di Isabella furono velati dalle lacrime: «Mi sono sentita una stupida, un’ingenua, davvero una nullità quando ho scoperto quello che stava facendo sotto al mio naso.»

«Una persona che fa piangere una donna per il suo comportamento, non può essere definito un uomo.»

«Sono d’accordo. Pensi che eravamo fidanzati da quando eravamo compagni di scuola, a dodici anni. Certo, ci sono stati momenti di incomprensione. È normale quando si cresce. Tuttavia, non ci siamo mai lasciati per più di un mese, e soprattutto dalla maggiore età siamo sempre stati insieme. Eravamo certi di essere fatti l’uno per l’altra, non avevamo bisogno di cercare qualcos’altro in altre persone. Sembrava tutto perfetto, forse troppo. Qualche mese fa, dopo aver preparato tutto per il matrimonio e prenotato il viaggio di nozze a Parigi, vengo a scoprire da un messaggio mandato da un cellulare che non conoscevo che quel maledetto ha una relazione con un’altra donna. All’inizio pensavo che fosse uno scherzo di cattivo gusto, magari addirittura un qualche genere di esca per attirarmi verso il mio addio al nubilato. Invece, a quel numero non mi ha mai risposto nessuno.»

«Come ha potuto essere sicura che fosse la verità? Ha affrontato il suo fidanzato?»

«No, ho chiesto consiglio alla mia più cara amica. L’ho vista quasi svenire di fronte ai miei occhi, così ho capito che non solo lei sapeva tutto, ma che addirittura lui mi aveva tradito anche con lei! Al momento in cui me ne sono andata da Toledo per venire qui a godermi almeno il viaggio in questa città che adoro, ho scoperto quattro diverse infedeltà da parte dell’uomo della mia vita, e solamente negli ultimi tre anni. Siamo stati insieme per diciotto anni: com’è possibile che non mi sia accorta di nulla? Quante volte può avermi tradito, sentendosi sempre più libero di fare i suoi comodi ad ogni occasione in cui la passava liscia?»

Isabella stava alzando la voce, un’esposizione molto diversa rispetto a quella assolutamente più sobria della sera al Pojo. Metà del piccolo locale si voltò nella sua direzione. Nonostante l’ebrezza donata dall’alcool, lei se ne accorse e si tranquillizzò.

Fu Thomas a prendere in mano il discorso: «Devo ammettere che di storie come la sua ne ho sentite diverse, ma nessuna che avesse una durata tale nella relazione. Diciott’anni di fidanzamento da quando ne aveva dodici, perciò lei ha trent’anni, è corretto?»

«Sì, giusto, anche se fra un mese saranno trentuno.»

«Posso solo dirle che è molto presto per perdere fiducia nel genere maschile. La tristezza che ha provato quando ci siamo incontrati il primo giorno e la rabbia di questa sera dimostrano che lei si sente in colpa con sé stessa, essendo trascorsi ormai alcuni mesi da quando ha ricevuto il primo messaggio. Non è stata fortunata, ma certamente essere rimasta con lo stesso uomo per così tanto tempo ed in una fase così delicata della crescita sociale, le ha probabilmente impedito di fare esperienza con le vere delusioni che una relazione può comportare.»

«Ha ragione. Quindi non dovrei prendermela così tanto?»

«Ha assolutamente tutto il diritto di provare rabbia, ma non la diriga verso sé stessa, né verso il genere maschile intero. Se la prenda con quell’uomo. Appenda un sacco da kickboxing in casa e vi affigga una fotografia del traditore, e la colpisca giorno dopo giorno fino a che non sentirà di essersi sfogata.»

Isabella non si sarebbe aspettata un consiglio tanto concreto e violento da un uomo così posato, che per giunta mimò il gesto dei pugni contro il sacco. Scoppiò a ridere, anche se non poté fare a meno di ringraziarlo, assicurandogli che molto probabilmente avrebbe fatto come lui suggeriva.

«E lei, Thomas, da quale ispirazione è rimasto turbato questa mattina?»

L’uomo sospirò: «Ho capito di provare il desiderio di avvicinarmi ad altre donne. Non mi fraintenda, non lo sto dicendo con malizia nei suoi confronti. Il fatto è che avevo promesso a me stesso che non avrei più provato nulla nei confronti di altre esponenti del genere femminile.»

«È rimasto ferito dalla fine di una relazione?»

«Possiamo dire così. In realtà, la mia cara Laura è venuta a mancare ormai due anni fa. Adoravamo Parigi e spesso venivano qui per trascorrere il fine settimana. Eravamo affezionati alla vista che offre Montmartre. Così, quando sono da queste parti per lavoro, non resisto alla tentazione di risalire sulla collina e guardare la città con gli stessi occhi adoranti con cui la ammirava mia moglie.» Thomas si concesse un sorso del suo drink per mettere ordine tra i suoi pensieri: «Essendo venuta a mancare all’improvviso, non abbiamo avuto modo di parlare del futuro, così non ho idea di cosa lei avrebbe pensato di una mia relazione con un’altra donna. Per rispetto nei suoi confronti, ho promesso a me stesso che, nell’impossibilità di sapere, mi sarei fatto divieto di aprirmi ancora all’amore. Eppure sento ora che qualcosa dentro di me sta cambiando.»

«Mi dispiace molto per sua moglie. Purtroppo non posso darle nessun consiglio, è una questione troppo intima: deve fare semplicemente quello che sente giusto dentro di sé.»

«Proprio qui nasce il dilemma: non ne sono affatto sicuro.»

Per non indulgere troppo alla malinconia, cambiarono tema di conversazione, trascorrendo una piacevole serata.

Il giorno seguente si fecero compagnia fino all’ora in cui Thomas prese il treno per tornare a casa. Isabella doveva trascorrere l’intera settimana successiva in città, nonostante ciò durante la domenica mattina accettò di visitare con l’uomo sia la Tour Eiffel che Notre Dame.

Quella sera si scambiarono i numeri di telefono, anche se erano piuttosto certi che difficilmente si sarebbero rivisti.

Trascorse circa un anno da quell’incontro.

Thomas aveva deciso di aprirsi ad una nuova relazione, tuttavia non aveva mai trovato una donna che gli facesse palpitare il cuore come era riuscita a fare Isabella con la sua risata fresca e spontanea.

Al termine di un’altra settimana di trasferta parigina, guardò nuovamente nel cielo sopra la città. Non chiese nulla né a Laura, né a sé stesso, stava semplicemente lasciando che i suoi pensieri si disperdessero, insieme ad un senso di solitudine che lo aggrediva sempre più di frequente.

«Signor Thomas, speravo di trovarla qui.»

«Mademoiselle Isabella, siete tornata a Parigi?»

«Sì, mi sono presa un paio di giorni di ferie. Devo ringraziarla, il suo suggerimento della fotografia sul sacco da kickboxing ha funzionato alla perfezione.»

Thomas si concesse una risata, accorgendosi con imbarazzo della lacrima che stava spuntando ad un angolo del suo occhio destro: «Ne sono felice. Quindi ha fatto pace con il genere maschile?»

«Non saprei, da allora non ho più trovato nessun uomo con cui avessi voglia di trascorrere del tempo.»

«Forse si tratta solo di avere un po’ di pazienza.»

«Oppure è questione di capire quale sia la persona giusta.»

Il loro primo bacio avvenne in quell’istante. Non fu certo l’ultimo, e come un anno prima, il sole fece capolino nel cielo grigio, illuminando la meravigliosa Parigi ed il loro futuro insieme.

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Racconti brevi

Un amore che dura in eterno

Federico sorride, mentre Isabella indossa una buffa espressione in attesa che lo smartphone la riprenda, appoggiata alla ringhiera che incornicia la Rotonda di San Lorenzo.

«Questa non la posso davvero pubblicare,» sentenzia lui.

«Sono venuta così male?»

L’uomo non riesce a togliersi dalla testa che lei non potrebbe riuscire male in fotografia nemmeno se si impegnasse. Si rende tuttavia perfettamente conto di quanto il suo punto di vista sia alterato dai sentimenti che prova per la ragazza.

«Non è questo il problema: fossi in te mi vergognerei se dovessi condividere sui social questa faccia. Cosa ne dici?»

Isabella si allunga verso lo schermo del telefonino, comprendendo subito la ragione della perplessità di Federico.

«Mamma mia! Volevo sembrare buffa, ma così sono semplicemente un’oca.»

Forse, ma pur sempre adorabile. No, decisamente Federico non riesce ad essere obiettivo.

Una fotografia non rappresenta certo il suo problema più grande tra quelli derivanti dall’effetto che quella ragazza ha su di lui.

Per lei ha messo da parte il presente ed il futuro che aveva costruito durante anni di faticosa relazione con la sua migliore amica, divenuta nel tempo sua moglie.

Per lei ha rinunciato ad essere un genitore presente nella vita dei suoi due figli.

Per lei ha litigato con tutti: i suoi genitori, gli amici comuni, perfino qualche collega che aveva giudicato decisamente immorale la sua relazione con la nuova arrivata in ufficio, a discapito di una donna che si è ritrovata sola con un ragazzino di dieci anni ed una bambina di sette.

Per lei ha cambiato casa, routine, abitudini alimentari, stile di abbigliamento.

Qualcuno deve avere pensato che si sia trattato della classica crisi di mezza età, che lo ha spinto tra le braccia di una donna che fosse in grado di restituirgli gli anni perduti. E’ possibile che l’insoddisfazione per anni di vita forzatamente abitudinaria, per fare contenta una moglie mal disposta verso le sorprese e le nuove esperienze, abbia agevolato il suo bisogno di trovare una via di fuga.

Ma non è stato solo questo ad instillare in lui il desiderio di cambiamento.

Isabella si volta per cogliere l’origine di un rumore imprevisto dall’altra parte di Piazza Erbe. Federico, abbagliato dal suo profilo, ne approfitta per ritornare con la mente al giorno in cui si sono incontrati per la prima volta.

Era una tiepida mattinata di metà primavera. L’uomo la sera prima aveva discusso con la moglie per qualche futile ragione, e ciò era stato causa del suo malumore di quel momento. Stava battibeccando con un collega, sottovoce ma con evidente partecipazione.

La porta dell’ufficio si era aperta all’improvviso. Una ragazza sorridente aveva fatto capolino, i vestiti inumiditi dalla pioggia che stava cadendo lieve ma fitta.

«Scusatemi, volevo sapere dove si trova l’ufficio delle risorse umane. Alla reception non ho trovato nessuno…»

Federico era rimasto per un paio di istanti a bocca aperta.

Subito dopo, senza rendersene conto, le sue gambe e la sua bocca avevano iniziato ad agire in autonomia, tramutandolo in un cicerone aziendale pronto ad agevolare l’inserimento della nuova arrivata.

Più tardi, solo in macchina al rientro verso casa, aveva cercato di capire la ragione di quella sua imbarazzante reazione. Non era riuscito a comprenderla fino in fondo, ma da lì in poi loro due avevano formato spesso e volentieri una coppia fissa. Entro poche settimane avevano iniziato a creare pretesti affinché quella loro sinergia si protraesse anche al di fuori dell’ambito lavorativo, inizialmente solo per il platonico e reale piacere della reciproca compagnia. In seguito, durante una trasferta di lavoro la loro attrazione li aveva spinti a varcare i limiti del consentito.

Tre mesi più tardi, la moglie di Federico era stata raggiunta da una voce piuttosto dettagliata in merito all’infedeltà del marito. Non si erano rese necessarie discussioni, perché lui già un paio di sere prima aveva confidato alla sua ex migliore amica il desiderio di prendere un’altra strada.

Ora, l’uomo ed il suo perdurante colpo di fulmine convivono ormai da tre anni. Lui non potrebbe essere più felice, ed è ancora innamorato di Isabella esattamente come il primo giorno. Lei è un po’ preoccupata, perché il figlio che desidera da sempre non sembra voler arrivare. In realtà, non sa ancora che il destino la benedirà presto con una splendida bambina, che tuttavia arriverà nella loro vita solo dieci mesi più tardi. Ciò nonostante, vive la loro relazione con appagante serenità. E tanto quanto l’uomo della sua vita, non sa spiegarsi perché anche per lei si sia trattato di amore a prima vista.

«Andiamo a Palazzo Te? La prenotazione è per le quindici, manca meno di mezz’ora.»

Federico si desta dalle sue riflessioni per tornare alla piacevole realtà.

«Certamente, è ora di darci una mossa.»

La coppia raggiunge in una ventina di minuti uno degli obiettivi della loro visita mantovana. Entrambi sentono in cuor loro che resteranno particolarmente sorpresi da quel luogo.

La visita in effetti non li delude.

Il lavoro di Giulio Romano è davvero ammirevole. Ogni stanza del palazzo li lascia a bocca aperta, dalla Sala dei Cavalli, imponente tributo agli animali cari alla famiglia Gonzaga, ai giochi prospettici della stupefacente Sala dei Giganti, fino alla provocatoria e celeberrima Sala di Amore e Psiche, fra le altre. Tanti dettagli sono stati da loro ammirati e catturati in fotografie che non potranno mai rendere le stesse emozioni di una visione di persona.

«Giardino Segreto?»

La lettura di un cartello lascia entrambi sorpresi. Tutt’e due sentono una forte spinta verso quel luogo, raggiungibile attraversando per intero il cortile e deviando a sinistra dell’esedra.

Entrano da una porta che probabilmente in origine doveva restare chiusa, a meno che non fosse il duca a volerla aperta. Si ritrovano in un ambiente sorprendente, con un appartamento, una loggia verso un piccolo giardino ed un bagno a cui si accede da una sorta di grotta artificiale ma ricreata con pietre naturali. Sui pavimenti, sassi di fiume a coprire quelle che in origine erano piccole strutture per animare gli ambienti con giochi d’acqua.

«Io sono già stata qui.»

La reazione istintiva di Isabella è del tutto sincera.

«Forse con la scuola?»

«No, mi ricordo bene, siamo stati solo a Palazzo Ducale. Eppure, sono certa di essere già stata in questo luogo.»

La sensazione che pervade la donna è carica di sentimenti positivi, ma al tempo stesso preoccupante: come può essersi dimenticata di essere passata da un luogo così appartato ed affascinante, essendo certa che la sua memoria non sia legata all’esperienza scolastica?

«Ora che mi ci fai pensare, anch’io sono già stato qui. Ne sono sicuro.»

I loro sguardi si incrociano. Le loro menti giocano curiosi scherzi.

La visione dei reciproci volti viene sostituita da lampi di ricordi di tempi antichi.

Quegli spazi misteriosi erano stati appena eretti. Una coppia di amanti si nascondeva laggiù per vivere l’amore in piena libertà, senza venire disturbati da sguardi indiscreti ed inopportuni, quali quelli dei rispettivi consorti oppure della servitù. Perché nobili erano gli abiti, ed altrettanto le espressioni, ma al tempo stesso sinceri e confidenziali erano i reciproci atteggiamenti d’affetto.

Federico ed Isabella non hanno la forza, né il coraggio, di confidarsi a vicenda l’esperienza che hanno appena vissuto, anche se i volti sono l’uno per l’altra un chiaro segno di avere condiviso qualcosa di assurdo ed incomprensibile. Com’è possibile che la loro semplice presenza in quel luogo abbia scatenato nelle loro menti i ricordi di altre persone che erano vissute lì secoli prima?

L’uomo prende in mano il telefono per cercare con maggiore dettaglio l’origine dell’Appartamento Segreto, e di Palazzo Te in senso generale. Scopre in tal modo che il duca di Mantova aveva incaricato il grande Giulio Romano di edificare quel luogo affascinante e maestoso, principalmente, si dice, come luogo di svago per la sua dama prediletta. Che, inutile dirlo, non era la moglie.

«Come si chiamavano?» chiede curiosa la donna di fronte a colui che non riesce a leggerle la risposta senza alzare il volto e guardarla negli occhi.

«Indovina.»

«No, non posso crederci.»

«Il duca Federico II Gonzaga e la nobildonna Isabella Boschetti.»

I due innamorati si perdono nei rispettivi sguardi. La coincidenza dei nomi è singolare, ma la sensazione di essere già stati in quel luogo e la visione di un passato lontano sono stati tutt’altro che un’illusione momentanea: la forza di quelle emozioni perdura in loro anche dopo alcuni minuti.

L’uomo va a curiosare su alcuni dipinti d’epoca che riproducono i volti dei due amanti.

«Non ci credo. Guarda tu stessa.»

Isabella resta sbalordita di fronte a quella che le appare come un’immagine speculare rispetto al suo stesso volto. Non può fare a meno di confermare che anche il duca era in tutto somigliante all’uomo con cui sta cercando di costruire una famiglia.

I due innamorati si prendono per mano. Il destino ha regalato loro diversi minuti di solitudine in quel luogo per loro magico, ma sanno benissimo che giungerà presto qualcuno a disturbarli.

Federico, guardando negli occhi adorati la vera donna della sua vita, non può esimersi dall’esprimere un desiderio.

«Mia Isabella, il fato degli esseri umani ci ha condannati a separarci già una volta in passato. Ora non voglio più commettere lo stesso errore: prometti che saremo uniti per la vita?»

«Mio Federico, te lo prometto. Saremo uniti per la vita, e le nostre anime lo saranno per l’eternità.»

Per nulla spaventati dalla rivelazione che nel loro passato erano già stati innamorati, sotto le nobili sembianze di un duca e della sua dama favorita, Isabella e Federico tornano a visitare la città, certi che la loro unione sia destinata a durare per sempre, e che quel luogo magico ospiterà ancora le loro emozioni in futuro.

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Patroclo

Il caffè è ormai freddo nella tazza. Patroclo tiene ancora saldamente la presa sul manico, mentre il suo sguardo si perde nel vuoto.

Gli capita sempre più di frequente di non consumare quella bevanda mentre è ancora calda. Non ha tuttavia mai smesso di riempire quasi all’orlo il contenitore con l’acqua bollente, che la polvere istantanea trasforma in una brodaglia a cui sostiene con una cosciente bugia di essersi abituato. Può mentire a sua madre tanto quanto a quei vaghi conoscenti che definisce amici, ma non a sé stesso. Per questa ragione, aggredisce la tazza con un entusiasmo sempre minore.

Il cane di taglia media che un vicino tiene ostinatamente sul balcone provvede a destarlo dal vuoto in cui ha spinto la sua mente. Patroclo emette un timido fischio, di cui l’animale non si cura minimamente. L’uomo si arrende pertanto all’idea di tornare alla realtà, guardando con malcelato disgusto il contenuto residuo della tazza che prontamente svuota nel lavandino.

Il sapore amarognolo che pervade la sua bocca non è piacevole, esattamente come gli capita di constatare ogni volta in cui decide di infliggersi quella punizione a conclusione di un pasto. Si costringe pertanto a raggiungere il bagno per lavare i denti. A seguire sa già che rimedierà qualcosa che assomigli ad un pigiama, quindi si tufferà sul divano e si ammorberà con qualche serie tv che lo guidi ad un sonno rapido e senza sogni.

La porta del bagno è chiusa, come gli ha imposto suo padre durante tutti gli anni della loro convivenza. Una regola che Patroclo aveva sempre giudicata priva di buonsenso, considerato come non avessero quasi mai ricevuto ospiti.

«Non si può mai sapere chi ti ritrovi in casa», era solito dirgli, motivando così la sua pudica necessità di non lasciare intravedere quel luogo così intimo e privato.

Le loro strade si erano separate all’improvviso, quando ad entrare in casa erano stati due malintenzionati, passati curiosamente proprio dalla finestra del bagno. Avevano preso il povero Patroclo in ostaggio, minacciandolo con un coltello alla gola, affinché suo padre non opponesse resistenza e facesse dono ai due ospiti inattesi delle poche cose di valore che possedevano. La famiglia, scioccata dall’evento, aveva deciso di mettere in vendita la casa. Il trentenne Patroclo aveva parallelamente accettato che fosse giunta l’ora di iniziare la sua vita indipendente.

Un riflesso condizionato aveva poi spinto il figlio a perseverare nell’abitudine di chiudere la porta del bagno della sua casa da single, ignorando la sua stessa contrarietà a quella regola domestica . Per contro, dopo quasi trent’anni quello stesso riflesso lo motiva ad aprire sempre con circospezione, nonostante le inferriate alle finestre, quasi che possano comparire dal nulla altri malintenzionati.

Anche questa volta appoggia saldamente la mano sulla maniglia, ruotandola e spingendo l’anta con cautela, pronto a richiuderla rapidamente nel caso in cui individui l’ombra di presenze moleste. Non si tratta di un comportamento razionale: è il suo istinto a guidarlo, mentre la mente vaga per altri lidi.

A differenza delle precedenti millenovecentosettantanove occasioni, tuttavia, la porta si richiude immediatamente, pur se con la dovuta delicatezza.

Una luce naturale ma del tutto fuori contesto, come un sole trasposto tra le quattro mura, ha infatti illuminato la stanza non appena Patroclo ha avvicinato la testa al pertugio. Lui è riuscito a scorgere la doccia proprio di fianco all’ingresso, ma non oltre.

L’uomo è indeciso sul da farsi. Non riesci a convincersi ad entrare per appurare la fonte della luce. Nessuno può avere messo in scena un brutto scherzo, e non c’è alcun dispositivo elettronico che…

«Aspetta un secondo!»

Ricorda all’improvviso di avere installato il mese prima proprio in bagno uno di quei dispositivi che, stando alle pubblicità, avrebbero dovuto occuparsi pressoché di qualsiasi incombenza casalinga. Ha poi capito che per un uso efficace del marchingegno avrebbe dovuto acquistare tutta una serie di altri apparecchi, tra cui elettrodomestici, lampadine, un antifurto… Ha perciò abbandonato il dispositivo su di una mensola, collegato ma inattivo da settimane. L’unica spiegazione che gli viene in mente è pertanto che l’aggeggio si sia illuminato per una qualche segnalazione, anche se l’intensità di quella luce gli è parsa davvero eccessiva rispetto a quell’ipotesi. Se ha ragione, decide che restituirà l’apparecchio invasivo già il giorno successivo.

Apre pertanto nuovamente la porta con maggiore fiducia, cercando conferma al suo sospetto e pronto ad inveire nei confronti della causa del suo spavento.

Spalancata l’anta, ciò che si trova di fronte lo lascia completamente senza parole, per quanto la sua solitudine si accompagni raramente a dei soliloqui significativi.

In corrispondenza della parete di fondo, si apre uno sconfinato campo di girasoli illuminato come nelle ore più calde della giornata.

Quella visione non ha alcun senso. Lì di fronte, oltre il muro dotato di finestra, dovrebbe trovarsi il cortile interno delle due palazzine gemelle in cui abita ormai da tempo. Senza contare il fatto che il suo appartamento è al terzo piano, per quello che la sua mente cerca di ricordargli.

Patroclo muove la sua figura dinoccolata verso il campo, la bocca spalancata per l’incapacità di comprendere cosa stia accadendo. Giunto fino al limite del bagno, saggiamente si piega per allungare una mano verso il terreno: se si tratta di un’illusione dovuta ad una forma di stress senza causa apparente, oppure ad una malattia grave di cui non aveva avuto avvisaglie, vuole evitare di precipitare per i dieci metri che lo separano dal piano della corte. O di pestare il piede contro il muro invisibile, che a tutti gli effetti potrebbe scoprire ancora saldamente al suo posto.

Invece, oltre al profumo dei girasoli e della terra, alla leggera brezza ed al tepore del sole, anche il tatto risponde agli stimoli dell’ambiente in cui incredibilmente si è ritrovato.

Accenna ad un sorriso, perché le sensazioni in cui si ritrova immerso sono così piacevoli da scatenare in lui una reazione istintivamente positiva, quale ormai solo qualche film leggero riesce a provocargli.

S’incammina quasi senza accorgersene tra i girasoli. Accarezza delicatamente le loro teste, prima di fermarsi ad assaporare tutta la fragranza di un esemplare che lo ha colpito per maestà e fierezza.

Si volta e guarda tutt’intorno a sé. La sua palazzina è scomparsa. I profili delle colline coltivate gli impediscono di comprendere dove possa trovarsi. Per il momento non coglie alcun segno di presenza umana, perciò inizia a correre ridendo allegramente verso la vetta più alta.

Raggiunta la cima, capisce subito dove si trova, poiché si tratta di uno dei luoghi più importanti per la sua stessa infanzia. La vallata che declina dolcemente verso il mare è per lui immediatamente riconoscibile, retaggio degli anni trascorsi presso i nonni paterni a Potenza Picena.

Nonna Fausta in modo particolare è stata una delle figure principali per il giovane Patroclo, fino a quando non ha lasciato questo mondo. Era stata lei a condurlo a passeggiare per i campi, facendogli scoprire angoli nascosti di quel paradiso e portandolo ad amare la natura ed il frutto del lavoro dell’uomo. Nonno Mario era molto più severo, chiuso e poco portato per la condivisione anche con il nipote. Gli aveva tuttavia insegnato ad usare le mani per svariate necessità domestiche, cosa di cui lui gli è grato tutt’ora, pur non avendo più modo di rimarcarlo di persona.

Ripercorrendo i passi affrontati con la nonna, Patroclo riporta alla memoria i momenti trascorsi con Teresa. Era stata la sua prima ragazza, conosciuta in un’estate di un millennio prima, quando lui era un quindicenne sceso in villeggiatura da Verona, e lei una quattordicenne del posto, brava ragazza cresciuta in una famiglia semplice ma solida sia per principi, che per stabilità economica.

Si erano rivisti per qualche estate, fino a quando lei non gli aveva mandato una lettera in cui gli raccontava di essersi fidanzata. Non c’era da stupirsi, la ragazza aveva ormai compiuto diciott’anni e la loro relazione a distanza si era tramutata sempre più in una bella amicizia. Patroclo aveva inizialmente provato una forte gelosia, tanto che aveva pensato di partire per dire la sua sul pretendente. Aveva poi capito di dover maturare, accettando il fatto di non poter essere per lei nulla più che un confidente.

Erano tornati a vedersi tanti anni dopo, quando il matrimonio di Teresa era naufragato e, pur non volendo divorziare per non gettare discredito sulle due famiglie, aveva deciso di partire alla volta del Nord Italia per cambiare vita. Un anziano parente le aveva infatti trovato lavoro a Padova, un impiego probabilmente molto noioso ma anche ben remunerato. I due amici di vecchia data avevano pertanto deciso di incontrarsi per confrontare le loro reciproche esperienze di vita.

Dopo un paio di appuntamenti innocenti, la fiamma che aveva covato a lungo sotto la cenere aveva ripreso vigore. Avevano pertanto ripreso a frequentarsi, questa volta potendo contare su di una distanza decisamente più modesta. Avevano circa trent’anni, e nulla e nessuno sembrava potersi frapporre al loro meritato destino insieme.

Tutto era nuovamente franato quando il padre di Teresa aveva avuto un malore. Grazie al boom del turismo nelle Marche, l’attività di famiglia era infatti letteralmente esplosa. Per contro, l’uomo si era fatto carico di tutto l’incremento di attività, senza assumere nessuno per massimizzare i profitti e consolidare l’eredità dell’amata figlia. Il suo fisico non aveva purtroppo retto, costringendolo prima in ospedale, e poi a dare un drastico taglio al suo impegno.

Teresa aveva riflettuto con i genitori su come gestire il futuro di quell’attività. La donna aveva imparato molto da loro, inoltre aveva diverse idee moderne che avrebbero potuto dare un’ulteriore spinta all’azienda. La sua fuga precipitosa aveva procrastinato e potenzialmente cancellato il passaggio dell’azienda in mano sua, ora tuttavia un suo rientro sarebbe potuto essere quanto mai opportuno, anche perché gli utili che già in quel momento venivano generati, fatto salvo per la battuta d’arresto dovuta al malessere del padre, erano in grado di compensare quasi completamente lo stipendio del suo lavoro padovano.

C’era tuttavia la questione della sua relazione con Patroclo. Lui infatti non l’avrebbe mai seguita. Lei, come già accaduto quando era una ragazzina, avrebbe deciso di vivere nella sua terra natia. Ancora una volta, il destino si era messo di traverso.

Dopo un addio molto più doloroso rispetto a quando avevano poco più di diciott’anni, Teresa si era rappacificata con il marito da cui non aveva mai divorziato. Aveva condotto egregiamente l’attività di famiglia, tanto che avevano potuto investire anche su altre attività, tra cui una importante partecipazione in un nuovo villaggio vacanze. Aveva anche dato alla luce due figli, un maschietto ed una femminuccia. Era forse molto più impegnata che realmente felice, ma finché suo padre restò al mondo, leggere l’orgoglio nello sguardo dell’uomo la ripagava di tutti i sacrifici.

Patroclo si era invece completamente chiuso in sé stesso. Aveva quasi escluso dalla sua vita i genitori, gli amici, i colleghi, al di fuori di tutte le interazioni necessarie. Ognuno si era infatti arrogato il diritto ed il dovere di recapitargli una sua opinione su quanto gli era accaduto. All’ennesima dose di saggezza spiccia, nonché priva di una reale conoscenza di ciò che gli era capitato e del senso di vuoto che l’uomo aveva provato, aveva capito di dover escludere qualsiasi interazione umana dalla sua esistenza, per limitare la sofferenza che gli provocava il ritorno con il pensiero a Teresa, ed a ciò che sarebbe potuto essere del loro futuro.

Ora, trent’anni dopo averla vista per l’ultima volta, le sembra quasi di scorgerla nella figura di una donna che gli stando le spalle, di fronte ad una bella cancellata in ferro battuto. Le assomiglia così tanto che Patroclo arriva addirittura a pensare che possa trattarsi della figlia della donna. D’altra parte, a conti fatti la ragazza dovrebbe ormai avere raggiunto la stessa età della madre quando quest’ultima era tornata a vivere in quella stessa terra.

La folta chioma corvina viene sostituita da un viso, che si apre ad un sorriso ampio e sorprendentemente spontaneo.

«Patroclo, sei arrivato finalmente!»

La donna gli corre incontro, felice di vederlo.

Lui resta spiazzato. Come può averlo riconosciuto? La somiglianza con la madre, tuttavia, è davvero incredibile.

Ciò che più lo deve cogliere di sorpresa avviene solo al momento del ricongiungimento, quando lei si slancia verso il suo volto e lo bacia con passione ed una confidenza che non può essere dovuta ad un malinteso.

La donna si allontana, preoccupata dalla rigidità dell’uomo: «C’è qualcosa che non va?»

Non ha senso, tuttavia quella somiglianza, quella spontaneità…

«Teresa», bisbiglia lui con un alito di voce.

Lei ride dolcemente: «Patroclo, sembra che non ci vediamo da trent’anni! Forza, che i miei genitori ti aspettano. Mia madre ha preparato uno stufato che nemmeno t’immagini. Dove hai le valigie?»

Cosa sta succedendo?

«Teresa, perdonami, ho bisogno di riprendermi un secondo. Probabilmente il viaggio e l’emozione per essere arrivato fino a qui mi hanno giocato un brutto scherzo.»

«Non ti preoccupare, vieni in casa. Vedrai che con un buon bicchiere di vino passerà tutto.»

Improvvisamente, dentro Patroclo si manifestano consapevolezze che sono figlie di una realtà che non ha mai vissuto.

E’ certo di avere accettato di mollare tutto, a Verona, per trasferirsi nelle Marche con lei. Lavoreranno insieme per il futuro dell’azienda di famiglia della ragazza, espandendola per quanto possibile grazie alle collaborazione con altre realtà del posto. Questo è ciò che ha deciso di fare, mettere la sua esistenza in gioco per non perdere un’altra occasione di trascorrere il resto dei suoi giorni con la donna che ama da così tanti anni.

Tutte quelle certezze gli regalano un entusiasmo incontenibile. Guarda Teresa negli occhi, per cercare un segno che gli faccia capire se abbia visto giusto. Ci sarà tempo per comprendere se si tratti solo di un sogno, per il momento è il più bel viaggio onirico che gli sia mai capitato.

Lei lo osserva compiaciuta: «Finalmente vedo la giusta felicità nei tuoi occhi. Coraggio, mio padre non ti mangia. Anche perché, poverino, in questo momento non potrebbe fare del male nemmeno ad una mosca.»

Patroclo si lascia prendere per mano da Teresa e guidare nella nuova realtà. Non si volterà più indietro, vivendo una vita lunga, piena e soddisfacente a partire dai suoi nuovi trent’anni, provando anche la gioia della paternità.

Ripenserà a quel lungo periodo trascorso imprigionato in un’esistenza triste e vuota come ad una dura lezione, che non scorderà mai ogni volta in cui dovrà scegliere se amare pienamente o se limitarsi a sopravvivere.

Ma dove sta la realtà?

Qualche giorno dopo l’incontro con il campo di girasoli, allarmati dalle assenze al lavoro, i colleghi allerteranno la polizia. Le forze dell’ordine faranno irruzione nell’appartamento, dopo avere chiesto autorizzazione ad una famiglia travolta dal senso di colpa per aver consentito a quell’elemento di diventare così schivo e malinconico.

I poliziotti gireranno per la piccola casa, trovando la porta del bagno socchiusa. Aprendola con cautela, rinverranno il corpo senza vita di Patroclo, venuto a mancare per ragioni che i medici non riusciranno a comprendere.

Ma in fondo, non è questa la verità.

La verità è semplicemente che da troppi anni quel corpo era un guscio vuoto, che impediva all’anima di Patroclo di spiccare il volo per ritrovare la sua vera dimensione. Quella in cui ha fatto la scelta più coraggiosa e difficile, ma in fondo l’unica dotata di senso: trascorrere la vita con la donna che ha sempre amato.

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Una foglia nel vento

La foglia di castagno volava sospesa dal tiepido vento di fine primavera.

L’uomo in giacca e cravatta le sfilò di fianco con passo celere. Non aveva tempo da perdere: avrebbe dovuto raggiungere l’ufficio entro dieci minuti per prendere parte ad un’importante riunione. A dire il vero, non era poi un incontro così importante. Lo era tuttavia per il suo capo, e lui non aveva intenzione di deluderlo.

Si sentiva a disagio, perché il sole iniziava a farlo sudare e non avrebbe avuto occasione di sistemarsi prima di presentarsi davanti al responsabile, in diretta video con dei potenziali clienti.

All’improvviso, la foglia passò davanti al suo volto. Al naso dell’uomo giunse inattesa la fragranza di un bosco di montagna. Lui rallentò il passo, mentre un ricordo affiorava sulla superficie della sua mente concentrata sugli argomenti della riunione.

Quando era successo? Dovevano essere passati almeno vent’anni, forse di più. All’inizio dell’università aveva conosciuto una ragazza di cui si era follemente innamorato, ed era certo che lei lo ricambiasse. Amavano passeggiare in montagna, tra boschi e vallate, scrutando speranzosi gli spazi di fronte a loro con un cannocchiale per scorgere qualche animale selvatico. Avevano riso molto e si erano divertiti, ma soprattutto avevano pensato di non poter fare a meno l’uno dell’altra.

Poi, finita l’università l’uomo aveva imboccato una carriera piuttosto ambiziosa, seminando la ragazza che si era sentita trascurata e sottovalutata. Fra di loro era finita per motivi futili come l’impiego ed il desiderio di fare carriera, certo non per la ricerca di una felicità che lui avrebbe più facilmente trovato fra le sue braccia.

A distanza di tanti anni, l’uomo sentiva il desiderio di rivivere quelle emozioni. Si fermò, chiamando in ufficio per comunicare che si era sentito poco bene lungo la strada. Tornò all’automobile, che accese e guidò in direzione delle montagne. Qui prese una stanza d’albergo, si cambiò con quello che aveva recuperato di corsa da casa e si diresse verso gli spazi poco battuti che lo circondavano. Dopo un paio di giorni di girovagare, incontrò casualmente la donna della sua vita, che proprio poche settimane prima era uscita dal suo deludente matrimonio.

«Ti andrebbe di riprovarci? Ho capito di essere stato uno stupido, e che non mi interessa di null’altro che di te, e di questo meraviglioso ambiente che ci circonda.»

Se la donna accettò oppure si mostrò restia a riprendere una relazione con lui, non lo sapremo mai, perché in fondo è un’altra storia.

Ciò che più conta è che la piccola foglia di castagno continuò la sua corsa ondeggiante lungo le strade, finché non arrivò sul davanzale di una madre. Come in un cartone animato americano, lei stava depositando proprio lì una torta di mele. Era il dolce preferito da suo figlio, che tuttavia se n’era andato via furibondo dopo una discussione con i genitori.

La madre era preoccupata, perché il ragazzo non si era mai arrabbiato con loro fino a quel punto. Se n’era andato sbattendo la porta, ed in quel momento non era dato sapere dove fosse andato a cacciarsi.

La donna notò la perfezione di quella foglia, e decise di conservarla. Lei tuttavia volò via, delicatamente ma con decisione.

La donna non si perse d’animo: uscì sulla veranda per rincorrerla, e da lì in strada. Fatti una cinquantina di metri all’inseguimento di quell’appendice vegetale, la madre si fermò: il figlio era lì, solo, appoggiato ad un albero mentre rifletteva tra sé.

«Cosa fai qui? Pensavo fossi corso dai tuoi amici.»

Il ragazzo vide la foglia danzare armoniosamente davanti ai suoi occhi, distraendosi e perdendo qualsiasi intento combattivo.

«Non ne ho voglia, e non mi va di litigare con te, soprattutto per motivi così sciocchi.»

«Dai, torniamo a casa: ho appena sfornato una torta di mele.»

«La mia preferita! Grazie, mamma!»

Madre e figlio tornarono insieme in casa, prendendosi bonariamente in giro per quella pseudo-litigata, ormai dimentichi di chi o cosa li avesse fatti incontrare.

La foglia non se la prese e proseguì il suo viaggio.

Giunse infine a danzare intorno ad una bambina di otto anni. Questa giovane donna stava vivendo una giornata molto difficile, una di quelle che restano scolpite a lungo nella memoria di una persona.

In quel momento era sola, seduta su di una panchina in un piccolo parco a pochi passi dal cancello di casa sua. I suoi coetanei le erano passati davanti più volte, invitandola a giocare tutti insieme per distrarla dalle ragioni che la rendevano triste. La giovane aveva rifiutato: sentiva il bisogno di vivere a fondo la sua malinconia, respingendo l’idea di poter ridere gioiosamente proprio in quel momento.

La foglia volò verso di lei proprio quando l’ultimo dei suoi compagni di gioco aveva girato l’angolo per tornare verso casa, lasciandola completamente sola. La piccola appendice di un albero abbandonato tempo prima si appoggiò delicatamente sul suo naso, mentre la bambina aveva lo sguardo rivolto verso il basso.

«Ma… Che cos’è?», disse stupita ed un po’ preoccupata.

La foglia si sollevò di nuovo, tornando però subito verso di lei a solleticarle delicatamente il naso. La bambina rise delicatamente, sorpresa per quell’effetto così piacevole. Sembrava quasi che una mano invisibile si fosse impossessata del picciolo.

La giovane donna afferrò saldamente la foglia e la guardò, studiandola con attenzione. Non notò nulla di particolare, sembrava una comunissima foglia. Eppure…

Eppure, quel tocco delicato le aveva restituito il sorriso. Certo, la malinconia non era del tutto scomparsa, come avrebbe potuto essere altrimenti? Aveva tuttavia acquisito nuovamente il desiderio di distrarsi, di fuggire da quella tristezza che si era impossessata di lei.

Infilò la foglia in una tasca ed iniziò a giocare da sola. A lei si aggiunsero poco per volta altri bambini, finché non arrivò l’ora di rientrare in casa. Qui, la piccola si fece dare un libro dalla mamma, ed all’interno di una pagina che le sembrava più importante delle altre mise quella magica foglia ad essiccare. Decise che sarebbe rimasta con lei per sempre, e che ogni volta in cui avesse sentito il bisogno di recuperare il sorriso, avrebbe aperto quella pagina del libro per ripensare al giorno in cui quel piccolo miracolo della natura aveva spazzato via la sua tristezza.

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Racconti brevi

Diego e la Pamela sbagliata

Diego si sentì finalmente libero.

Nuotò con energia fino ad allontanarsi dal bagnasciuga preso d’assalto dagli altri turisti. Raggiunse un punto in cui le acque della riviera romagnola erano sufficientemente limpide, restando a galla per guardare verso la riva e scorgere gli amici sotto agli ombrelloni. Alzò il braccio per richiamare la loro attenzione, ricevendo in risposta una salva di urla e diti medi.

Si sentiva un po’ stanco dopo la nuotata, perciò decise di rientrare dove riuscisse a toccare con i piedi, cosa che in effetti accadde già a parecchi metri dalla riva. Emerse dalle acque quando fu ormai a pochi passi dalla sabbia asciutta, sentendosi un vero uomo mentre il mare scivolava via dolcemente dal suo corpo di ventenne.

«Ehi, Diego, invece di fare il figo cerca di venire qua sotto con noi, che mi sono rotto di giocare con il morto.»

Decise di accogliere l’invito dell’amico ad unirsi ad una partita di briscola chiamata. D’altra parte, erano le quattro di pomeriggio: troppo presto per iniziare con l’aperitivo, ma l’ora perfetta per qualche giro di carte e di birre sotto l’ombrellone.

«Che ti ridi, Diego? Hai visto qualche polla con le branchie e la coda mentre nuotavi?»

Il ragazzo non si era accorto di avere un sorriso ebete stampato in faccia. La ragione era molto semplice: era orgoglioso di sé stesso.

Nessuno aveva capito quanta fatica gli fosse costato superare la fine della sua storia con Pamela, la ragazza con cui stava dalla terza media e che ad un certo punto del loro quarto anni insieme aveva deciso di voler fare altre esperienze.

Che poi quelle esperienze avessero un nome ed un cognome preciso, Diego lo aveva capito benissimo: non era così stupido da non accorgersi di come si guardasse di nascosto con un suo compagno di classe, più alto e con più personalità di quanto Diego stesso avrebbe mai potuto sperare di mettere in mostra, nonostante quel ragazzo avesse come Pamela un anno in meno di lui. Semplicemente, non aveva potuto farci nulla: la sua autostima era sempre stata piuttosto bassa, aveva perciò sperato che la ragazza con cui era convinto di arrivare fino al matrimonio stesse solo cercando di farlo ingelosire. Alla fine effettivamente ce l’aveva fatta: ogni volta che Diego li incrociava in giro per il paese, notando la lingua del fighetto persa ad esplorare luoghi di cui lui in anni non aveva nemmeno bussato alla porta, la sua gelosia schizzava a livelli tali da riportare in voga l’anticiclone africano nel bel mezzo di una fredda giornata di pioggia autunnale.

Da allora era stato un po’ come se si fosse gettato a letto, senza mai trovare la forza per rialzarsi. Faceva ogni cosa controvoglia: mangiare, seguire lezione, uscire a bere con gli amici, niente gli dava più emozioni. I suoi avevano pensato che fosse stata solo colpa di una botta di adolescenza dietro al coppino, perciò non avevano fatto altro che prenderlo a male parole quando le sue medie voti erano precipitate in tutte le materie fino alla bocciatura, al terzo anno di liceo. Proprio lui, che se era sempre stato negato con lo sport e poco portato per socializzare, aveva almeno dimostrato di potersela cavare negli studi.

I suoi vecchi avevano pensato di fargli cambiare scuola, mandandolo in un istituto tecnico.

«Magari con delle materie più pratiche ti sentirai più a tuo agio.»

Non lo avessero mai detto. Che poi la maggior parte dei suoi amici frequentava quel tipo di scuola, perciò lo avrebbe anche fatto volentieri, ma non sopportava che proprio loro non capissero il treno che gli era passato sopra la testa.

Era trascorso quasi un anno dalla fine della storia con Pamela, eppure le parole dei suoi genitori furono in grado di tirare fuori tutta la frustrazione che aveva dentro. Scappò di casa senza pensarci un attimo.

Lo ritrovarono gli amici dopo tre giorni nella piazza di un paese vicino, mentre stava seduto con un panino che non era proprio appena preparato. Guardava nel vuoto, seduto per terra con la schiena appoggiata ad uno dei monumenti più brutti del mondo, giusto per aggiungere un po’ di tristezza ad una scena che era già di per sé deprimente.

Lo riportarono a casa, dove i genitori gli fecero fare un test per vedere se in quei giorni si fosse drogato. Lui quasi non se ne accorse, come non si rese conto dell’anno successivo in cui, quasi in folle, passò per il rotto della cuffia il terzo anno di liceo.

Poi, un’estate, incontrò un tizio fuori da un bar.

Aveva compiuto da poco diciotto anni, ma non aveva voluto festeggiare né in famiglia, né con la compagnia. Era comunque partito per le vacanze al mare, giusto perché era stato prelevato da casa con la forza.

Erano in Riviera, lui e gli amici che se lo portavano dietro più per pietà che per compagnia, visto che non parlava quasi mai e non spiccicava un sorriso neanche se minacciavano di pagarlo. Cosa che ogni tanto in effetti facevano, dopo il terzo giro di medie, ma lui non se la prendeva, perché in effetti stava almeno una media avanti a tutti.

Ecco, una di quelle sere stava seduto in silenzio come sempre, fuori da un bar di Rimini. All’improvviso arrivò un uomo molto più grande di loro, con i capelli ricci lunghi fino alle spalle, magro come un chiodo, una improbabile camicetta blu a fiori e dei pantaloncini kaki a mezza gamba. La testimonianza sulle scarpe non è giunta con certezza fino ai nostri giorni, ma qualcuno dice che fossero infradito, se vi può interessare.

Il tizio iniziò a parlare fitto con Diego. La cosa strana è che non sembrava più ubriaco o fumato di lui, ma insisteva per cercare di farlo parlare, o almeno di tirarlo fuori dal suo stato catatonico. Andò avanti per quasi un’ora, mentre gli amici del ragazzo iniziavano a chiedersi chi diamine fosse quel tizio e cosa volesse da lui.

Sì, beh, forse avevano impiegato un po’ troppo a farsi queste domande, ma ormai erano abituati a lasciare Diego in disparte.

Fatto sta che, dopo appunto quasi un’ora di chiacchiere fitte a senso unico, il nostro protagonista si alzò e cacciò un grido che i poliziotti di tutto il circondario arrivarono a frotte in trenta secondi, ma solo per vederlo correre via come un pazzo mentre si toglieva la polo e la gettava in mezzo alla strada.

Ritornò al bar dopo dieci minuti, fradicio dopo essersi gettato in mare: il tizio era ancora lì, e Diego lo abbracciò sorridendo.

Nessuno seppe mai cosa quell’uomo avesse detto, perché Diego non lo ha mai confessato, ma il ragazzo era improvvisamente rinato. Aveva trovato dentro di sé la forza che gli serviva, oltre a una bronchite che si prese dopo essere rimasto tutta la sera bagnato e senza maglietta.

Impiegò comunque due anni per tornare davvero quello di prima, forse anche un po’ meglio, perché acquisì poco per volta più autostima. Dopo avere concluso la maturità con un bel voto ed essersi iscritto all’università, si concesse la vacanza in Riviera che stavamo descrivendo all’inizio di questa storia.

Dicevamo che Diego era appena rientrato a riva dopo una nuotata al largo. Arrivò sotto l’ombrellone dando una generosa scrollata alla testa bagnata, inondando birre e carte per far saltare la mosca al naso agli amici, che lo rincorsero in giro per la spiaggia facendo a loro volta saltare la mosca al naso agli altri turisti. Tutti in fondo volevano divertirsi, ma anche se ridevano alla fine raggiunsero Diego e gliele suonarono. Pazienza, anche lui stava ridendo, ed in fondo era un ventenne in forma, perciò non si accorse quasi di nulla.

Chi si accorse di qualcosa fu una ragazza parecchio carina, che guarda caso si chiamava Pamela, ma non c’entrava nulla con la ex di Diego. Lo aveva visto lottare per gioco con gli amici, ma soprattutto lo aveva visto sorridere.

Quando i loro occhi si erano incrociati, il cuore di entrambi aveva perso un battito nello stesso momento.

Penso siate abbastanza abituati a questo tipo di racconti da sapere come andò a finire: Diego si accorse all’improvviso di avere perso anni dietro alla Pamela sbagliata, ma soprattutto capì una volta per tutte che non importa cosa pensino gli altri di te.

E’ nel momento in cui credi davvero in te stesso che il mondo realizza finalmente quanto vali.

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Il vortice del passato

Una nuova ruga, o almeno così le pare.

Una piccola lacrima scende a segnarle il volto. Non è la vecchiaia a farle male, piuttosto la vacuità. Il grigio nulla che la avvolge, senza darle scampo.

«Chi è Monica?»

Questa è la domanda che la attende quasi ogni mattina. Ci sono giorni migliori, in cui questa domanda va intesa in senso relativo. Il dubbio riguarda la sua personalità, il suo passato, le amicizie ancora presenti nella sua vita.

Ci sono invece altri giorni in cui quella domanda ha valore assoluto. Chi è Monica? Sono forse io?

La foto di una donna sorridente, radiosamente bionda, le ricorda un nome. Chiara. Sì, lei è Chiara, sua figlia. Forse è per via del fatto che quella persona è pressoché l’unica presenza nella sua vita, se da tempo è molto più sicura di chiamarsi ‘mamma’ piuttosto che ‘Monica’.

Ci sono parti del suo appartamento che le sono decisamente familiari, altre meno. La cucina fa parte delle stanze amiche, ma l’orologio le spiega che non è ancora ora di preparare il pranzo. Peccato, era certa di avere un po’ fame.

Si sposta verso la camera. Lì è sicura di trovare una televisione. Toh, ed è anche bella grande! Forse Chiara l’ha spostata in quel punto apposta per lei, perché si è accorta che sua madre non usa più l’altra stanza. Ma che sciocca, non ci sono altre stanze!

Comunque, non ha molta voglia di guardare la televisione. Non c’è mai niente di bello, al mattino. A parte la domenica, quando c’è la messa da Roma. Quel nuovo Papa le piace proprio. Vediamo se oggi è domenica. No, purtroppo.

La televisione viene spenta. E ora?

C’è una fotografia che richiama la sua attenzione. In compagnia di un uomo, grassottello ma con la faccia simpatica, c’è una donna che le assomiglia. E’ mora, ed è un po’ più grande di sua figlia Chiara.

A Monica non risulta di avere altre figlie femmine, perciò deve trattarsi di una sua foto di qualche anno prima. Ma chi è il simpatico cicciottello?

I ricordi si incontrano e si allontanano.

Un nome fa capolino. Franco. Sì, quel nome le scalda il cuore. Dev’essere lui quell’uomo.

Ma no, non è possibile. Quella persona le ispira amicizia, voglia di stare in compagnia. Non amore.

Il nome Franco le fa venire voglia di alzarsi e di andare verso il calendario appeso ad una parete. Non ha idea di che giorno sia, ma non le importa. Ciò che vuole vedere è l’immagine riprodotta in cima alla pagina.

E’ certa che si tratti del Trentino.

Franco. Il Trentino.

Ha bisogno di sedersi sul letto. Si tiene la testa tra le mani, mentre i ricordi si affollano, spingendo per emergere dall’oblio.

Quel giorno faceva caldo, anche se si respirava bene lassù. Lei e Franco stavano vivendo una piccola vacanza nei boschi del Trentino, in una pensione in cui lui aveva lavorato un paio di anni prima come cameriere nel ristorante interno.

Avevano camminato a lungo tra gli alberi. Il tempo non contava, perché si amavano ed adoravano trascorrere le ore insieme a chiacchierare. Ridevano spensierati per ogni fesseria che uno dei due dicesse.

Erano usciti dal bosco. Si stavano incamminando verso un’altra parte dell’abetaia, attraversando un piccolo prato deserto.

Ad un certo punto un serpentello era strisciato vicino a Monica, fuggendo rapidamente verso spazi meno frequentati. Lei si era spaventata a morte e, nei pochi passi che aveva fatto in direzione di Franco era inciampata, procurandosi una piccola distorsione alla caviglia.

Lui si era preoccupato. Aveva controllato che non si fosse fatta nulla di grave, quindi aveva tirato un sospiro di sollievo.

«Forza, rimettiamoci in cammino.»

«Come pensi che possa camminare in queste condizioni?»

Monica ricorda quel momento come fosse successo pochi minuti prima: lui l’aveva sollevata delicatamente, prendendola in braccio, e così l’aveva portata fino alla pensione.

L’odore del sudore di Franco per lo sforzo e per la giornata calda si fondeva meravigliosamente con i profumi dei boschi, mandandola in estasi.

Erano rientrati in stanza, dove avevano fatto l’amore senza più pensare alla caviglia. Monica fatica a ricordarsi come fosse stato, perché ha sempre vissuto il sesso con un trasporto tale da farle spesso perdere il controllo. Tuttavia è certa che dev’essere stato tremendamente passionale ed intenso.

Non ha idea di quanti anni siano passati da allora, e di che fine abbia fatto Franco. Perché se c’è una cosa di cui è completamente certa, è che l’uomo della foto in camera non è Franco.

Luigi, ecco come si chiama. Aspetta un secondo, Luigi è suo marito!

O meglio, era suo marito. E’ sicura che ormai non ci sia più.

Ha bisogno di alcune risposte, perciò richiama sul cordless il numero di Chiara.

«Ciao mamma, come stai?»

«Bene, cara, ma ho bisogno di te.»

Dalla voce della figlia trapela la sua preoccupazione: «Cos’è successo?»

«Nulla, piccola mia. Solo questa maledetta testa che fa cilecca.»

Chiara si lascia andare ad una piccola risatina di sollievo. Scherza spesso con la madre sulla malattia per esorcizzarne gli effetti più difficili da accettare: «Spara, chiedimi quello che vuoi sapere.»

«Che età avevo quando ci siamo sposati, io e tuo padre?»

«Trentacinque anni.»

Monica è sorpresa dalla prontezza della figlia: «Ah. Immagino di averti fatto già fatto questa domanda in passato.»

«Un altro paio di volte negli ultimi due mesi.»

La donna saluta Chiara, ringraziandola.

La ragazza del suo ricordo era giovane, molto giovane. Sicuramente aveva meno di trentacinque anni.

Franco doveva essere stato un suo grande amore, prima che la vita la portasse a sposare Luigi.

Sente il bisogno di suggellare quel ricordo, per quanto sappia che forse già poche ore più tardi sarà destinato a svanire.

Si guarda intorno, alla ricerca di un aiuto. Lo trova in una scatola di cui non conosceva l’esistenza. Su di essa fa bella mostra di sé un cartello: “Da Monica x Monica”.

Lo appoggia delicatamente sul letto, perché le viene in mente che lì dentro troverà ciò che di più prezioso le sia rimasto. Tolto il coperchio, ecco esplodere un caleidoscopio di fotografie, documenti e lettere.

Negli strati superiori sopravvivono pagine della sua vita con Luigi. Quanti posti hanno visto insieme! Ci sono anche alcune immagini dal Trentino, ma chissà perché, di quelle vacanze non ha alcun ricordo.

In verità, nessuno di quegli scatti la emoziona. E’ come se la malattia si fosse portata via tutti i sentimenti che ha provato per il marito, più di quanto non abbia fatto la scomparsa del povero Luigi.

Ha ormai vuotato il contenitore. Ha sfogliato avidamente tutto ciò che riguarda Chiara, compresa una fotocopia del suo attestato di laurea. Le è tornato alla memoria l’orgoglio che ha provato il giorno della discussione della tesi, e sente in cuor suo che quella ragazza non l’ha mai delusa. Mai.

Infine, come se fosse stato pudicamente nascosto da qualcuno che non voleva far emergere quel passato ormai lontano, ecco comparire Franco.

In tutto Monica trova quattro fotografie ingiallite e tre lettere, consumate da frequenti riletture.

Le prime la fanno sorridere, anche perché in ogni istantanea sia lei che Franco compaiono in tutta la loro giubilante serenità giovanile. Tra le seconde, invece, ce n’è una che le spezza il cuore.

E’ la lettera con cui lui le ha dato l’addio.

“Mia cara, sono ormai trascorsi quasi due anni dal nostro ultimo incontro. Qui in Germania mi trovo bene, e contrariamente alle mie intenzioni, non penso che rientrerò mai più. Certo, i tedeschi non sono sempre accomodanti con noi italiani, ma se ti dimostri un buon lavoratore, finiscono per apprezzarti e per considerarti quasi come uno di loro.

E’ con una punta di dispiacere che ti annuncio anche il mio fidanzamento con una ragazza conosciuta qui. Sono felice, ma certo so che i nostri meravigliosi momenti sono ormai legati al passato, e questo mi rattrista. Immagino con un poco di gelosia che nel frattempo si sia creata una coda di ammiratori di fronte alla tua porta, per questo ti auguro che un brav’uomo faccia presto breccia nel tuo cuore, se ciò non è già accaduto.

Tuo per sempre, Franco”

Nella nebbia si fa strada un treno in corsa. Su ogni vagone, un’immagine: la lettera che le cade di mano, mentre le lacrime scendono copiose; la desolante solitudine che si avvinghia intorno al suo essere più profondo; la decisione di cedere alle lusinghe di Luigi, il ‘brav’uomo che faccia presto breccia nel tuo cuore’, solo che dopo Franco nessuno avrebbe mai più avuto il suo amore incondizionato; infine l’arrivo di Chiara, che aveva veramente riempito quel vuoto affettivo e che ancora oggi rappresenta il suo vero sostegno.

Si sente sciocca, pensando che la malattia le stia facendo rivivere quella incalzante sequela di emozioni perlomeno per la terza volta, ma come se fosse la prima.

Poi un pensiero si fa strada in lei. Forse, se la sua memoria non fosse stata devastata con la furia cieca che i medici chiamano Alzheimer, Franco sarebbe scomparso per sempre, sommerso dalla presenza di Luigi nei momenti più importanti dei suoi ultimi cinquant’anni.

Decide che non valga la pena di essere triste, e che se il suo destino è quello di rivivere altre cento volte quelle emozioni, ebbene lei balzerà per altre cento volte dall’amore alla fredda solitudine, con coraggio, finché il buon Dio non scriverà per lei la parola

FINE

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Il poeta

Il poeta sedeva sulla panchina con lo sguardo perso nel vuoto. Sentiva di avere perso la capacità di evocare le sue emozioni nei versi, e ciò lo lasciava smarrito come un ragazzo al primo giorno di lavoro.

Teneva appoggiato sulle sue gambe il fidato quaderno con la copertina in legno di bambù. A quelle ruvide pagine aveva affidato negli anni i suoi sogni e le speranze, ma anche i timori per il futuro ed il ricordo delle cicatrici del passato.

Il foglio che avrebbe dovuto accogliere i suoi pensieri, quel giorno era desolatamente vuoto. C’è qualcosa di magico ed al tempo stesso di angosciante in una pagina bianca: da una parte, è entusiasmante iniziare a creare qualcosa di totalmente nuovo, dando vita alla propria arte in versi, perché non si può mai sapere dove ci condurrà quel viaggio all’interno della nostra anima; al tempo stesso, se la carta resta intonsa troppo a lungo significa che qualcosa si è inceppato nel nostro meccanismo interiore. Quasi certamente non stiamo affrontando il momento giusto per dare forma ai nostri pensieri, lieti o tetri che siano.

Il momento di aridità creativa si trasforma in un problema quando le ore di sterilità si susseguono fino a diventare giorni. Il poeta non sentiva sgorgare le proprie emozioni dal cuore alla penna oramai da una settimana, nonostante fosse giunta la primavera, ed ogni mattina dopo avere salutato la moglie e la figlia si fosse seduto pazientemente sulla sua solita panchina, nel parco del paese, il quaderno in grembo in attesa di ricevere le sue pennellate d’inchiostro.

Cosa si era rotto dentro di lui? Cosa poteva essere accaduto per sopprimere la sua creatività fino all’assenza di sentimenti? Eppure, la natura rinascente che lo circondava aveva attivato il suo corpo tanto quanto il suo spirito: provava il desiderio di caricarsi in spalla la famiglia e di partire per girare il mondo, per vivere mille avventure e collezionare centinaia di ricordi. Aveva provato a raccontare quella positività, ma nulla che meritasse di tramutare in blu quei fogli bianchi era giunto alla parte cosciente del suo essere.

Rimase sulla panchina per ore. Aveva scelto di scrivere per vivere, e di vivere per scrivere. Se tuttavia l’arte dentro di lui si era improvvisamente spenta, avrebbe deluso sé stesso in primo luogo, e le persone intorno a lui come immediata conseguenza. Avrebbe dovuto riporre la parte più importante di sé in un cassetto, costringendosi a trovare un lavoro che avrebbe detestato, diventando un uomo che non gli era mai interessato essere. Con tutto il rispetto possibile, ma per anni aveva contribuito al sostentamento della famiglia grazie ai suoi versi ed ai racconti che aveva concepito, riuscendo al contempo ad essere costantemente presente nella vita di sua figlia. Un privilegio che, se avesse trovato un impiego, gli sarebbe stato negato, come in fondo accadeva alla maggior parte dei padri.

Quando comprese che la giornata iniziava a volgere al termine, con il vuoto nel cuore si apprestò a richiudere il quaderno, su cui aveva appuntato e presto cancellato diverse parole inconcludenti. Parole così vuote di sentimenti che non avrebbero meritato di sporcare quel foglio sfortunato.

Mentre portava lo sguardo dall’infinito alla realtà di fronte a lui, vide tre donne sopraggiungere dall’ingresso del parco. Non erano persone qualunque, bensì si trattava delle donne più importanti della sua vita: sua madre, sua moglie e sua figlia. Erano arrivate fino a lì passeggiando per il paese, dopo i rispettivi impegni, probabilmente per ricondurlo a casa.

L’iniziale pudore che lo investì, al pensiero che le avrebbe deluse spiegando la sua ormai conclamata incapacità di dare vita alla sua arte, venne sostituito da una violenta ammirazione per la fierezza con cui incedevano verso di lui, donne illuminate dal sole in discesa alle loro spalle. Persone tanto differenti, e che per età ed esperienze diverse vivevano in modo molto personale la rispettiva femminilità.

Il poeta sorrise: la soluzione ai suoi problemi era così vicina da essersi confusa con il mondo che aveva cercato di abbagliarlo con i colori ed i profumi della primavera. Abbassò lo sguardo, spalancando il quaderno che aveva iniziato a socchiudere. Prese diversi appunti su ciò che avrebbe voluto scrivere, e che nei giorni e nelle settimane successivi avrebbero dato vita ad un torrente in piena di pensieri che avevano come unico comune denominatore l’importanza delle donne nella sua esistenza. Parole belle ed intense, che sarebbero state largamente apprezzate perché, nonostante il tema d’uso frequente, sarebbero riuscite ad essere tutt’altro che scontate, rappresentando da un punto di vista maschile tutto l’orgoglio e la difficoltà di essere donna. Ancora oggi. Nonostante gli insegnamenti del passato e la follia degli uomini descritta anche ai nostri giorni dalla cronaca.

Per quella sera, tuttavia, si sarebbe limitato a segnare i capisaldi del suo ritorno alla creatività. Si alzò, andando incontro alle tre donne più importanti della sua vita. Loro lo guardarono, piacevolmente sorprese dal suo sorriso così sincero ed aperto.

Lui semplicemente spiegò: «Verrà forse un giorno in cui vi deluderò. Arriverà un momento in cui non riconoscerò più in me stesso la persona che ho sempre voluto e creduto di essere. Fino a quel momento, voglio solo consegnarvi una certezza: vi voglio bene, e se in quell’ipotetico giorno me ne dovessi dimenticare, vi prego di ricordarmelo, perché il vostro amore è l’energia che mi tiene in vita e che mi rende l’uomo che avete di fronte in questo momento.»

La famiglia lasciò il parco, lieta ed unita nell’amore che legava ognuno di loro e che, nonostante le difficoltà insite nel destino di qualsiasi rapporto, nel loro futuro non sarebbe mai venuto meno.