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Racconti brevi

Favignana

La riva della costa siciliana si staglia di fronte a lei. Claudia sa che oltre quella breve lingua di mare sorge l’aeroporto di Trapani, da cui quella sera sarebbe rientrata a Bologna. Si sente mancare la terra sotto ai piedi al pensiero: quella fuga dalla vita familiare è durata decisamente troppo poco, il ritorno alla routine le crea un senso di angoscia quasi insostenibile.

Il Favonio giunge a scompigliarle i capelli, caldo e secco. Non ce ne sarebbe stata la necessità, perché la temperatura dell’aria è già sufficientemente piacevole da farle desiderare un bagno fuori stagione, ma non è più il momento. Correrebbe infatti il rischio di dover mettere in valigia la biancheria bagnata.

Guarda verso la grande isola invece che in direzione del mare infinito, ma non sa spiegarne il motivo.

Il suo desiderio di fuga giustificherebbe più facilmente la scelta di fondersi con l’orizzonte. Trova invece conforto nel mantenere il terreno in vista. La sua psicoterapeuta probabilmente le spiegherebbe che si tratta della ricerca di una nuova stabilità, perché non ha bisogno di ulteriori incertezze sul suo futuro. Ma come darle ancora retta, dopo avere scoperto che ha avuto una relazione con Stefano, suo marito?

Un grande classico.

Sei mesi prima, Claudia aveva sentito il bisogno di un aiuto, dopo anni in cui aveva trascurato i segnali di una preoccupante instabilità emotiva a causa di un matrimonio insipido trascinatosi per vent’anni, sommato ad una vita dedita unicamente ai figli ed al lavoro, mai a sé stessa. Non è certo una situazione anomala rispetto al resto dell’universo delle mogli e madri, ma i suoi due figli hanno ereditato l’apatia del padre, e quella mancanza di sentimenti la stava stringendo alla giugulare.

Aveva pertanto iniziato un percorso con una psicoterapeuta, che dopo alcune sedute aveva chiesto di coinvolgere anche suo marito per completare il quadro sulla sua paziente e per capire meglio le dinamiche conflittuali all’interno della coppia.

Apparentemente, l’uomo e la professionista si erano persi di vista dopo quell’unico incontro, ma alcuni segnali di mutua protezione nelle settimane successive durante le conversazioni di entrambi con Claudia avevano iniziato a far crescere in lei il sospetto che fosse accaduto qualcosa fra di loro.

La donna aveva trovato il coraggio per esporre il suo dubbio alla psicologa, che si era mostrata offesa per l’accusa di scarsa professionalità nell’essere venuta meno alla propria neutralità ed obiettività, deridendo per giunta la possibilità di una relazione con l’uomo.

Una sera, casualmente, l’apparente paranoica aveva tuttavia intercettato un messaggio sul telefono di Stefano in arrivo proprio dalla terapeuta. Il numero non era salvato in rubrica, ma Claudia lo aveva riconosciuto. L’anteprima dalla schermata di blocco non lasciava molti dubbi, considerato che lui non avrebbe dovuto nemmeno avere contatti con lei: “Cosa fai stasera? Mi…”

Non aveva resistito: aveva sottratto di nascosto il telefono al marito e, chiusa in bagno, lo aveva sbloccato leggendo il resto del messaggio: “Mi manchi, non posso resistere una settimana senza di te. Se ti liberi e vieni a casa mia, ti racconto una cosa che è saltata fuori durante l’ultima seduta che ti farà morire dal ridere. Rispondimi presto.”

L’emoticon con i cuori al posto degli occhi non sarebbe stata nemmeno necessaria, ma completò comunque un quadro piuttosto chiaro.

Poiché lui aveva colto l’occasione di un solo incontro per tradirla con una donna non particolarmente attraente, chissà quante volte doveva essere accaduto in precedenza. Claudia, sommersa dalle incombenze familiari e lavorative, non si era mai accorta di nulla. Che stupida.

Aveva messo la coppia fedifraga alle strette, ma si era ritrovata dalla padella nella brace.

La psicologa l’aveva minacciata di denunciarla, oltre a negare puerilmente che la seduta a cui si faceva riferimento nel messaggio fosse la sua. La moglie tradita si era infatti detta disposta a portare davanti ad una commissione la prova della violazione del segreto professionale, paventando la radiazione della professionista. La possibile denuncia da parte della psicologa era una difesa estrema di fronte ad un suo stesso palese ed ingenuo errore, ma Claudia si era resa conto di quanto la sua personalità mite non le avrebbe permesso di arrivare fino in fondo in un processo contro una donna caratterialmente così forte. Le motivazioni per mandarla a fondo sarebbero venute presto a mancare.

Si era pertanto concentrata su suo marito. Lui non aveva negato nulla di quella relazione, ma le aveva fatto notare due dettagli.

In primo luogo, i loro figli avrebbero certamente preferito stare con lui. Durante gli ultimi anni, infatti, mentre lei si impegnava per mandare avanti la casa e per seguirli con i compiti e gli impegni extrascolastici, rincorrendoli con urla e minacce per contrastare la classica poca voglia infantile di affrontare le proprie incombenze, lui era stato presente solo per passare con loro del tempo di qualità, fare il tifo alle partite di calcio e premiarli ad ogni minimo pretesto. Una versione estrema dei ruoli di agente buono ed agente cattivo, che Claudia in caso di separazione avrebbe pagato con un distacco pressoché completo dai suoi figli.

C’era poi la questione della casa, intestata completamente a Stefano in quanto ereditata dai genitori di lui, ormai venuti a mancare. Se a suo marito fosse spettata la custodia dei figli, probabilmente non avrebbe dovuto riconoscerle alcun mantenimento, anche perché lo stipendio più importante, per quanto non fosse certo sopra la media, era quello di Claudia. Lei si sarebbe ritrovata a dover sostenere con il suo lavoro un affitto, le bollette, le spese per l’automobile e le altre necessità primarie, e ad ogni imprevisto il suo conto sarebbe irrimediabilmente virato al rosso. Inoltre, la solitudine completa dopo tutti quegli anni di convivenza era una prospettiva persino peggiore rispetto all’apatia sommata alla frenesia della routine che sperimentava abitualmente.

Stefano la voleva ammanettare alla porta di casa perché da solo avrebbe faticato a mandare avanti la famiglia rivisitata al maschile. La psicoterapeuta doveva essere infatti l’ultima di una serie di amanti, che tali dovevano restare: lui non avrebbe mai voluto una donna dalla personalità forte che gli imponesse il suo stile di vita, molto meglio la remissiva Claudia, le cui caratteristiche non avrebbe tuttavia mai scelto in una nuova compagna perché non lo attraevano da un punto di vista prettamente materiale. Molto meglio tenersi stretta la schiava già consolidata, e nel frattempo continuare a coltivare le sue relazioni extraconiugali con donne caratterialmente più intriganti.

Dopo la minaccia di lasciarla sola e senza un soldo alla fine di ogni mese, Stefano aveva profuso scuse, lacrime e promesse per rendere meno opprimente la quotidianità. La moglie ferita e tradita aveva dovuto cedere per una mera mancanza di alternative. Ovvio che nel momento in cui fosse comparsa una via di fuga, l’avrebbe imboccata senza voltarsi, anche a costo di chiudere ogni sera in lacrime pensando ai figli lontani. Ma chissà quando avrebbe trovato quella porta aperta di fronte a sé, soprattutto perché a differenza di suo marito non era abituata, né caratterialmente predisposta, per guardarsi intorno in cerca di persone interessanti da frequentare.

La gita siciliana ha lo scopo di permetterle di respirare per qualche giorno. Nulla di sconvolgente, solo una boccata d’aria per poi tornare ad immergersi nella follia quotidiana. Stefano non ha avuto nulla da eccepire, sia perché non ne avrebbe avuto il diritto, sia grazie alla constatazione di come Claudia avesse mantenuto il proprio contributo alle necessità familiari sui livelli precedenti alla scoperta del tradimento, mostrando un’apparente serenità di fronte ai figli ed agli amici che aveva evitato a chiunque qualsiasi sospetto.

Al pensiero di quanto le costi recitare quella parte, la donna scoppia a piangere. La spiaggia di Bue Marino, diversi metri sotto la scogliera su cui si trova, in quel momento è pressoché deserta, e così anche l’area dove vengono lasciate auto e biciclette, tanto che non ci sono ambulanti in vista per la vendita di pane cunzato. D’altra parte è inizio ottobre, e per quanto il clima sia più che clemente, i turisti sono ormai lontani. Grazie a tutto ciò non si sente osservata durante quel momento di debolezza, di cui gode pienamente, libera dal giudizio sociale o psicoterapeutico.

Guarda l’orologio sullo smartphone: è ora di rientrare al porto di Favignana per prendere il traghetto verso Trapani.

Sale sull’auto a noleggio. Chiusa la portiera, si rende conto di avere ancora gli occhi appannati dalle lacrime. La malinconia per un presente che tanti anni prima aveva immaginato differente torna ad irrompere nel suo cuore, spingendola ad aprirsi nuovamente al pianto. Quando la forza dei singhiozzi la fa sobbalzare, si impone di riprendere il controllo, percuotendo con tre rapidi e forti pugni il volante. L’ultimo sfiora il clacson, che emette timidamente un richiamo non udito da anima viva.

Lievemente imbarazzata, Claudia si volta alle sue spalle per verificare che nessuno sia stato attirato dal suo momento di rabbia. Constatato che la sua visuale è sgombra da esseri umani, si concede una piccola risata nervosa e mette infine in moto l’auto.

Raggiunge il porto in una ventina di minuti. Dalla scogliera non aveva notato quanto il mare fosse agitato, teme che la pur breve tratta di rientro le causerà una nausea che renderà difficoltoso anche il successivo viaggio in aereo. La leggerezza di quella vacanzina solitaria sta già svanendo.

Si avvicina all’imbarco, dove trova un numero di persone superiore a quanto si aspettava. Sembra che ci sia un po’ di agitazione fra i presenti.

«E’ successo qualcosa?», chiede ad una signora leggermente fuori dal capannello.

«Il mare è troppo mosso, questa sera i traghetti non salpano. Non c’è modo di lasciare l’isola.»

Le sensazioni che Claudia sperimenta negli istanti successivi sono molto contrastanti.

Da una parte, nella sua ferrea programmazione delle giornate detesta gli imprevisti, soprattutto quando si ritrova ad affrontarli completamente da sola. C’è inoltre da considerare che molto probabilmente non riuscirà a farsi rimborsare il biglietto del volo, anche se in fondo si trattava di una tariffa particolarmente aggressiva.

D’altro canto, il senso di angoscia per il rientro a casa è improvvisamente scomparso, anche se prima o poi dovrà pure tornare a fare capolino.

«Signora, tutto bene?»

Claudia è sorpresa dalla domanda della donna: «Sì, a parte il fatto che dovrò organizzarmi per restare ancora qui. Perché me lo chiede?»

«Perché dopo la notizia che le ho dato si è messa a sorridere. Sono contenta per lei se non è un problema il fatto di restare bloccata qui.»

Evidentemente, per la donna e per la sua famiglia quella situazione rischia di creare difficoltà importanti. Claudia non ha alcuna voglia di empatizzare con una sconosciuta, perciò la saluta e si dirige verso il centro di Favignana per trovare un alloggio.

Mentre s’incammina, dà un’occhiata ad internet per cercare riferimenti e recensioni. Trova un posto che potrebbe fare al caso suo, un monolocale a due passi dal porto. Spera vivamente che sia disponibile, perché si sta facendo sera e non ha alcuna voglia di restare a spasso fino a tardi per poi infilarsi in chissà quale soluzione a qualche chilometro dal paese.

Fortunatamente, il numero che ha trovato è libero. Risponde un uomo, un po’ secco e sbrigativo nei modi: si vede che probabilmente non è periodo né orario per le telefonate di prenotazione, infatti è sorpreso quando scopre che si tratta di una cliente.

L’affittacamere le comunica che il monolocale non è pronto per essere messo a disposizione, soprattutto se si tratta solo di una notte. Di fronte alla voce delusa della donna, lui azzarda una proposta: ha una stanza in più a casa, può cederle quella; è l’appartamento confinante con quello che ha visto lei, perciò ugualmente comodo per il porto. Sul prezzo si metteranno d’accordo: per così poco, dice lui, non saprebbe nemmeno cosa chiederle, ma in qualche modo faranno, l’importante è non lasciarla in mezzo ad una strada.

Sorpresa da tanta gentilezza, Claudia si avvia verso l’indirizzo che le ha comunicato l’uomo. Si chiede se avrà la forza ed il coraggio di scappare, qualora trovasse qualcosa che non la convinca e non la faccia sentire al sicuro.

Giunge in pochi minuti al luogo indicato, suonando con una certa titubanza il citofono. Scende ad accoglierla una bella bambina di circa sette anni, con i lunghi capelli neri e mossi.

La donna avrebbe sempre voluto una figlia, ma dopo i due eredi maschi si era costretta ad interrompere la ricerca, perché non avrebbero potuto permettersi di sostenere un’altra bocca.

Da quella decisione, non riesce ad evitare di illuminarsi ogni volta in cui incontri una bambina.

«Ciao, io sono Claudia. Come ti chiami?»

«Lucia. Sei la signora che deve dormire in camera mia?»

Un momento di imbarazzo: sta sfrattando la bambina dalla sua stanza? Aveva capito che il letto fosse libero.

«Pare di sì, ma se preferisci posso cercare un altro appartamento.»

«No, sono contenta, così posso dormire con papà.»

Niente mamma, dunque. Almeno non avrebbe avuto problemi di gelosia. “Si tratta solo di una notte, Claudia, ce la puoi fare.”

Salgono in appartamento, dove trova il padrone di casa indaffarato con i preparativi della stanza.

«Mi scusi, ma proprio non mi aspettavo una chiamata in questo periodo. C’è mare mosso?»

Evidentemente si tratta di una possibilità già nota, anche se non così frequente, altrimenti gli esercenti avrebbero tenuto pronte le stanze in funzione delle condizioni di navigazione.

«Purtroppo sì, avrei avuto il volo da Trapani questa sera alle dieci ma dovrò rinviare.»

Quando i due adulti si guardano in viso, una volta che lui ha alzato la testa dalle lenzuola, sperimentano una strana sensazione. Percepiscono il legame che si sente normalmente all’interno di una famiglia, o tra persone che si conoscono da anni. Eppure, non è quasi certamente mai accaduto che si incrociassero prima di allora.

Lei è emiliana da generazioni. Quando ha provato ad indagare sul suo albero genealogico, ha interrotto le sue ricerche a fine Ottocento sull’Appennino reggiano, curiosamente per entrambi i rami della famiglia.

Lui è di origine calabrese, i suoi genitori si sono trasferiti a Favignana poco dopo la sua nascita per risistemare una palazzina ereditata da un parente con cui suo padre aveva un bellissimo rapporto. Da allora, la sua famiglia ha gestito attività di ricezione sull’isola con serenità ed un discreto profitto, anche se non possono certo considerarsi benestanti.

Eppure, c’è qualcosa nella presenza reciproca che li fa sentire istintivamente a loro agio.

L’uomo allunga la mano per presentarsi: «Piacere, sono Mauro.»

Stretta decisa ma non eccessivamente forte.

«Piacere Mauro, sono Claudia.»

«Venga pure, le mostro la stanza e poi le faccio vedere dove può trovare il bagno. Se ha bisogno di farsi una doccia, faccia come se fosse a casa sua.»

La donna si sentirebbe in imbarazzo ad approfittare fino a quel punto del loro appartamento, tuttavia apprezza la grande e naturale disponibilità.

Rimasta sola nella camera da letto della bambina, trova delle foto della madre. E’ decisamente probabile che le sia capitato qualcosa, e che non si tratti semplicemente di una separazione.

Mauro la sorprende con una cornice della donna in mano, ritratta sorridente fra il marito e la figlia.

«Ci ha lasciati ormai due anni fa. Lucia sente ancora molto la sua mancanza.»

L’uomo non accenna al suo vuoto. Evidentemente, sta facendo di tutto per tenere sotto controllo i sentimenti negativi perché non sovraccarichino la figlia.

«Mi dispiace, non volevo curiosare.»

«Non si preoccupi, se fosse stato un problema avrei tolto le fotografie prima del suo arrivo.»

La stanza si fa piccola, in attesa che uno dei due dica qualcosa.

Mauro si ricorda la ragione della sua improvvisata: «Cosa posso cucinarle per cena?»

«Non voglio chiederle anche questo, sta già facendo tantissimo per me.»

«Non si deve preoccupare, lo faccio con piacere. Comunque devo già preparare per noi.»

Claudia sente il bisogno di prendersi ancora una serata di svago, prima di organizzare il rientro a Bologna.

«E se mi sdebitassi portandovi fuori a cena?»

Si rende subito conto di avere sottinteso che quello sarà il pagamento per la camera, ma ormai la frase le è scappata di bocca.

L’orgoglio dell’uomo emerge con un sorriso: «Lei è ospite nostra, non potrei permetterle di offrire la cena. Le va’ uno spaghetto?»

Un’ora più tardi, si ritrovano tutti e tre a tavola in un ristorante del centro di Favignana.

Trascorrono una serata piacevole. Il clima è perfetto, il cibo già di per sé gustoso è reso speciale dall’aria di mare che giunge fino a lì, le chiacchiere leggere portano con loro risate di cui tutti e tre hanno bisogno. L’immagine di Lucia alle prese con gli spaghetti grondanti sugo resterà a lungo nella memoria dei due adulti.

Quando passeggiano verso casa, Mauro non riesce a negare a sé stesso quanto il sorriso di Claudia sia dolorosamente affascinante.

Nello stesso momento, Claudia non riesce a negare a sé stessa che vorrebbe abbracciare Mauro proprio in quel momento, sia per aiutarsi a vicenda a combattere la tristezza che hanno dentro di loro, sia perché le sue spalle larghe ed il suo sguardo determinato ma tutt’altro che minaccioso la fanno sentire protetta.

Quella sera si salutano e si augurano la buonanotte, ma entrambi gli adulti faticheranno a dormire. Lucia invece chiude gli occhi felice, sussurrando al padre: «Mi piace Claudia, la possiamo tenere con noi?» Mauro evita di rispondere, sperando che la figlia passi rapidamente al sonno senza sollecitargli un’opinione su quella richiesta.

Il giorno seguente, la bambina viene accompagnata dal padre a scuola. La donna si è alzata con loro, essendo abitualmente mattiniera, ma ha evitato di inserirsi nella routine dell’uscita di casa.

Cercando di organizzare il suo rientro a casa, Claudia scopre che anche per quel giorno non partirà nessun traghetto. Chiama suo marito per avvertirlo, lui si arrabbia per la scelta della donna di recarsi sulla piccola isola così in prossimità del volo di ritorno. Lei prova a controbattere, ma l’uomo chiude rapidamente la conversazione facendole pesare lo scarso attaccamento ai figli e fingendo palesemente una telefonata sul telefono di lavoro.

L’umore torna a farsi grigio.

Esce dall’appartamento, mandando un messaggio a Mauro per segnalargli che ha ancora necessità di un alloggio quantomeno per la notte successiva. Chiede se abbia qualche contatto per non continuare ad arrecare loro disturbo, precisando però che si è trovata benissimo e che in ogni caso avrebbe piacere a rivederli.

L’uomo la chiama pochi minuti più tardi: «Dove si trova?»

«Sto passeggiando a caso per Favignana.»

«Ha girato un po’ l’isola in questi giorni?»

«A dire il vero, no: ero arrivata ieri mattina dopo un weekend a Palermo.»

«Allora mi dia una mezz’ora: finisco una commissione e sono da lei.»

Claudia si chiede cos’abbia in mente Mauro.

Lo scopre quando lui arriva a prenderla in scooter, casco per il passeggero alla mano. Praticamente non parlano, partendo subito verso il capo occidentale dell’isola.

Raggiungono Punta Cala Grande. Lasciano il motorino, affrontando a piedi il marciapiede dell’approdo fino a ritrovarsi circondati dal mare.

«Non sarà il panorama migliore che lei abbia mai visto, ma personalmente adoro l’idea di perdere lo sguardo nell’orizzonte.»

La sensazione esattamente opposta rispetto a quella che aveva provato Claudia il giorno prima. In quel momento, tuttavia, anche lei sente di apprezzare il fatto di non scorgere la terraferma di fronte ai suoi occhi, forse perché ai margini del campo visivo ha le altre coste dell’isola ed il faro di Punta Sottile. Una fuga verso l’infinito con dei solidi punti di riferimento a portata di mano.

«Ti ringrazio, avevo proprio bisogno di questo senso di libertà. Finché sono rimasta sola, non riuscivo a togliermi il peso di ciò che ho lasciato a casa.»

E’ passata istintivamente al tu. L’intimità di quel breve viaggio lo richiede.

«Posso chiederti cosa ti è capitato?»

«Non riesco certo a paragonarlo a quanto è accaduto a te, ma ho scoperto che mio marito aveva una relazione con la mia psicoterapeuta. Avevo cercato un aiuto perché anni di impegno per il lavoro ed i miei figli senza uno spazio per me stessa, senza un briciolo di affetto in cambio, mi avevano completamente annullata come donna. Direi che quell’aiuto mi si è rivoltato contro. Il problema è che non posso fuggire da quella situazione: non potrei permettermi di mantenermi, considerato che la casa è un’eredità di mio marito, inoltre dovrei rinunciare a crescere i miei figli, che certamente preferirebbero stare con il padre perché si è limitato a coccolarli per tutti questi anni. Pensa che in questi giorni hanno fatto fatica a rispondere al telefono, e non si sono certo sprecati a chiedermi quando sarei tornata.»

«Sono situazioni in effetti molto diverse. Sicuramente non invidio il fatto che dovrai costringerti a tornare in una casa in cui ti sentirai un’estranea, pur avendo il diritto di ritenere che saresti l’unica a poter restare.»

Non affrontano più argomenti tristi, per quel giorno. Pranzano lungo la strada, quindi tornano a Favignana dove lei si concede di riposare in stanza, mentre lui si dedica ad altre commissioni per i genitori, che gestiscono l’albergo di famiglia a trecento metri da lui.

Mille pensieri affollano le menti di entrambi.

Claudia temporeggia nel cercare un traghetto per il giorno dopo, perché non vorrebbe proprio lasciare l’isola.

Nemmeno Mauro vorrebbe vederla partire, ed avrebbe in mente una proposta folle per tentarla. Ma come si può chiedere ad una persona di trasferirsi dalla Pianura Padana ad un’isola siciliana, lasciando due figli a casa, non avendo nemmeno pensato di iniziare una relazione sentimentale che possa giustificare quella pazzia?

Alla fine, Claudia riesce a trovare il modo per rientrare, la mattina successiva. Aspetta ad acquistare il volo, non fidandosi di un eventuale ulteriore problema. Non le resta che chiudere quella breve ma stupefacente parentesi.

«Claudia, questa sera ceneremo dai miei genitori, al ristorante dell’albergo di famiglia. A meno che questo invito non ti metta a disagio, ma non sarà certo un evento formale.»

La donna accetta molto volentieri. Ha voglia di conoscere qualche tassello in più di quella famiglia, è certa che i nonni dell’adorabile Lucia saranno persone squisite.

Un paio d’ore più tardi ne ha la conferma. I genitori di Mauro si mostrano molto accoglienti e propensi per un’ironia leggera e mai fuori luogo.

Poco per volta si scivola sui racconti personali, anche perché nel frattempo Lucia è crollata a dormire per la stanchezza della scuola. Claudia non riesce ad evitare di confessare che, nonostante voglia bene ai suoi figli, il pensiero di rientrare a Bologna le crea uno stato ansioso diametralmente opposto a quanto si dovrebbe provare all’idea di tornare a casa propria.

«Fermati qua, cara. Si sta tanto bene.»

La frase volutamente ingenua del padre di Mauro sublima il pensiero di tutti.

La moglie dell’uomo si illumina per via di un’idea: «Perché non le proponiamo il lavoro di Corinna?»

Corinna era la madre di Lucia. Claudia non sapeva che lavorasse nelle attività di famiglia: «Di cosa si occupava?»

Mauro si agita sulla sedia, prima di rispondere. E’ esattamente la proposta folle che avrebbe voluto farle, quando l’ha sentita dire per la prima volta che non avrebbe voluto lasciare l’isola.

«Stava alla reception. Considerato che non abbiamo moltissime stanze, si occupava anche di altro: il bar nei momenti tranquilli, dava una mano nella sistemazione delle camere, riceveva i fornitori, insomma era un po’ il volto della struttura.»

«Ora come siete organizzati?»

«Per coprire tutto quello che faceva lei , abbiamo dovuto assumere due collaboratori tramite un’agenzia. E’ una spesa importante, ma è un lavoro con orari che non è facile gestire né programmare, quindi era molto più comodo che se ne occupasse qualcuno che non aveva degli orari contrattuali.»

«Mi sembra molto bello, ma non state parlando seriamente.»

Il padre di Mauro si alza in piedi per enfatizzare la risposta: «Figlia mia, noi siamo gente che scherza volentieri, ma quando si tratta di lavoro diventiamo persone molto serie.»

Pochi istanti dopo, la proposta viene formalizzata: vitto, alloggio, nei momenti di picco anche uno stipendio, commisurato ai flussi di ospiti. Non c’entra nulla con il suo modo classico di intendere il lavoro, ma d’altra parte si tratta indiscutibilmente di una qualità di vita completamente differente.

Claudia chiede di poterci riflettere, ma sa di non avere tempo.

Lascia l’albergo ed inizia a passeggiare per le vie di Favignana, fino a raggiungere il mare.

I volti delle persone importanti della sua vita scorrono di fronte ai suoi occhi. In quel momento, l’unico che gli dia un’emozione è quell’uomo conosciuto da così poco, ma chi gli sembra di avere nella sua vita da sempre. L’attrazione fisica che certamente sente di provare per lui non è che un rafforzativo, perché l’aspetto più importante è la sua naturale gentilezza, la voglia che percepisce di vedere la serenità intorno a lui.

Ha preso la sua decisione.

Poco meno di un anno più tardi, Claudia è emozionata. I suoi figli stanno arrivando a Favignana a trovarla. Li ha visti un paio di volte, durante quei mesi, ma soprattutto li ha chiamati quasi ogni sera. Nonostante siano ancora così giovani, hanno accettato a modo loro che i genitori non fossero più in grado di vivere assieme e mantenere al tempo stesso la serenità nella famiglia.

Dopodiché, un giorno aveva raccontato loro di essersi innamorata di un altro uomo, e che quando sarebbero scesi nella bellissima Favignana a trovarla, avrebbero anche conosciuto la loro nuova sorellina, Lucia.

Aveva anche scoperto da un’amica che la psicoterapeuta, venuta a conoscenza della scomparsa di Claudia, aveva fatto pressione all’ex marito perché tentassero la convivenza. Non l’aveva sorpresa sapere che da quel momento l’umore dell’ex marito era cambiato, e non certo in meglio.

Ormai quello è il passato: oggi è finalmente il grande giorno. I due ragazzi vedranno la loro madre felice ed impegnata alla reception di un albergo, ma anche nel ruolo di apprezzata blogger per richiamare il turismo sull’isola.

La voce di Mauro la sorprende alle spalle: «Amore, i ragazzi dovrebbero arrivare fra poco a Trapani, io parto.»

«Grazie, a dopo.»

Lui si è reso disponibile ad andare a recuperare i figli di Claudia in aeroporto. Lei spera vivamente che il traghetto non faccia scherzi, perché ha voglia di riavere i suoi tre uomini in tempo per l’ora di cena.

Mentre vede andare via il suo compagno, non riesce a spiegarsi come possa esserne ancora innamorata come dopo il loro primo bacio, scambiato una settimana dopo la sua decisione di restare sull’isola.

Una follia, ma non c’è giorno che passi senza che lei ringrazi di avere compiuto per una volta nella vita una scelta senza ponderarne tutte le conseguenze.

«Mamma, quando arriveranno i miei fratelli?»

Sì, quella decisione le ha pure regalato l’amore di una figlia.

«Presto, papà è andato ora a prendere il traghetto.»

«Ok, allora io finisco di preparare la sala per la festa, così rimarranno a bocca aperta.»

Cosa potrebbe chiedere di più?

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La cattiveria dell’uomo

La mascherina si posò ordinatamente sulla bottiglia termica. Margherita si sincerò che quell’oggetto ormai familiare non corresse il rischio di cadere a causa delle vibrazioni del tapis roulant. Quando si sentì sicura, avviò la macchina ed iniziò la sua passeggiata.

Camminare guardando verso i campi di fronte alla palestra la rilassava. Nonostante ciò avvenisse la mattina presto, alle luci dell’alba, prima che sua figlia sia alzasse e che giungesse l’ora di spostarsi verso il lavoro, lei riusciva a sognare di perdersi in un campo di grano mentre il sole primaverile le accarezzava il volto.

MOSTRO

Andava in quel luogo di fantasia così semplice ed innocente ogni mattina. Sì, perché ogni giorno la sveglia suonava alle quattro e quaranta, compresi il sabato e la domenica. Lei si alzava, indossava l’abbigliamento sportivo, saliva in macchina ed in cinque minuti raggiungeva la palestra. Il tempo di lasciare la borsa nell’armadietto, ed era sul tapis roulant. Venti minuti di camminata, quindi il trasferimento sullo stepper per dieci minuti, infine altri venti minuti di passeggiata. Una rinfrescata, e la giornata poteva cominciare.

Aveva avviato quella routine ormai due anni prima. La spinta era arrivata dal suo medico di base, quando Margherita si era presentata in studio con il fiato corto ed un senso di affaticamento che provava già dopo un paio di scalini. Il Covid-19 in quel momento non era ancora arrivato in Italia, e gli esami non avevano rilevato nulla di particolare. Aveva solo bisogno di bere con maggiore frequenza, e di fare dell’attività fisica.

Sola con una figlia adolescente e poco avvezza allo sport, Margherita aveva inizialmente accantonato l’idea di abbracciare entrambi i suggerimenti del dottore, limitandosi pertanto ad assumere più liquidi.

Quando però il suo livello di stress aveva raggiunto vette mai sperimentate prima, a causa di un picco di lavoro, si era convinta che un po’ di moto potesse giovarle anche da quel punto di vista. Era ora di pensare un po’ a sé stessa.

In fondo, se lo meritava.

SEI SOLO SPAZZATURA

Da ragazza aveva alternato lo studio alla cura di un’anziana nonna malata, un’esperienza estremamente appagante che le aveva lasciato dentro una moltitudine di ricordi e di emozioni, ma che per contro l’aveva privata di molte conoscenze proprie della gioventù.

Quando aveva iniziato a lavorare, dopo avere salutato per sempre la cara nonnina, si era pertanto gettata fra le braccia del primo ragazzo che avesse mai mostrato interesse per lei. Si era dedicata anima e corpo alla professione ed alla famiglia, compresa la maternità arrivata alcuni anni più tardi.

Nel frattempo, quel brav’uomo di suo marito aveva approfittato della sua ingenuità per costruire una notevole rete di relazioni extraconiugali, che lei aveva finto di non intuire fino a quando non lo aveva colto in flagrante.

Era piuttosto convinta che lui si fosse fatto scoprire di proposito. In quel modo, stufo della loro relazione e dei vincoli alla sua libertà, l’aveva costretta a cacciarlo di casa e ad abbandonare Antonella, la figlia che avevano generato. Fortunatamente, la bambina divenuta poi giovane donna non aveva mai colpevolizzato Margherita per l’uscita di scena del padre.

Da allora, lavoro e ruolo di madre avevano occupato completamente la sua esistenza. Nessuno avrebbe potuto negare che avesse dato tutta sé stessa. Ora, con una figlia ormai quindicenne ed essendo lei giunta ai cinquanta, riteneva a buon diritto di meritare un po’ di spazio per sé.

NON MERITI ALTRO CHE DI BACIARMI I PIEDI

C’erano però dei momenti in cui il suo volo di fantasia verso un campo di grano terminava all’improvviso.

Non accadeva per colpe altrui, perché nessuno sembrava accorgersi di lei.

Margherita in effetti non cercava compagnia, né contatti visivi: si spostava tra le macchine ai lati opposti della palestra, esattamente negli angoli di fronte alla vetrata, in modo tale che fosse chiaro quanto non tenesse ad essere disturbata. Caratterialmente era in effetti una prospettiva opposta rispetto alla realtà: era lei che, isolandosi, non voleva arrecare fastidio a nessuno con la sua presenza.

Perché sembrava che il mondo fosse urtato dalla sua ostinazione nel sopravvivere, nonostante nessuno desiderasse averla accanto.

CHI HA AVUTO IL CORAGGIO DI METTERTI INCINTA?

Mai un ragazzo, a parte quel farabutto che l’aveva sposata per potersi creare una corte di amanti, e che le aveva regalato una figlia per un puro senso di colpa.

Mai un complimento, dopo la fine della scuola media. Nonostante si fosse impegnata assiduamente alle superiori, all’università e nel lavoro.

Mai una parola carina. Come se non fosse stata gentile ed empatica con chiunque le avesse chiesto un favore.

Perché?

Il suo aspetto era la ragione per cui di tanto in tanto l’illusione campestre si arrestava. Un flash riportava la sua vista sull’immagine del suo viso riflesso nello specchio.

UOMO MANCATO

Aveva ereditato tutti i difetti dei quattro nonni.

Il porro della nonna materna, proprio di fianco al naso. Nonostante quell’imperfezione le avesse causato diverse accuse di stregoneria durante l’infanzia, non se l’era presa con la povera parente: era lei la donna che aveva accudito quando la sventurata si era ammalata.

I capelli stopposi della nonna paterna, che se solo lei avesse pensato a prendersi cura di sé di tanto in tanto, avrebbe scoperto diversi prodotti per migliorarne la condizione. Ormai, non ci faceva più caso.

La corporatura “a pera” del nonno materno. Complice la scarsissima predisposizione per l’attività fisica, le era costata la possibilità di sentirsi attraente in qualsiasi momento della sua esistenza.

Infine, i denti storti del nonno paterno, il quale aveva passato diversi anni a rimbalzare fra i dentisti del Veneto, regione in cui era vissuto, fino a quando non si era arreso alla protesi dentale fissa.

Insomma, Margherita non si era fatta mancare proprio nulla. Se solo avesse avuto un carattere più forte e predisposto per l’orgoglio, tutto questo non avrebbe avuto peso. Sarebbero stati dettagli su cui lavorare o da usare come scudo di fronte alle cattiverie gratuite.

Purtroppo, così non era stato. Aveva pertanto dedicato le sue energie al prossimo: la nonna, il marito, la figlia, i colleghi. In cambio aveva avuto amore solo da chi aveva necessariamente guardato dentro di lei, capendola veramente. Una mano sarebbe avanzata per contare quelle persone.

Incrociare i suoi lineamenti nella vetrata non le regalava pertanto delle belle sensazioni. Risvegliandosi di soprassalto dal suo viaggio nella fantasia, si guardava ogni volta intorno per controllare che nessuno avesse notato in lei un atteggiamento strano, o non la stessero osservando per deriderla o per giudicarla.

Come sempre, nessuno si stava preoccupando di lei.

FALLITA

Le parole del suo ex marito le risuonavano spesso in testa. Non faticava a ricordarle, perché concordavano con molti degli insulti che la cattiveria delle persone spingeva dei perfetti sconosciuti a tributarle, quando pensavano che lei non sentisse. Peggio, talvolta quelle parole erano uscite di bocca ai suoi colleghi, che non la consideravano degna di rispetto per una semplice somma di un aspetto poco curato ed una personalità mite.

«Forse sono davvero una fallita.»

Un velo di tristezza le appannò la vista.

Quando riprese il controllo su di sé per non dare a vedere ciò che le passava per la mente, si accorse di un uomo che aveva appena parcheggiato nel posto dall’altra parte della vetrata. Doveva avere più o meno la sua età. Lo vedeva spesso in palestra a quell’ora, ma come tutti non aveva dato segno di accorgersi della sua esistenza.

Quel giorno era diverso: lui la stava osservando, sembrava dispiaciuto.

Che imbarazzo. Come doveva comportarsi?

Distolse lo sguardo, fermando il tapis roulant e preparandosi per sanitizzare la macchina.

Si spostò verso la zona degli stepper. Avrebbe voluto raggiungere gli spogliatoi per rifugiarsi dentro ad un armadietto. Per il momento, tuttavia, si sforzò di proseguire l’allenamento.

A metà del corridoio incrociò il nuovo arrivato. Mantenne lo sguardo dritto di fronte a sé, sforzandosi di mostrarsi distaccata e perfettamente asettica per evitare qualsiasi commento o giudizio, forte della corazza offerta dalla mascherina.

Sorprendentemente, lui le parlò: «Spero che non le sia successo qualcosa di davvero brutto, è triste vedere una persona commuoversi a quest’ora del mattino. Significa che la sua giornata difficilmente volgerà al sole.»

Che belle parole. Davvero erano rivolte a lei?

Non poté evitare di girarsi verso di lui. Non era una maleducata, semplicemente si era abituata a schivare le cattiverie altrui.

«Dice a me?»

«Sì, ho visto una lacrima rigarle il viso, mi è dispiaciuto davvero molto.»

Margherita non si era accorta di avere pianto.

«La ringrazio, è gentile da parte sua, anche se non ci conosciamo.»

«Ha ragione, mi scusi: sono Sergio.»

L’uomo le porse il pugno, come si usava fare ai tempi del Covid.

Lei rispose, chiudendo quel contatto che le regalò un sorriso. Un violento contrasto rispetto alla malinconia di poco prima.

«Margherita, piacere.»

«Non volevo disturbarla o metterla a disagio, ma se vuole parlare con qualcuno, sappia che sono qui. Se ci costringiamo a venire in palestra così presto è perché nel resto della giornata siamo obbligati a correre, lasciando che il tempo divori le nostre esistenze senza regalare un significato in cambio. Perciò, penso sia normale che non si trovino persone con cui avere uno sfogo. Se non è così, mi scusi per l’affermazione inopportuna.»

«E’ proprio così. Ma non voglio farle perdere altro tempo, avrà certamente fretta di cominciare il suo allenamento.»

«Non direi, ormai è una routine. Mi piace, ma non così tanto da farmi temere che un giorno in meno possa stravolgere il mio stato fisico.»

Un’ora più tardi, seduti in un bar di fronte alle rispettive colazioni, Sergio e Margherita si stupivano di quante esperienze di vita avessero in comune. Entrambi giudicati dal mondo come persone che non valesse la pena coinvolgere, o premiare. Entrambi esseri umani che avevano tante porzioni di cuore da donare.

A differenza di lei, l’uomo aveva trovato uno sfogo positivo nella poesia, una passione che non aveva sostituito un impiego in un’azienda, ma che lui considerava il suo vero lavoro, e grazie al quale si era tolto diverse soddisfazioni.

Sergio nei mesi e negli anni successivi guidò Margherita verso la scoperta di una propria forma d’arte, il canto corale. La donna non era dotata di un particolare talento, ma la passione che metteva quando richiamava le sue energie dal profondo dell’anima era in grado di scaldare chiunque l’ascoltasse.

In quel giorno apparentemente routinario, lui l’aveva presa per mano ed insieme erano usciti a camminare in quel campo di grano, mentre il sole primaverile accarezzava i loro volti e li mondava dalle cattiverie degli uomini.

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L’amour à Paris

Thomas uscì dal suo hotel con passo deciso. Aveva solo un’ora di tempo prima di dover prendere la metropolitana in Blanche, altrimenti sarebbe arrivato in ritardo alla riunione in un palazzo vicino a Place des Pyramides, nel quartiere de La Défense. Prima di allora voleva assolutamente salire sulla collina di Montmartre.

La vista della città dalla Basilica del Sacré-Cœur lo aiutava a schiarirsi le idee, nonostante dovesse lottare con la folla di turisti a qualsiasi ora del giorno per aprirsi un pertugio. Era un sacrificio che compiva volentieri, così come il chilometro abbondante di strade che percorreva a piedi dal Kipling Hotel fino alla sua meta, e di nuovo dalla Basilica alla metropolitana. Ogni volta in cui aveva il privilegio di trascorrere qualche giorno di lavoro a Parigi, non trovava modo migliore per avviare una giornata rispetto a quella passeggiata.

Quel giorno, tuttavia, un imprevisto rischiò di scombinargli i piani.

Camminava a testa bassa, immerso nella lettura delle e-mail ricevute dalla sera prima fino a quel momento. Aveva compiuto solo pochi passi, quando andò a scontrarsi con una donna appena uscita dall’Hôtel Joséphine, che si trovava proprio di fronte al suo albergo, esattamente sul lato opposto di Rue de Calais. La colpa era evidentemente della sua distrazione, perciò si profuse immediatamente in una serie di scuse particolarmente sentite.

«Mi perdoni, mademoiselle, questi maledetti smartphone ci spingono a comportamenti del tutto maleducati e pericolosi, come camminare senza guardare dove si mettono i piedi. Le ho fatto male?»

La donna che era stata vittima della sua distrazione era riuscita miracolosamente a non cadere. Sembrava tuttavia scossa, tanto che impiegò qualche istante prima di rispondere: «No, non si preoccupi, sto bene.»

«È sicura? Vuole che l’aiuti a rientrare in albergo? Oppure preferisce che le offra qualcosa da bere per riprendersi?»

«Davvero, non importa. La ringrazio per l’interessamento, mi scusi ma ora devo proprio andare.»

Thomas non era convinto. Il volto della donna tradiva davvero poca serenità, ma forse la ragione non era limitata a quanto appena accaduto. Si costrinse ad alzare le spalle ed a riprendere la sua passeggiata, pur dispiaciuto di avere probabilmente rovinato la mattinata ad una innocente sconosciuta.

Raggiunse Montmarte ed il piazzale della Basilica solo un paio di minuti più tardi rispetto alla rigida scaletta che si era prefissato di rispettare. Aveva intenzione di dedicare venti minuti alla contemplazione della vista, perciò avrebbe potuto tranquillamente recuperare quel piccolo ritardo riducendo la sua sosta in quel luogo incantevole.

Esaurito il tempo a sua disposizione, si costrinse a malincuore a riprendere la strada verso la metropolitana, quando all’angolo opposto della scalinata gli parve di scorgere la donna dell’incidente di quella mattina. Non aveva tempo da dedicarle, ma osservandola da lontano non poté fare a meno di notare la sua espressione, se possibile ancora più triste e sconvolta rispetto a venti minuti prima. Non c’era più dubbio sul fatto che quanto accaduto non fosse sufficiente a giustificare il suo umore.

Ancora più mortificato per avere probabilmente aggravato una situazione emotiva già complicata, Thomas affrettò il passo. Avrebbe faticato a concentrarsi sul lavoro, nonostante la contemplazione della vista dal Sacré-Cœur lo avesse come sempre aiutato a definire gli obbiettivi della giornata.

Quella sera rientrò al Kipling moderatamente soddisfatto. La trattativa commerciale che stava portando avanti era particolarmente complessa, ma stava procedendo anche meglio del previsto. Decise di concedersi un drink prima di ritirarsi, spizzicando qualcosa per evitare di sentire il bisogno di una vera e propria cena. Provò a cercare un posto da Pojo, uno dei più apprezzati bistrot della zona. Qui servivano anche delle ottime tapas. Fortunatamente, si era appena liberato un tavolo.

Thomas continuò a controllare le e-mail fino a che non arrivò una cameriera a prendere la sua ordinazione. Non aveva nemmeno guardato il menu, perché sapeva perfettamente cosa ordinare. Doveva essere almeno la quinta volta in cui tornava in quel locale, e non si era mai trovato male.

Mentre stava sorseggiando il suo drink, dieci minuti più tardi, vide entrare una donna. Era ancora lei, la stessa contro cui aveva urtato quella mattina. Non c’erano altri posti disponibili nel locale, perciò la cameriera fu costretta a proporle di attendere. La donna rifiutò, abbandonando il bistrot.

Thomas non poté fare a meno di pensare che per lei fosse davvero una giornata storta. Entrando dalla porta, aveva notato in lei un’espressione leggermente più serena rispetto a quella mattina: forse la prospettiva della cena le aveva restituito un po’ di buonumore. Naturalmente, quella sfumatura di ottimismo era del tutto scomparsa dopo aver constatato che per quella sera non avrebbe potuto consumare un pasto in quel locale.

L’uomo si alzò di scatto dalla sedia, tanto che per poco non travolse il drink che aveva appena appoggiato al tavolo. Avvisò la cameriera che sarebbe tornato subito, quindi si precipitò in strada per cercare la donna. La vide pochi passi più avanti.

«Mi scusi! Lei, che è appena uscita da Pojo!»

La donna si voltò con espressione atterrita. Evidentemente, nel pessimismo che sembrava pervaderla, doveva essersi convinta di avere combinato qualche guaio senza essersene resa conto. Quando riconobbe l’uomo di quella mattina, restò sorpresa.

Thomas proseguì, una volta ottenuta la sua attenzione: «Mi perdoni se ho gridato, ma non volevo che se ne andasse. Se mi permette, vorrei sdebitarmi per questa mattina offrendomi di averla ospite del mio tavolo, visto che purtroppo non ci sono posti liberi nel locale. Se non lo gradirà, potremo anche non conversare, in fondo per me è già abbastanza tardi e non credo di fermarmi ancora per molto.»

La donna esitò per qualche istante, tuttavia capì che si trattava di un puro atto di cortesia da parte di un uomo con un concetto vecchio stile della galanteria. In fondo, non aveva nulla da temere, se non di annoiarsi terribilmente. Sempre meglio che trascorrere un’altra ora a struggersi in solitudine.

«D’accordo, accetto il suo invito.»

Thomas si sforzò di trattenere un gesto di tripudio. Era decisamente sollevato, la sua coscienza lo avrebbe tormentato per giorni al pensiero di quanto accaduto quella mattina, se non avesse avuto occasione di porvi rimedio.

Tornarono nel locale, con buona pace della cameriera che iniziava a preoccuparsi di essere stata truffata da un cliente datosi alla fuga. L’uomo le spiegò l’intenzione di aggiungere un’ospite al suo tavolo, così la sua compagna per quella sera poté accomodarsi.

«Mi permetta quantomeno di presentarmi: il mio nome è Thomas, e vengo da Watford, una cittadina a nord di Londra, in Inghilterra. Sono a Parigi per lavoro, mi tratterrò fino a domani sera.»

Si strinsero la mano. La donna esitò per qualche istante, prima di ricambiare la presentazione: «Io sono Isabella ed abito a Toledo, in Spagna. Molto piacere.»

La donna per l’intera serata non accennò mai a spiegare la sua presenza in città. La ragione doveva essere legata al suo umore, che tornava a velarle lo sguardo ogniqualvolta Thomas facesse cenno alla romanticità della Ville Lumière. Evidentemente, doveva aver sostenuto una grave perdita affettiva che ancora la faceva soffrire.

Parlarono del più e del meno per poco più di un’ora. Thomas era solito mettere a proprio agio i commensali con un uso sapiente dell’ironia, tuttavia la cortina difensiva di Isabella non cedette mai, anche se l’uomo non demorse per non lasciare spazio a silenzi imbarazzanti.

Si salutarono, ringraziandosi vicendevolmente per la compagnia ed augurandosi una buona notte.

Il giorno seguente, il tempo si guastò.

Per Thomas non fu un grosso problema, fatta eccezione per la mancata visita al Sacré-Cœur. Le sue riunioni si svolsero al chiuso, inoltre nel pomeriggio ebbe un paio d’ore libere in più del previsto, così sfidò la sorte e si presentò al Louvre, sperando di riuscire ad entrare. Ebbe l’accortezza di acquistare il suo biglietto sul sito del museo, mentre si dirigeva verso la fermata della metropolitana di “Palais Royal – Musée du Louvre”, constatando in tal modo di dover solo pazientare, ma che certamente avrebbe avuto la possibilità di accedere.

Camminò lungo la Grande Galerie, colma di opere d’arte pittorica. Si fermò a contemplare un celebre lavoro del Ghirlandaio, denominato Ritratto di vecchio con nipote. Il sapiente uso del colore e la più che probabile allegoria del tempo che scorre lo colpirono particolarmente. Adorava i pittori rinascimentali italiani, ma ciò che lo stupiva ancor più era la loro capacità di sorprenderlo continuamente, nonostante i secoli di distanza e la potente anestesia verso i prodigi artistici di un tempo, creata nell’uomo moderno dalla tecnologia.

Isabella giunse alle sue spalle. Non sapeva se interagire con quell’uomo con cui continuava ad incrociare il passo, oppure se attendere che si spostasse verso l’opera successiva, dovendo tuttavia a quel punto adeguare tutto il resto della sua visita ai movimenti di Thomas per non farsi scoprire. Inizialmente valutò anche l’idea di abbandonare il museo, ma in fondo non aveva intenzione di far sì che il suo periodo di malumore rovinasse a lei stessa l’incontro con quei capolavori, a cui teneva moltissimo.

Si decise a farsi avanti: «Un’opera decisamente singolare, non trova?»

Thomas trasalì, capendo che quelle parole erano rivolte a lui: «Mademoiselle Isabella, non avevo notato la sua presenza. Sono rimasto affascinato dal contrasto fra il volto del nonno deturpato dall’età, e la bellezza perfetta del nipote. Se il Ghirlandaio potesse parlarci, probabilmente spiegherebbe davvero di aver inteso rappresentare lo scorrere degli anni.» Abbandonò il quadro con lo sguardo, voltandosi verso Isabella: «Anche lei in visita al Louvre?»

«Sì. Ero convinta che lei sarebbe partito questa sera.»

«Esattamente, il mio treno partirà alle nove di questa sera da Paris Nord. Grazie ad una riunione annullata questo pomeriggio, ho potuto ricavare del tempo da dedicare all’ammirazione di questi capolavori.»

«Beh, direi che è stata una fortuna.»

«Indubbiamente.»

Per qualche istante, entrambi lasciarono viaggiare il pensiero nell’interpretazione di quelle parole. Ragionarono sui due possibili significati, ossia se la persona di fronte a loro si riferisse con la definizione di fortuna all’occasione della visita al museo, oppure alla possibilità che avevano avuto di incontrarsi di nuovo. Era infatti evidente il cambiamento nell’atteggiamento sociale di Isabelle, una reazione positiva ai suoi stessi turbamenti che rendeva la sua compagnia notevolmente più accattivante.

Thomas osò formulare una proposta: «Sarebbe troppo chiederle di passeggiare insieme lungo questi corridoi? Ho sperimentato in passato quanto una visione in compagnia delle opere d’arte aiuti a mettere in luce particolari che altrimenti passerebbero inosservati.»

Isabella rispose di slancio: «Con piacere!» Si vergognò un po’ per quell’entusiasmo che avrebbe potuto essere male interpretato. In fondo, era semplicemente contenta del fatto che quell’uomo la stesse aiutando ad affrontare la sua settimana parigina con minor pessimismo nei confronti dell’umanità, soprattutto per quanto riguardava la metà maschile.

Esplorarono insieme le gallerie, dimenticandosi dello scorrere del tempo. Isabella scoprì quanto quell’uomo fosse in grado di mettere a proprio agio una persona in sua compagnia, mentre Thomas capì che la risata della donna che gli aveva concesso il privilegio di abbattere le sue difese emotive, avrebbe potuto fargli piacevolmente male al cuore.

Si lasciarono alla fine del tour. Non cenarono insieme, perché lei era un po’ stanca e lui non voleva correre il rischio di distrarsi continuamente nel tenere d’occhio l’orologio. Non si scambiarono i rispettivi numeri di telefono: il destino li aveva fatti incrociare più volte in quei due giorni, se fosse stato scritto nel loro futuro che si sarebbero rivisti, sarebbe semplicemente accaduto.

Rimasta sola, Isabella non poté fare a meno di pensare che il giorno dopo avrebbe sofferto terribilmente la solitudine. Meglio così, era a Parigi per espiare le colpe della sua dabbenaggine, avrebbe semplicemente ripreso da dove si era interrotta.

Thomas invece vide la sua serata virare al peggio. Dopo aver capito quanto la compagnia di quella donna avesse rischiato di rompere il giuramento che aveva fatto a sé stesso, si era trovato di fronte al cartello dei treni alla Gare Paris Nord, dove il suo viaggio di ritorno a casa risultava annullato. Provò ad informarsi, ma fino al giorno dopo non c’erano altre soluzioni disponibili.

Chiamò il Kipling, che tuttavia era al completo per quella notte. Mentre pensava a come organizzarsi, il personale dell’albergo lo richiamò per segnalargli che l’Hôtel Joséphine, facente parte della stessa catena, aveva una stanza a disposizione, a patto che la riservasse per l’intero weekend. Thomas sospirò e si arrese all’idea di trascorrere lontano da casa altri due giorni. Se non altro, il mattino successivo avrebbe potuto rimediare alla mancata visita a Montmartre.

Il mattino seguente, entrambi gli ospiti dell’hotel uscirono dalle rispettive stanze alle otto in punto. Non erano amanti delle lunghe dormite ed erano svegli da circa un’ora, inconsapevoli della vicinanza delle loro camere.

«Mademoiselle. Non pensavo di avere il privilegio di incontrarla già a quest’ora.»

Isabella adottò l’espressione di chi creda di aver visto un fantasma: «Cosa ci fa in questo albergo, signor Thomas?»

«Ho avuto la sventura di scoprire la cancellazione del mio treno solo una volta giunto in stazione. Purtroppo, il mio amato Kipling era al completo, tuttavia mi è stata proposta questa sistemazione, a patto che mi fermi fino a domani.»

La donna non sembrò convinta. Era evidente il timore di essersi imbattuta in un molestatore, che inventasse bugie pur di starle vicino.

Thomas ne colse l’imbarazzo, affrettandosi a precisare: «Ad ogni modo non si preoccupi, non la distoglierò dai suoi programmi per questi due giorni.»

Isabella non si premurò di rispondere in tono conciliante, perché non era ancora affatto persuasa.

Si fecero compagnia durante la colazione, anche se parlarono molto poco. Lei aveva bisogno di un po’ di tempo e di caffeina, prima di interagire con altri esseri umani. Lui era intento a controllare la corrispondenza del lavoro, quasi del tutto ignorata dal momento in cui aveva deciso di visitare il Louvre.

Thomas s’incamminò verso la sua solita meta mattutina, a cui decise di dedicare più tempo rispetto all’abitudine. Quel giorno non aveva appuntamenti di lavoro che rischiavano di vederlo tardare, perciò il suo pensiero che vagava nel cielo sopra Parigi si concentrò su altri obbiettivi.

Diede voce al suo turbamento: «Cosa devo fare, Laura? Non avrei mai voluto che arrivasse questo momento, eppure il mio cuore mi dice altro. Se solo tu potessi darmi un segno.»

La mattinata era nuvolosa, tuttavia all’improvviso il sole fece capolino nel bel mezzo del grigiore. Lo accolse come il cenno di risposta che attendeva.

Nel frattempo, Isabella stava passeggiando per altri luoghi. Cercava di concentrarsi su ciò che aveva perduto e su quanto si sentisse ingenua. Non riusciva tuttavia ad evitare di sentirsi sola. Forse, quell’uomo tanto cortese avrebbe potuto aiutarla a riflettere su sé stessa. A meno che non lo avesse visto sbucare all’improvviso da dietro un angolo: in quel caso, lo avrebbe probabilmente denunciato alle autorità.

Non si rividero fino al tardo pomeriggio, quando si incrociarono nella hall dell’albergo.

«Mademoiselle, com’è andata la sua mattinata?»

«Discretamente, anche se devo dire che la visita al Louvre mi aveva messo in tutt’altra disposizione d’umore. E la sua giornata?»

«La definirei illuminante, anche se non sono ancora convinto di dover seguire l’ispirazione che ho avuto.»

Isabella si lasciò andare come non avrebbe saputo prevedere razionalmente: «Vuole raccontarmelo di fronte ad un aperitivo? Parlarne con qualcuno potrebbe aiutarla a fare chiarezza nei suoi pensieri.»

Thomas rimase sorpreso. Essendo la donna la causa di una parte importante di ciò che lo turbava, non era sicuro di riuscire ad aprirsi con lei. Avrebbe dovuto attingere alle sue capacità di mediatore commerciale.

«Molto volentieri, a patto che non lasci parlare solo me.»

«Promesso.»

Si spostarono in Place Adolphe Max al bar Le Vintimille, dove accompagnarono i drink con pizza e taglieri di formaggi.

Qualche goccia d’alcool in più dell’usuale sciolse le loro lingue, tanto che Isabella iniziò a raccontare la ragione dei suoi malumori.

«Forse lei non se n’è accorto, signor Thomas, ma io sono in viaggio di nozze.»

«Caspita, deve aver sposato l’uomo più piccolo del Mondo. Lo tiene forse nel taschino della camicia?»

«No, ho preferito lasciarlo direttamente a casa.»

«Curioso viaggio di nozze, davvero.»

Gli occhi di Isabella furono velati dalle lacrime: «Mi sono sentita una stupida, un’ingenua, davvero una nullità quando ho scoperto quello che stava facendo sotto al mio naso.»

«Una persona che fa piangere una donna per il suo comportamento, non può essere definito un uomo.»

«Sono d’accordo. Pensi che eravamo fidanzati da quando eravamo compagni di scuola, a dodici anni. Certo, ci sono stati momenti di incomprensione. È normale quando si cresce. Tuttavia, non ci siamo mai lasciati per più di un mese, e soprattutto dalla maggiore età siamo sempre stati insieme. Eravamo certi di essere fatti l’uno per l’altra, non avevamo bisogno di cercare qualcos’altro in altre persone. Sembrava tutto perfetto, forse troppo. Qualche mese fa, dopo aver preparato tutto per il matrimonio e prenotato il viaggio di nozze a Parigi, vengo a scoprire da un messaggio mandato da un cellulare che non conoscevo che quel maledetto ha una relazione con un’altra donna. All’inizio pensavo che fosse uno scherzo di cattivo gusto, magari addirittura un qualche genere di esca per attirarmi verso il mio addio al nubilato. Invece, a quel numero non mi ha mai risposto nessuno.»

«Come ha potuto essere sicura che fosse la verità? Ha affrontato il suo fidanzato?»

«No, ho chiesto consiglio alla mia più cara amica. L’ho vista quasi svenire di fronte ai miei occhi, così ho capito che non solo lei sapeva tutto, ma che addirittura lui mi aveva tradito anche con lei! Al momento in cui me ne sono andata da Toledo per venire qui a godermi almeno il viaggio in questa città che adoro, ho scoperto quattro diverse infedeltà da parte dell’uomo della mia vita, e solamente negli ultimi tre anni. Siamo stati insieme per diciotto anni: com’è possibile che non mi sia accorta di nulla? Quante volte può avermi tradito, sentendosi sempre più libero di fare i suoi comodi ad ogni occasione in cui la passava liscia?»

Isabella stava alzando la voce, un’esposizione molto diversa rispetto a quella assolutamente più sobria della sera al Pojo. Metà del piccolo locale si voltò nella sua direzione. Nonostante l’ebrezza donata dall’alcool, lei se ne accorse e si tranquillizzò.

Fu Thomas a prendere in mano il discorso: «Devo ammettere che di storie come la sua ne ho sentite diverse, ma nessuna che avesse una durata tale nella relazione. Diciott’anni di fidanzamento da quando ne aveva dodici, perciò lei ha trent’anni, è corretto?»

«Sì, giusto, anche se fra un mese saranno trentuno.»

«Posso solo dirle che è molto presto per perdere fiducia nel genere maschile. La tristezza che ha provato quando ci siamo incontrati il primo giorno e la rabbia di questa sera dimostrano che lei si sente in colpa con sé stessa, essendo trascorsi ormai alcuni mesi da quando ha ricevuto il primo messaggio. Non è stata fortunata, ma certamente essere rimasta con lo stesso uomo per così tanto tempo ed in una fase così delicata della crescita sociale, le ha probabilmente impedito di fare esperienza con le vere delusioni che una relazione può comportare.»

«Ha ragione. Quindi non dovrei prendermela così tanto?»

«Ha assolutamente tutto il diritto di provare rabbia, ma non la diriga verso sé stessa, né verso il genere maschile intero. Se la prenda con quell’uomo. Appenda un sacco da kickboxing in casa e vi affigga una fotografia del traditore, e la colpisca giorno dopo giorno fino a che non sentirà di essersi sfogata.»

Isabella non si sarebbe aspettata un consiglio tanto concreto e violento da un uomo così posato, che per giunta mimò il gesto dei pugni contro il sacco. Scoppiò a ridere, anche se non poté fare a meno di ringraziarlo, assicurandogli che molto probabilmente avrebbe fatto come lui suggeriva.

«E lei, Thomas, da quale ispirazione è rimasto turbato questa mattina?»

L’uomo sospirò: «Ho capito di provare il desiderio di avvicinarmi ad altre donne. Non mi fraintenda, non lo sto dicendo con malizia nei suoi confronti. Il fatto è che avevo promesso a me stesso che non avrei più provato nulla nei confronti di altre esponenti del genere femminile.»

«È rimasto ferito dalla fine di una relazione?»

«Possiamo dire così. In realtà, la mia cara Laura è venuta a mancare ormai due anni fa. Adoravamo Parigi e spesso venivano qui per trascorrere il fine settimana. Eravamo affezionati alla vista che offre Montmartre. Così, quando sono da queste parti per lavoro, non resisto alla tentazione di risalire sulla collina e guardare la città con gli stessi occhi adoranti con cui la ammirava mia moglie.» Thomas si concesse un sorso del suo drink per mettere ordine tra i suoi pensieri: «Essendo venuta a mancare all’improvviso, non abbiamo avuto modo di parlare del futuro, così non ho idea di cosa lei avrebbe pensato di una mia relazione con un’altra donna. Per rispetto nei suoi confronti, ho promesso a me stesso che, nell’impossibilità di sapere, mi sarei fatto divieto di aprirmi ancora all’amore. Eppure sento ora che qualcosa dentro di me sta cambiando.»

«Mi dispiace molto per sua moglie. Purtroppo non posso darle nessun consiglio, è una questione troppo intima: deve fare semplicemente quello che sente giusto dentro di sé.»

«Proprio qui nasce il dilemma: non ne sono affatto sicuro.»

Per non indulgere troppo alla malinconia, cambiarono tema di conversazione, trascorrendo una piacevole serata.

Il giorno seguente si fecero compagnia fino all’ora in cui Thomas prese il treno per tornare a casa. Isabella doveva trascorrere l’intera settimana successiva in città, nonostante ciò durante la domenica mattina accettò di visitare con l’uomo sia la Tour Eiffel che Notre Dame.

Quella sera si scambiarono i numeri di telefono, anche se erano piuttosto certi che difficilmente si sarebbero rivisti.

Trascorse circa un anno da quell’incontro.

Thomas aveva deciso di aprirsi ad una nuova relazione, tuttavia non aveva mai trovato una donna che gli facesse palpitare il cuore come era riuscita a fare Isabella con la sua risata fresca e spontanea.

Al termine di un’altra settimana di trasferta parigina, guardò nuovamente nel cielo sopra la città. Non chiese nulla né a Laura, né a sé stesso, stava semplicemente lasciando che i suoi pensieri si disperdessero, insieme ad un senso di solitudine che lo aggrediva sempre più di frequente.

«Signor Thomas, speravo di trovarla qui.»

«Mademoiselle Isabella, siete tornata a Parigi?»

«Sì, mi sono presa un paio di giorni di ferie. Devo ringraziarla, il suo suggerimento della fotografia sul sacco da kickboxing ha funzionato alla perfezione.»

Thomas si concesse una risata, accorgendosi con imbarazzo della lacrima che stava spuntando ad un angolo del suo occhio destro: «Ne sono felice. Quindi ha fatto pace con il genere maschile?»

«Non saprei, da allora non ho più trovato nessun uomo con cui avessi voglia di trascorrere del tempo.»

«Forse si tratta solo di avere un po’ di pazienza.»

«Oppure è questione di capire quale sia la persona giusta.»

Il loro primo bacio avvenne in quell’istante. Non fu certo l’ultimo, e come un anno prima, il sole fece capolino nel cielo grigio, illuminando la meravigliosa Parigi ed il loro futuro insieme.

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L’emozione della fantasia

Il mio nome è Lodovico. In realtà sono quasi certo di non chiamarmi così, ma la mia memoria se n’è andata da un pezzo, così come tutte le persone che conosco. Ho cercato su internet diversi nomi, e questo è quello che mi è piaciuto di più, così l’ho scelto e me lo sono tenuto. Da qualche parte dovrei in effetti avere dei documenti, ma al momento non mi interessa scoprire la verità.

Quelli che incontro per strada dicono che dovrei avere circa quarant’anni, ed è un peccato che sia successo qualcosa nella mia testa, perché avrei potuto fare delle belle cose nella mia vita, me lo sento.

Vivo invece in un appartamento, tutto solo. Ogni mese ricevo una pensione d’invalidità, modesta ma sufficiente per provvedere alle mie necessità. Anche perché, che sia stato merito mio oppure si tratti di un’eredità, fortunatamente la casa in cui abito non ha né mutuo, né affitto.

Mi piacerebbe trovare qualcuno con cui viaggiare, per riscoprire il mondo che se n’è in parte andato con la mia memoria. Forse un giorno capiterà. In fondo non sono un brutto uomo, e mi pare di riuscire ad essere anche un conversatore piacevole.

Per il momento mi devo limitare a viaggiare con la fantasia, grazie al fatto che il resto della mia mente lavora ancora perfettamente, per quanto posso giudicare, riuscendo a colmare con l’immaginazione i vuoti lasciati dai ricordi svaniti.

Per questi voli virtuali, ho un trucco. Ad una decina di minuti da casa mia sorge infatti un aeroporto. Mi piace passeggiare fra partenze ed arrivi ed osservare l’umanità che si alterna, fra gente assonnata per l’orario od il jet lag, oppure persone freneticamente in corsa perché sono in ritardo o perché (perdonatemi, ma ce ne sono più di quante possiate pensare) hanno urgentemente bisogno di una toilette.

Quando qualcuno tra questi mi sembra più interessante, mi siedo su di una panchina e lascio viaggiare la fantasia.

Ieri mattina, per esempio, ho visto una ragazza con uno sguardo triste, atterrata da pochi minuti da Bordeaux.

Si chiamava Stéphanie Clavet, ed aveva trentatré anni. Carina, viso pulito, occhi e capelli castani. Ma quel velo di malinconia che la ricopriva era sufficiente a tenere lontani gli altri passeggeri di un buon mezzo metro.

Non le è capitato nulla di che. Abita a Libourne, una quarantina di chilometri da Bordeaux. Fino a poco tempo fa, condivideva un appartamento con un uomo, tale Olivier. La loro è stata una storia d’amore travolgente, di quelle che ti cambiano improvvisamente le prospettive: un attimo prima hai in mente solo il lavoro ed una vacanza semiavventurosa con le amiche, ed il momento successivo pensi a quanto sarebbe bello caricare tuo figlio sul seggiolino e partire con tuo marito per un villaggio turistico.

Non c’è stato il tempo materiale perché lei desse alla luce un figlio. Tranquilli, non è successo nulla di particolarmente triste. Stéphanie ha semplicemente scoperto, dopo tre anni di convivenza, che la ex di Olivier non era poi tanto ex. Lui ha giurato e spergiurato di non averla più vista, tantomeno frequentata. Probabilmente si trattava della verità, ma quando lo ha messo alle strette, ha colto chiaramente nello sguardo del suo fidanzato una scintilla di passione per quella donna che non dovrebbe più esistere per un’altra persona, quando stai pianificando il futuro con la tua nuova compagna di vita.

E pensare che se Stéphanie non avesse letto per caso un messaggio ammiccante sul telefono di Olivier, probabilmente la storia clandestina fra i due non più ex sarebbe ricominciata come il più classico dei tradimenti, e lei del tutto ignara della verità si sarebbe piacevolmente stupita del rinnovato affetto che il suo infedele compagno le avrebbe dimostrato.

La donna è invece atterrata in Italia.

Ha atteso il periodo giusto per prendersi tre settimane di ferie, indispensabili per superare lo shock della fine della relazione più importante della sua vita, interrottasi sul più bello per l’intromissione di una rivale con cui non avrebbe potuto competere, perché era troppo radicata nel cuore del suo uomo.

Stéphanie spera che l’Italia l’aiuti a cambiare il suo umore. Quella mattina ha fatto una puntatina a Bergamo, che ha scoperto essere molto interessante ed è comoda da raggiungere dall’aeroporto. Quindi raggiungerà Milano, dove soggiornerà per poi spostarsi verso le meravigliose mete che si è prefissata: Verona, Venezia, Firenze, Roma… Grandi classici, ma non ha ancora avuto occasione di visitare la penisola più famosa del mondo, fatta eccezione per una vacanza al mare quando era bambina.

Se poi, noleggiando un’auto e lasciando Firenze alle spalle per perdersi tra le colline toscane, dovesse incontrare una persona che la trattenga dal tornare a Bordeaux, chi è lei per sottrarsi al suo destino. Que serà, serà.

Le auguro ogni bene, sembra davvero una brava persona e non merita di indossare quell’espressione triste.

Tutt’altro atteggiamento aveva un uomo sui quarantacinque anni, arrivato con la famiglia da Trapani. Lo guardavo e non capivo: scriveva con grande concentrazione ad una donna sullo smartphone, l’ho intuito intravedendo l’applicazione di messaggistica colma di emoticon, tra cui una profusione di cuori. Nonostante la moglie fosse solo due passi più avanti, non sembrava che lui fosse preoccupato dalla gelosia della donna. Né che i due figli che camminavano ai loro lati potessero riportare alla madre il contenuto della conversazione.

Poi, ho finalmente capito. L’uomo, Salvatore Basile, elettricista storico di Mazara del Vallo ed appassionato di musica folk, stava contattando nientemeno che la sorella gemella. La donna, residente da anni in provincia di Brescia ad una trentina di chilometri da quell’aeroporto, aveva appena regalato al fratello il primo e probabilmente unico nipotino, al quale si doveva quella gita di famiglia fuori stagione.

Era un momento molto importante per loro due.

Avevano perso i genitori ormai alcuni anni prima, e ne avevano sofferto entrambi terribilmente, consapevoli di avere salutato per sempre i due fari della loro esistenza, esempi di cosa significhi l’amore ed il rispetto reciproco all’interno di una coppia. Dopo tanti anni di unione coniugale non avevano smarrito il desiderio di sorprendersi, o di appellarsi vicendevolmente con nomignoli affettuosi. Non avevano potuto fare molto per contribuire alla solidità economica dei gemelli, ma gli insegnamenti che avevano loro impartito si erano dimostrati più che sufficienti.

Se tuttavia Salvatore era rimasto nella città natale, crescendo i figli vicino ai nonni e coltivando il rapporto con loro fino al termine della vita dei genitori, Rosalba dopo gli studi era emigrata in Lombardia, non rientrando in Sicilia se non per eventi straordinari o per le mai abbastanza lunghe vacanze estive.

La donna aveva pertanto patito molto di più la scomparsa dei genitori, sentendo la mancanza di un rapporto interrotto tanti anni prima per inseguire la carriera lavorativa.

La malinconia si era avvolta intorno al suo cuore come un guanto confortevolmente opprimente. Aveva cercato senza successo una via di uscita, finché un uomo più tenace dei tanti che l’avevano corteggiata nel tempo era riuscito a guidarla verso la convivenza, e da lì il passo verso la maternità era stato relativamente breve.

Ora, il nuovo arrivato in grembo, Rosalba sembrava avere ritrovato la vera felicità, di nuovo completa e piena nei suoi sentimenti.

Il suo gemello aveva avvertito il grande ed atteso cambiamento, e non vedeva l’ora di riabbracciare la sorella e di conoscere quella piccola ed innocente creatura che gliel’aveva restituita, nelle vesti della donna piacevolmente ironica e sorridente che era sempre stata.

Quando ho visto Salvatore sfilare di fronte a me, preso sottobraccio dalla moglie, il loro sorriso complice, sincero e spontaneo mi ha davvero scaldato il cuore.

Ma non è solo l’amore il grande protagonista di quei corridoi, così ricchi di umanità variegata.

C’è anche la meraviglia, come quella che ho letto negli occhi di un bambino molto speciale.

Si aggirava per gli ampi spazi tra i negozi e le varie aree dell’aeroporto, mentre i genitori vegliavano su di lui a debita distanza, lasciandolo libero di esplorare.

Diverse persone si voltavano o si mostravano infastidite dal suo comportamento che, se avesse avuto la possibilità di maturare delle competenze sociali, si sarebbe potuto definire impertinente. Non lo era affatto: ogni cosa intorno a lui lo affascinava, ogni persona od oggetto era una scoperta, ed anche se poco restava nella sua memoria di queste esperienze, riuscivo a cogliere l’emozione che lo pervadeva.

Ad un certo punto, Paolo (così lo chiamavano i genitori) si è avvicinato a me. Ha fatto il giro intorno alla panchina su cui mi ero accomodato quel giorno. Non mi sono voltato, ma speravo con tutto il cuore che desiderasse interagire con me.

Così è stato: i miei capelli cortissimi lo hanno attirato, e che piacere dev’essere stato scoprire la sensazione che gli trasmetteva passarmi a ripetizione una mano sopra la testa, con tutte quelle punte delicate che ricordano una spazzola a setole morbide.

I genitori si sono avvicinati per richiamarlo, ma ho chiesto loro di lasciarlo fare.

Quel contatto è durato poco, il suo passaggio molto di più. Ho riflettuto per diversi giorni su quali sensazioni popolino l’anima di una persona come Paolo, ed ovviamente non ho trovato molte risposte.

Quello che è certo è che ho dovuto usare la fantasia per regalare nomi ed emozioni alle persone che incrocio in aeroporto, o nei luoghi in cui mi lascio catturare dall’osservazione dell’umanità di passaggio. Probabilmente, i vari Stéphanie e Salvatore sono comuni vittime della routine, felici solo quando il mondo circostante comunica loro che è giusto esserlo.

Con Paolo, non è stato necessario. Le emozioni sono parte integrante della sua genuina spontaneità. Da una parte vorrei aiutarlo a progredire verso pensieri e comportamenti che gli consentano di sentirsi perfettamente incluso nella società.

Dall’altra, in un piccolo angolo della mia mente vorrei recuperare quella naturalezza nel leggere il mondo che perdiamo troppo presto, durante gli anni della nostra infanzia.

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Racconti brevi

Cat ed il bosco blu

Cat compie gli ultimi passi verso il suo obiettivo. E’ stata un’avventura molto faticosa, ma è giustamente soddisfatta ed orgogliosa di sé. Ammira la meraviglia, protagonista della sua destinazione: sapeva che avrebbe trovato qualcosa di imprevedibile, ma davvero non si sarebbe aspettata tanta bellezza.

Mentre il sole la riscalda, illuminandole lo sguardo già radioso per l’emozione, lei ripercorre nella mente i passi che l’hanno portata fino a lì.

Cat ha otto anni. Vive in una cittadina in cui la maggior parte degli adulti, compresi i suoi genitori, lavorano in una grande fabbrica che si trova a cinque minuti di macchina da casa sua.

«Lo stipendio è molto buono, e le case costano poco per chi lavora nell’azienda più importante della città», le avevano detto papà e mamma per giustificare l’abbandono del tranquillo paese in collina in cui era cresciuta.

Come se alla sua età possa contare più uno stipendio rispetto agli amici.

Sembra che nel suo nuovo quartiere si siano concentrati tutti gli antipatici ed i musoni del mondo. Cat è sempre stata molto socievole, ma non ha ancora trovato un solo vero amico.

E dire che ci ha provato, eccome. Ha costretto sua madre ad organizzare ben due feste ed un pigiama party con le compagne di scuola, nei soli sei mesi in cui hanno vissuto lì. Eppure, non è bastato, tutt’altro: ora a scuola, quando prende la parola durante l’intervallo, il commento generale è: «No, non un’altra delle tue feste!»

Si sono divertite, hanno mangiato e bevuto senza portare uno straccio di regalo (anche perché nessuna delle occasioni era per festeggiare il suo compleanno) e loro hanno il coraggio di lamentarsi? Antipatiche.

L’unica bambina con cui ha legato è Donny. Abita tre case più vicina alla fabbrica, è arrivata più o meno nel suo stesso periodo ed è nata in un’altra nazione. All’inizio non parlava benissimo la lingua di Cat, ed ha un carattere molto tranquillo, anche se pure a lei sembra che abbiano spento il pulsante della felicità. Ha sette anni, perciò frequenta ancora la seconda classe alla scuola primaria.

Hanno trascorso qualche pomeriggio insieme, approfittando del fatto che non sempre i genitori di entrambe le famiglie riescono a prendere i figli a scuola per tempo, perciò le mamme si mettono d’accordo perché una delle due pensi sia a Cat che a Donny.

Per un po’, la più grande delle due si è fatta l’idea che la più piccola fosse in effetti più un cucciolo che un’amica: è tranquilla, affettuosa e per ricevere attenzione fa tutto quello che le si dice. Poi sua madre le ha fatto notare che non è proprio una cosa carina da pensare, perciò Cat ha iniziato a considerare Donny come la sua unica vera compagna di giochi.

Un giorno, mentre stavano osservando dei curiosi insetti nel parco giochi vicino a casa loro, la più grande ha vissuto un momento di malinconia.

«Sai, dove vivevo prima c’erano un sacco di prati e di boschi. Mi mancano tantissimo gli alberi. Qualche volta riuscivo a vedere delle lepri, o gli scoiattoli. Oppure degli uccellini carinissimi. Qui l’unica cosa volante che si vede sono le zanzare.»

«Già, tante zanzare», conferma la più giovane mentre ne scaccia una con la mano.

«Non pensi mai che vorresti tornare alla tua vecchia casa?»

Donny riflette per qualche istante: «Avevo più amici, ma qui stiamo meglio. La casa è più bella, e i miei genitori non litigano quasi più, anche se sono sempre stanchi.»

Cat accetta il fatto che non per tutti quel cambiamento sia stato negativo, ma per lei lo è stato.

Suo padre, per cercare di consolarla, le porta spesso a casa dei regali. Purtroppo, la vede ormai così poco per via degli orari al lavoro che crede ancora che lei sia una bambina piccola, perciò la sua stanza si è a poco a poco riempita di bambole e giocattoli che non guarda più.

Sua madre è più presente, ma passa il tempo sui social con il telefono. Dice che deve creare una nuova rete di amicizie, così potranno iniziare ad uscire alla sera con altre famiglie e legare con nuove persone. In tutti quei mesi, però, al ristorante sono sempre andati da soli. Forse sua madre ha bisogno di qualche consiglio su come usare i social.

Per tutto questo, Cat si annoia da morire. Vorrebbe correre a perdifiato con altre ragazzine della sua età lungo le colline intorno al suo vecchio paese, allontanandosi quel tanto che basta dai genitori per poter parlare tra di loro senza che gli adulti sentano e commentino ogni parola. Poco per volta, sente che il suo modo di essere sta cambiando: non si sente più una bambina, anche se ogni tanto ha ancora bisogno di stare da sola per giocare con le bambole. Avrebbe bisogno di confrontarsi con altre persone della sua età, ma sono tutte davvero troppo fredde. Non c’entrano nulla con le amiche che si è purtroppo lasciata alle spalle.

I maschi sono diversi. Non la considerano, anche se tutti i grandi continuano a ripeterle che crescendo le cose cambieranno. Però, stando vicino a loro capisce che fanno attività più interessanti. Ogni tanto si inventano qualche avventura, giusto per dimostrare gli uni agli altri di essere i più forti, oppure i più coraggiosi. Cose da maschi, senza dubbio, ma un ragazzino deve pur trovare il modo per sfogarsi, immerso nel grigiore di una cittadina come la loro.

Cat pertanto ogni tanto finge di farsi i fatti suoi, sedendosi vicino a loro durante le pause tra le lezioni, oppure al parco.

Un giorno, sente uno di loro pronunciare parole che attirano la sua attenzione.

«Voi mi prendete in giro, ma me lo ha detto mio fratello, e mio fratello non dice mai bugie! Ve lo giuro, in quel bosco c’è un animale che non ha mai visto nessuno.»

Gli risponde prontamente Alberto, che si è scelto da solo come capoclasse, capogruppo dei maschi e probabilmente anche come futuro presidente del mondo: «Certo, e se nessuno lo ha mai visto, tuo fratello come fa a saperlo?»

«Intendo dire che non lo ha visto nessuno di quelli che lo scrivono sui libri, o che fanno le foto per internet!»

Un altro ragazzino si fa largo fra le risate dei compagni, evidentemente più incuriosito degli altri: «E dove sarebbe questo posto?»

«Hai presente che dopo la fabbrica c’è un villaggio abbandonato?»

Interviene Alberto, che non crede a questa storia ma vuole comunque mostrare di saperne più di tutti: «Mio padre mi ha spiegato che hanno mandato via le persone dopo che la fabbrica si è dovuta allargare.»

«Dopo il villaggio abbandonato, c’è un bosco. Nelle mappe non c’è scritto, ma sembra che ci sia uno stagno al centro del bosco, e qui c’è l’animale, ma nessuno sa che tipo di animale sia.»

Un ragazzino che non ha ancora avuto modo di parlare, trova la sua occasione per far ridere tutti: «Il cucciolo del mostro di Loch Ness!»

Nessuno purtroppo sa di cosa stia parlando, perciò il suo momento viene sprecato.

«Non è un mostro, è un animale bellissimo, ma tutti quelli che lo vedono, per proteggerlo mantengono il segreto. Così, nessuno sa niente, e come state facendo voi, i pochi che lo scoprono non ci credono.»

Cat ha sentito abbastanza. Vera o non vera, quella storia merita di diventare un’avventura.

La sera stessa, dopo cena, la ragazzina chiede alla madre di mostrarle sul telefono la mappa del villaggio abbandonato dopo la fabbrica. Scorrendola, Cat trova il bosco di cui parlava il suo compagno di classe. Parco del Bosco Blu?

«Mamma, che strano nome. Perché?»

La donna si documenta per qualche istante su internet.

«Sembra che tempo fa ci fosse uno stagno al centro del bosco. Niente di molto interessante, ma una leggenda di queste parti racconta che il pelo o le piume degli animali che andavano a bere lì, si colorasse di blu.»

«E’ colpa della fabbrica?»

«Fortunatamente no, piccola mia. La fabbrica oggi è sicura, e poi questa leggenda è molto più vecchia di quando l’azienda ha aperto in questa città.»

Nella mappa, non c’è traccia dello stagno.

Forse, il racconto del suo compagno è una storia che gira da sempre nella città, da quando era ancora un gruppo di paesi senza una fabbrica. La storia del Bosco Blu e del suo stagno che colora il pelo degli animali.

Cat sente il forte bisogno di scoprire cosa ci sia di vero. Deve fare qualcosa di speciale, perché vivere in quella città diventi un po’ più sopportabile. Nonostante tutto.

Il giorno dopo, chiede a sua mamma ed alla madre di Donny di accompagnarle a fare una gita al villaggio abbandonato. Scopre purtroppo che non si può, perché alcune case non sono più sicure.

«Nemmeno il bosco?»

«Il bosco è un altro discorso. Ti manca la nostra vecchia casa, piccola?»

«Sì, mamma, tanto.»

La madre di Cat sospira, e capisce che quella gita è importante per la sua bambina che si sta trasformando in una giovane donna, ma in un posto che ancora non riesce a chiamare casa.

«D’accordo. In questi giorni faccio il secondo turno, perciò io non posso portarvi, ma vedrò di convincere la mamma di Donny.»

Non è un’impresa difficile: la sua piccola amica ha pochi compagni di gioco esattamente come lei, ed i suoi genitori stravedono per Cat, perciò alla donna quei dieci minuti di strada per trascorrere un pomeriggio nella natura non sembrano affatto un sacrificio, nonostante una dura giornata di lavoro alle spalle.

Il giorno seguente alla richiesta, un bel pomeriggio di metà autunno accoglie le tre donne. Il sole non resterà ancora molto a fare loro compagnia, soprattutto perché si nasconderà presto dietro agli alberi del famoso Bosco Blu, ma la mamma di Donny non vuole trattenersi a lungo.

Quello che la donna certo non si aspetta, è che le due ragazzine partano presto all’avventura, mentre lei si rilassa su di una panchina vicino alle piante.

Cat ha aggiornato la sua amica la mattina a scuola, durante la pausa in mensa. Donny è sembrata entusiasta, anche se con i suoi modi così tranquilli. Non vogliono certo correre dei pericoli, ma non vedono l’ora di scoprire se ci sia qualcosa di vedo nella leggenda sentita dai maschi.

«Mamma, noi andiamo a vedere se ci sono gli scoiattoli. Non ci allontaniamo.»

Non è una bugia. Sono ragazze responsabili, non hanno intenzione di rischiare di perdersi in un luogo che non conoscono. Per evitare che l’entusiasmo le spinga troppo lontano, come delle giovani Pollicino lasciano delle briciole di brioche per terra per segnare il percorso.

Il bosco è piuttosto fitto. L’abbandono del villaggio ha lasciato i rami liberi di crescere, e l’autunno non li ha ancora spogliati del tutto. Inoltre, nel sottobosco ci sono piante in abbondanza, alcune ricche di spine dispettose. E’ probabile che lì dentro non passino adulti da parecchio tempo, perché avrebbero spezzato rami e lasciato impronte nel terreno umido, di cui non c’è traccia.

Di tanto in tanto Donny controlla che le briciole siano ancora al loro posto e si premura di chiamare la madre con qualche scusa, come “Che ore sono?”, oppure “Come si chiama l’albero con le foglie a forma di mano?”

Così, giusto per essere sicura di non essersi allontanata troppo.

La più giovane, intenta a guardarsi alle spalle per controllare che nessun animaletto le stia seguendo, urta improvvisamente contro l’amica, fermatasi all’improvviso.

«Donny, guarda.»

Cat tiene coraggiosamente in mano un piccolo bruco, raccolto da terra.

Donny spalanca la bocca, incredula: «Ma è blu!»

Ammirate, le due giovani non riescono a staccare gli occhi dall’insetto.

«Cat, è questo l’animale fantastico?»

«Non credo, deve essere qualcosa di più grande, ma c’è qualcosa di strano in questo bosco. Continuiamo.»

«Sì, ma fra poco farà buio: dobbiamo sbrigarci.»

Pur con tutte le attenzioni per non rischiare di perdersi o di inciampare sulle spine, le ragazze proseguono tra le piante. La più grande tra le due amiche non riesce ad accettare l’idea di tornare a casa a quel punto, con il dubbio che ci sia qualcosa di meraviglioso poco più avanti.

Una voce di donna giunge dalle loro spalle: «Donny, Cat, è ora: venite qui.»

«Cat, è mia mamma: dobbiamo andare.»

«Ancora un minuto. Te lo prometto, non la faremo arrabbiare.»

Continuando a lasciare le briciole, proseguono con sempre maggiore tensione, tirate in avanti dalla voglia di scoprire cosa ci sia di incredibile, ed indietro dal desiderio di non prendersi una sgridata dalla mamma di Donny.

«Bambine, è ora! Forza! La mamma di Cat ci aspetta!»

La voce della donna è un po’ più lontana di prima, e Donny inizia a preoccuparsi, tanto che si ferma tra i cespugli, mentre il buio sta sempre più coprendo ogni cosa intorno a loro.

«Cat, dobbiamo tornare.»

La più grande tra le amiche si rende conto che Donny comincia ad essere spaventata.

«Aspettami qui. Vedi quella fila di piante laggiù? Arrivo solo fino a lì.»

«Perché?»

«Perché è strano, è come se fossero tutte in fila intorno a qualcosa, come uno stagno.»

«Ok, ma fai in fretta.»

Mentre Donny cammina all’indietro per avvicinarsi un po’ di più alla mamma, Cat compie con il cuore in gola i venti passi che la separano da quella che sembra una radura circondata dagli alberi.

Arriva finalmente a destinazione, dove i suoi sforzi vengono ripagati.

«Non ci credo…»

Giunta alla sua meta, affaticata dalla camminata tra rovi e rami fitti, Cat sorride colma di gioia mentre il sole vicino al tramonto fa capolino illuminandole il volto.

E’ un luogo così bello da sembrare che sia finita su di un altro pianeta. Lo stagno al centro della radura sembra poco profondo, ma è molto largo, coperto da una leggera nebbiolina, le cui gocce illuminate sembrano polvere di fata.

Le libellule che volano sulla superficie, le rane che gracidano serenamente, perfino una coppia di meravigliosi ed imprevedibili fenicotteri: tutte le creature che riesce a vedere hanno sfumature bluastre. La leggenda è vera!

Cat fatica a tornare a concentrarsi sulla sua amica che la sta chiamando, completamente travolta dalla sorpresa. Per questo motivo, si spaventa quando una voce di uomo arriva alle sue orecchie.

«Bellissimo, non è vero?»

Uno strano signore, anziano e vestito con abiti molto consumati, una tuba rotta in testa ed un bastone ricavato da una pianta del bosco, è comparso non si sa da dove.

«Molto bello, ma tu chi sei?»

«Sono il custode del bosco. Sei stata coraggiosa ad arrivare fino a qui, ma devi stare molto attenta: sei in grado di tornare indietro?»

«Certo, io e la mia amica che è rimasta nel bosco abbiamo lasciato delle briciole per non perdere la strada.»

«Brave ragazze. Però, ho un grosso favore da chiederti.»

Cat è un po’ preoccupata, ma la richiesta non la sorprenderà, visto che di quel luogo nessuno sa nulla.

«Devi giurarmi con tutto il cuore che non parlerai mai del mio bosco e del suo stagno incantato. Se lo facessi, tempo poche ore e non ci sarebbe più nulla: gli animali verrebbero portati via per essere studiati, i turisti arriverebbero a sporcare e a distruggere la vegetazione. Sarebbe un disastro.»

Cat capisce perfettamente che quello sarebbe davvero il destino del bosco, se dovesse raccontare la sua avventura.

«Lo prometto, con tutto il cuore.»

Il custode e la ragazza si guardano per qualche istante negli occhi.

Cat sposta poi lo sguardo verso il luogo incantato, ammirandolo per mantenere nella sua memoria tutti i possibili dettagli e scoprendo ad ogni istante una nuova creatura blu, perfino uno scoiattolo intendo a rosicchiare una ghianda.

Con un ultimo sorriso, saluta il custode e torna dalla sua amica.

Donny è ansiosa di sapere cosa abbia visto la sua amica, raggiante: «Allora?»

Per un attimo, Cat rischia di cedere alla tentazione di raccontare tutto. Poi, il pensiero delle parole del custode la ferma.

«Niente di speciale, è solo un bosco molto bello. Forse la luce del sole in certi momenti fa diventare tutto blu.»

Donny non sembra molto convinta, ma non insiste. Le due ragazze tornano con passo spedito verso la madre della più giovane.

Alla fine, non stanno tardando poi di molto: la visita allo stagno è durata davvero poco. E’ un luogo incantato ed estremamente delicato, perciò il custode è intervenuto subito per difenderlo.

Nonostante i pochi istanti, il ricordo di quelle creature magicamente blu resterà con Cat a lungo. Non oserà più andare a disturbarle, ma quell’avventura la aiuterà a sentirsi un po’ più a casa nella sua nuova città, e a dare tutta sé stessa per essere di nuovo felice.

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Racconti brevi

Mauro

Mauro regola il volume dell’autoradio sul livello 20. Perfetto per sentire tanto i conduttori quanto la musica, senza rischiare i timpani ad ogni stacco pubblicitario.

È una bella giornata di sole, le poche nuvole che s’intravedono non sono in grado di rovinare la piacevolezza della temperatura di fine settembre.

Giunto all’unico semaforo lungo il suo percorso, l’uomo svolta come di consueto a destra. Sa perfettamente che scegliendo di proseguire dritto impiegherebbe meno tempo, tuttavia porta ancora dentro di sé il ricordo dell’incidente a cui aveva assistito oltre un anno prima, nei pressi della rotonda successiva. Il suo istinto lo tiene lontano da quel luogo.

Rallenta l’andatura mentre si avvicina alla meta, perché potrebbero esserci studenti nei pressi della scuola elementare che compare alla sua destra.

Finalmente, il suo supermercato preferito si manifesta di fronte ai suoi occhi.

Mauro abbassa il volume della radio per non disturbare altre persone nel parcheggio, quindi aziona la freccia e si prepara a svoltare. Guarda lo specchietto retrovisore, mentre inumidisce leggermente l’indice della mano sinistra e con questo sistema le sopracciglia, mai del tutto in ordine.

Torna a guardare la strada, pregustando la passeggiata tra i profumi della gastronomia e le tentazioni racchiuse nei frigoriferi.          

Un automobilista evidentemente affetto da rabbia stradale arriva dietro di lui lungo la corsia di svolta, suonando il clacson per intimargli di darsi una mossa. Mauro non gli dà la soddisfazione di abbassarsi al suo livello. Toglie con tutta la calma possibile il piede dal freno e fa il suo ingresso nel parcheggio, lasciando che il suo pedinatore lo superi e vada furiosamente ad interrompere la corsa nelle immediate vicinanze dell’entrata.

Lui dirige l’automobile da tutt’altra parte, ossia verso il suo solito posto.

Da quando, ormai tre anni e mezzo prima, quel negozio ha cambiato gestione ed è passato sotto la catena che Mauro predilige, non c’è stata una sola occasione in cui l’uomo abbia parcheggiato in un’altra posizione rispetto a quella. Pioggia, neve o sole canicolare non lo hanno mai fermato, nonostante quel luogo si trovi piuttosto lontano rispetto all’ingresso. Il confort di sentire proprio quel rettangolo di asfalto non è paragonabile al minimo disagio offerto da una passeggiata sotto condizioni atmosferiche poco amichevoli.

Mentre la sua auto attraversa le vie interne che lo porteranno alla meta, sorride al pensiero di quando alcune settimane prima ha visto uno scoiattolo rosicchiare una ghianda all’ombra della piccola pianta che campeggia nell’aiuola poco distante. Ad ogni occasione successiva ha sperato di incontrare nuovamente il suo piccolo amico. Nonostante non sia mai accaduto, quel sorriso benaugurante ha sempre fatto capolino sulle sue labbra esattamente tre traverse prima del suo posto preferito. Chissà che questa non sia la volta buona.

Mauro trattiene inconsciamente il respiro, allungando leggermente il collo verso sinistra per anticipare la visione occultata da un’altra auto. Una macchia blu si intromette fra lui e l’atteso asfalto. Cosa diamine succede?

Non è possibile. Deve esserci sicuramente un errore.

Un’utilitaria, peraltro piuttosto vecchia e malridotta, sta occupando indebitamente il suo posto. Chi si crede di essere?

L’uomo si guarda intorno per capire se qualche disgraziato gli stia combinando uno scherzo di cattivo gusto, ma non c’è nessuno in vista, né l’ombra di una telecamera occultata.

Parcheggia a tre posti di distanza dalla sua meta, così vicina eppure così distante. Lo sguardo nel vuoto, le mani serrate sul volante, non riesce a capire come possa uscire da una situazione tanto fastidiosa ed anomala. Le loro sono le uniche due automobili in quell’ultima fila del parcheggio, che da sola ospita almeno ventiquattro posti: è una coincidenza davvero assurda ed al limite del paranormale.

Dopo alcuni lunghi ed interminabili minuti, durante i quali Mauro ha valutato l’ipotesi di far annunciare dall’interfono del supermercato la necessità di spostare l’utilitaria blu, una donna si avvicina a piedi. Lui l’ha vista di sfuggita dallo specchietto retrovisore, prima di spostare su di lei tutta la sua attenzione quando ha capito che quasi certamente si tratta della parcheggiatrice abusiva.

La donna, abbigliata come una vecchia e pacchiana abat-jour, aziona l’apertura centralizzata per avere accesso alla sua portiera. Strano, non ha con sé sacchetti della spesa né un carrello: evidentemente non ha trovato quello che cercava. Non poteva che essere una svampita.

Il cuore che batte all’impazzata, Mauro pregusta il momento in cui potrà riprendersi il maltolto. Quasi quasi potrebbe lasciarsi andare ad una strombazzata di clacson polemica, perché all’usurpatrice sia chiaro che non dovrà più permettersi un affronto simile.

Fermi tutti: cosa succede? Il paralume ha richiuso la macchina e sta tornando verso il negozio!

Il finestrino dell’uomo si abbassa alla velocità della luce.

«Scusi, pensavo stesse andando via: ne ha ancora per molto?»

La donna si guarda intorno, non capendo se quello strano personaggio si stia rivolgendo proprio a lei: «Dice a me?»

«Sì, volevo saperlo per parcheggiare. Preferirei lasciare l’auto dove l’ha messa lei.»

Confessare quella debolezza gli è costato parecchio in termini di energie emotive, ma per contro è certo che la naturale empatia che è in grado di scatenare nelle persone lo aiuterà a raggiungere anche quell’obiettivo.

Sorprendentemente, la donna si guarda intorno, valutando la quantità notevole di posti liberi a disposizione: «Mi sta prendendo in giro?»

Mauro inizia a sudare, mentre le pulsazioni salgono ulteriormente di frequenza: «No, perché?»

L’abat-jour si volta in direzione del supermercato, non degnando più l’uomo di una risposta. Sottolinea il suo fastidio alzando una mano in un chiaro tentativo di mandarlo al diavolo.

Fallimento su tutta la linea.

E adesso?

Mauro attende qualche minuto. La presa sul volante si è indebolita, lo sguardo abbassato.

Il finestrino si rialza, mentre l’uomo si decide ad abbandonare il veicolo per dedicarsi alla spesa.

Entra nel supermercato, constatando tuttavia quanto l’accaduto abbia completamente rovinato il piacere che abitualmente prova nel fare acquisti.

Indossa i guanti monouso. Si avvicina ai pomodori. Inizia a tastarli per saggiarne la consistenza, ma quando vede un anziano signore passare di fronte a lui, si sente osservato e molla la presa. Niente pomodori, meglio lasciar perdere piuttosto che rischiare di acquistare verdura guasta.

Arriva di fronte agli yogurt. Il solito grande dilemma. Un po’ di routine che può restituirgli il buonumore.

Sceglie quelli ai frutti rossi, sono di marca ed in offerta con un ottimo sconto. Nota tuttavia che scadranno molto a breve, non abbastanza per rischiare di non consumarli in tempo, ma in ogni caso non si fida. Li rimette a posto.

Prende quindi una confezione da due pezzi di yogurt al malto. Buonissimo, sente già il sapore che gli delizia il palato, così simile al caffè ma allo stesso tempo in una versione più cremosa. Però il dottore gli ha consigliato di assumere frutta in tutti i pasti, compresa la colazione. No, decisamente il malto non è frutta. Li rimette a posto.

Forse la pera è la scelta giusta. Ne prende addirittura due confezioni. Una volta riposte nel carrello, gli sfugge un sorriso di autocommiserazione: ma dove ha la testa? Lui detesta la pera! Li rimette a posto.

Ecco, un ottimo yogurt all’albicocca fa proprio al caso suo.

«Scusi, signore: potrebbe smettere di aprire e chiudere il frigorifero in continuazione? Il vetro è completamente coperto di condensa, ed in ogni caso non fa bene né al motore, né ai prodotti.»

Una scaffalista lo ha rimproverato per il suo valzer dello yogurt. Mai successo nella sua vita, nemmeno quando da bambino combinava qualche monellata.

Offeso dalla mancanza di rispetto per un cliente, Mauro prosegue oltre.

Arriva alla corsia della pasta. Prende le sue solite mezze maniche. Dieci confezioni, come sempre. Cinque le regalerà alla colletta alimentare, tre le porterà a sua madre perché le cucini anche per i nipoti, mentre le ultime due rimarranno a lui. Ecco fatto: sette, otto…

Non è possibile.

Gli ultimi due pacchetti, proprio quelli che vorrebbe tenere per sé, gli sono caduti di mano finendo per aprirsi sul pavimento del supermercato.

La scaffalista di prima giunge a tormentarlo nuovamente, allontanandolo in modo sbrigativo: «Lasci, lasci, ci penso io.»

L’occhiata che la donna lancia all’indirizzo della collina di mezze maniche nel carrello è chiaramente dispregiativa. Ma perché quella maleducata non sa farsi i fatti suoi? Quale direttore di filiale assumerebbe una persona simile, sapendo che dovrà stare a contatto con i clienti?

Forte delle otto confezioni di pasta sane e salve, Mauro si dirige verso il banco dei salumi, pronto ad affidarsi alle sapienti mani del suo amico macellaio.

«Ettore, buongiorno!»

Una voce giunge dalla destra dello sventurato cliente: «Mi scusi, c’ero prima io.»

«Ho visto, non si preoccupi, stavo solo salutando il signore.»

Il ragazzo non degna Mauro di ulteriori attenzioni, tornando a rivolgersi al macellaio per chiedere una porzione di orribili cipolline in agrodolce.

Giunto il suo turno, l’uomo ha appena finito di combattere la nausea dovuta all’odore della pietanza scelta dal giovane dai pessimi gusti culinari.

«Ettore, mi daresti un etto di crudo? Magro, mi raccomando.»

Mauro accompagna il gesto con un sorriso ed una pacca sul suo stomaco, ad indicare che del grasso del prosciutto è meglio farne a meno.

Il macellaio non accoglie con la dovuta ed attesa cortesia la richiesta: «È sicuro? Oggi sono di fretta, se ha intenzione di chiedermi come sempre un altro etto una volta che lo avrò tolto dall’affettatrice, la avviso che dovrò passare ad un altro cliente.»

Sorpreso e sconfortato dalla scortesia dilagante, Mauro accetta di abbandonare un altro piccolo vizio della sua spesa routinaria, ossia il piacere di decidere in corsa se accontentarsi di un solo etto di affettato o se, come accade ogni volta, concedersene un secondo. Non ha infatti comprato nulla per sé, deve necessariamente acquistare qualcosa da mettere sotto ai denti.

«Due etti, per favore.»

L’uomo non può fare a meno di notare la quantità di grasso che finisce nel suo pacchetto, e che si ritroverà a scartare una volta a casa. Non è proprio la sua giornata.

Giunge infine alla cassa, il carrello semivuoto e l’umore a terra. Se non altro, spenderà poco.

Quasi senza accorgersene arriva il suo turno di pagare. Solitamente avrebbe disposto i separatori sul nastro trasportatore, prima e dopo i suoi acquisti, accertandosi che fossero perfettamente perpendicolari alle pareti della corsia. Quel giorno ha ormai perso il sentimento.

Mostra pigramente alla cassiera l’applicazione sul telefono con la card del supermercato: «Mi scusi, ecco la tessera.»

«Mi dispiace, ormai ho chiuso il conto.»

Mauro resta inebetito, lo smartphone a mezz’aria. Non riesce più a formulare un pensiero razionale che lo guidi fuori da una situazione di continuo disagio.

«Signore, dovrebbe pagare, ci sono altri clienti in coda.»

L’uomo si risveglia dal torpore. Cerca in tasca quanto gli serve, ma non trova nulla. Altra situazione mai accaduta prima.

«Ho lasciato a casa il portafoglio. Mi terrebbe da parte la spesa? Torno entro una decina di minuti.»

«Purtroppo non posso, non ho spazio in cassa. Devo far rimettere gli articoli a posto.»

«In che senso, scusi? C’è anche dell’affettato, non vorrete buttarlo via.»

«Non si preoccupi, ci pensiamo noi. Ora le devo chiedere di liberare lo spazio per gli altri clienti.»

Gli sguardi ed il brusio delle persone in attesa non necessitano di analisi più attente: l’umore generale sta virando al peggio.

Mauro prende le sue cose, ossia il carrello completamente vuoto con la moneta di plastica con cui lo ha sbloccato, e se ne torna verso l’automobile.

L’utilitaria blu è ancora al suo amato posto. Un velo di profonda tristezza si addensa sopra di lui.

Si siede al posto di guida, appoggiandosi al volante e lasciandosi andare ad un pianto di pura frustrazione. Perché sembra che tutti abbiano un conto in sospeso con lui? Quando mai ha fatto del male a qualcuno?

Gli occhi annebbiati dalle lacrime, alza lo sguardo di fronte a sé.

È in quel momento che Mauro scorge una piccola figura sul cofano.

«Ma… sei proprio tu?»

Lo scoiattolo è tornato a farsi vivo. Sta gustando una ghianda proprio davanti a lui, guardandolo con estrema naturalezza e tranquillità.

Mauro scende lentamente dall’auto, certo che l’animaletto se ne andrà. Con suo grande stupore, invece, non dà cenno di voler fuggire.

L’uomo sorride, rasserenato in un momento di odiosa solitudine da quella compagnia imprevista.

«Ma che meraviglia!»

Parlando sottovoce, la donna – paralume si è avvicinata a Mauro per godersi lo spettacolo della natura.

Lui si sforza di condividere il momento: «Sa, deve avere la tana qui vicino, perché non è la prima volta che lo vedo.»

«Capisco perché quel posto era così speciale. Mi dispiace di averla trattata freddamente, pensavo volesse solo pendermi in giro.»

Mauro sorride, rassegnato ma al tempo stesso alleggerito nell’animo da quella spruzzata di empatia: «Non si preoccupi, oggi non è la mia giornata.»

«Eppure, guardi che bel regalo le ha fatto il destino.»

L’uomo contempla nuovamente il piccolo amico sul cofano: «Ha proprio ragione. Non la trattengo oltre, avrà dei prodotti da mettere in frigorifero.»

«Non c’è problema, possono aspettare per il tempo di un caffè. Le va?»

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Poesie

Vortice

Sabbia che si alza intorno a me
turbine isolante il mondo intero.
Tremo nel rovente vortice,
e mano amica di veder io spero.

Corrono i minuti ed io son lì,
conscio sempre più del gran silenzio.
La voglia sorge di restar così,
in quell’innatural confinamento.

Apatico abbraccio con affetto,
l’epifania del giorno mio futuro,
rivelazion del vero inver già scritto,
che il nero è il colore mio più puro.

Repentine giungono pie mani
recanti un aiuto mai richiesto.
I graffi fan che io mi allontani,
tuffato nel destino mio reietto.

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Racconti brevi

Una notte imprevedibile

Glabro cerca di aprire gli occhi, ma una luce innaturalmente intensa sembra contrastare il movimento delle sue palpebre.
Per rendere la sua sofferenza ancora più vivida, la testa prende a pulsargli con violenza.
Si sente chiamare. Più che una voce, è un alito di fiato sfuggito ad una bocca sottoposta alla sua stessa difficoltà.
Riconosce l’agonia di Totano, il suo migliore amico.
<<Oh, To’, stai male anche tu?>>
<<Se’, Gla’, non puoi capire. Ma cosa ci facciamo qui?>>
<<Qui dove?>>
È comprensibilmente convinto di essersi svegliato nel letto della sua casa mobile, nel villaggio vacanze in cui stanno soggiornando, perciò Glabro si affretta ad aprire gli occhi, scoprendo una realtà del tutto inaspettata.
La sua vista si fa largo tra i raggi del sole, finché non mette a fuoco il mare intorno a loro.
Guarda sotto di sé, dove scopre di essere sdraiato su di un materassino, largo appena a sufficienza per contenerlo e di un colore rosa confetto molto femminile. Il disegno di un noto personaggio dell’universo consumistico in corrispondenza della sua testa rende evidente quanto poco adatto a lui fosse in origine quello strumento.
Lo spavento dovuto all’essersi ritrovato in mezzo al mare, senza una vera idea di come possa esserci arrivato, lo porta quasi a ribaltarsi in acqua.
Capisce poi che non si tratterebbe di un ulteriore shock, anzi, sente il forte bisogno di un bagno rigenerante. Si lascia pertanto scivolare in mare, dove il contrasto di temperatura gli restituisce subito energie sufficienti a consentirgli di tentare di elaborare la situazione.
Totano, inizialmente atterrito dall’iniziativa dell’amico, ne coglie tutta l’importanza e lo imita.
<<Toh, il mio materassino è viola.>>
Un altro logo facilmente riconoscibile fa loro capire che, qualsiasi cosa sia successa la sera prima, in quel momento nei dintorni ci sono due bambine tristi per la scomparsa di due oggetti di loro proprietà.
In ammollo con le braccia sui rispettivi salvagenti, i due amici si guardano disperatamente in faccia, sperando in una reciproca illuminazione.
<<Tu cosa ricordi?>>, chiede alla fine Totano.
Glabro riflette qualche istante, ma le fitte alla testa…
<<Giusto, la testa!>>
Si passa una mano sulla nuca, distinguendo chiaramente un bernoccolo. Ricorda di aver subito un colpo, ma come e da chi sono domande troppo complesse per sperare in una rapida risposta.
<<Aspetta un secondo, >> gli fa eco Totano, <<io ho un dolore assurdo ad uno stinco.>>
La soluzione più semplice, ossia un calcio in testa da parte dell’uno all’altro, viene rapidamente scartata. Non hanno infatti la sensazione di avere litigato, anzi: percepiscono di avere vissuto momenti in grado di averli fatti sentire ancora più uniti nelle difficoltà.
Un faro si fa largo nella nebbia della mente di Totano.
<<Uè, pirla!>>
<<Uè, pirla!>> Ripete istintivamente Glabro.
Percepisce l’importanza di quelle semplici parole, perché la verità si sta avvicinando.
Una mano sulla testa tonda e liscia che ha originato il suo soprannome, Totano si sforza di dare un volto a quei versi così milanesi.
All’improvviso, compare davanti ai suoi occhi un cappellino grigio in testa ad un uomo alto e magro, lo sguardo arcigno, un velo di barba disordinato ed una voce arrochita dal fumo.
Descrive la figura all’amico.
<<Non c’era anche un altro tizio, palestrato e super abbronzato?>>, risponde Glabro.
<<Non c’era? Dove?>>
<<Non lo so, ma mi sembra che quei due si muovessero in coppia.>>
<<Giusto, nella pineta accanto alla spiaggia.>>
<<La pineta!>>, urlano all’unisono. Se c’è una possibilità di dare un senso all’accaduto, quel luogo può contenere le risposte che cercano.
Iniziano a nuotare di buona lena, finché non si accorgono di essere sopra ad una secca, che permette loro di riprendere fiato. Decisamente non sono pronti per un simile sforzo.
Riprendono una nuotata moderata, raggiungendo la riva quando i primi turisti agostani stanno iniziando a popolare la spiaggia abruzzese in cui sono in vacanza. Evidentemente deve essere passata da non molto l’alba.
Raggiunta la riva, due padri furibondi li assalgono con insulti e minacce fisiche. Devono essere i proprietari dei materassini, alla ricerca del maltolto prima che le rispettive figlie si sveglino.
Totano tenta un approccio chiarificatore, ma in realtà non riesce al contempo ad abbassare il livello di tensione.
<<Scusate, potreste dirci dove li avevate lasciati ieri sera?>>
Le allusioni volgari con cui le due vittime del furto rispondono lasciano intendere una scarsa volontà di fornire gli indizi che i due ragazzi tanto affannosamente bramano.
Lasciati i materassini ai legittimi proprietari, Glabro e Totano si spostano tra le piante.
Qui camminano per alcuni minuti, finché trovano un ramo un po’ più dritto e robusto degli altri abbandonato di fianco ad un pino.
Istintivamente, Glabro sente una fitta dietro alla testa, mentre Totano si protegge lo stinco dolorante.
Il socio del milanese e quel bastone sono decisamente collegati, così come quel luogo. Da lì partono anche due coppie di solchi nella sabbia, come se due persone fossero state trascinate. Forse dopo essere state tramortite con dei colpi ben assestati. Per poi venire spinti al largo su due materassini, che per fortuna si sono blandamente adagiati sulla secca.
La verità si è finalmente manifestata.
Glabro è sconvolto: <<Cosa abbiamo fatto per meritarci una punizione del genere?>>
I sapori e gli odori che si mescolano tra bocca e narici smuovono qualcosa in Totano.
<<Abbiamo fumato ieri sera?>>
<<Certo, ma niente di illegale.>>
<<Per quello che ne sappiamo. E se non fosse stato così?>>
Cos’hanno combinato i due amici, in preda agli effetti di droghe inconsapevolmente illegali, vendute in un angolo della pineta da un ragazzo sconosciuto e mai visto prima nei dieci giorni di vacanza già trascorsi?
<<Forse non è stata una grande idea, penso volesse solo liberarsi di quella roba.>>
<<Dici?>>, risponde con ironia Totano, che sembra essersi ripreso più rapidamente.
Camminando a casaccio, i due si avvicinano senza accorgersene al ristorante nella pineta che hanno più volte frequentato in quei giorni.
Un cameriere appena arrivato per iniziare a preparare il turno del pranzo li riconosce.
<<Ehi, voi due, avete un bel coraggio a farvi vedere da queste parti!>>
Glabro risponde con sollievo: <<Finalmente! Ci spieghi cos’è successo? Ci hanno venduto droghe pesanti con l’inganno e non ricordiamo assolutamente niente.>>
Il cameriere impiega qualche istante per capire se il ragazzo lo stia prendendo in giro o se parli seriamente.
<<Siete venuti qui a cena, ma continuavate a ridere. Stavate dando fastidio agli altri tavoli, così vi abbiamo chiesto di smettere. Vi siete dati una calmata, ma quando avete iniziato a puntare un signore milanese vicino a voi, questo ed il suo amico non l’hanno presa bene. Vi hanno portato via di peso, dicendo che avrebbero pagato anche per voi. Quei due non mi sono mai piaciuti, ma sono dei buoni clienti. Spero che non abbiate passato guai. A proposito, eccoli.>>
Il milanese ed il socio passano vicino al ristorante, un grosso sacco della pattumiera  sulle spalle del più abbronzato dei due. Si accorgono con sguardo truce delle tre persone che li osservano.
I due giovani, terrorizzati, si danno alla fuga urlando, mentre nelle loro teste risuona il ricordo di una voce con chiaro accento milanese.
<<Uè, pirla, se non hai capito che state scherzando con il fuoco, tu e il tuo amico lo imparerete presto. Diventerete cibo per pesci, capito?>>
Inutile dire che i ragazzi non torneranno mai in quel ristorante, né si fideranno più di qualche disperato incontrato in pineta.
Guardandosi negli occhi, quando si sentono sufficientemente lontani, non possono fare altro che dare ragione al milanese: si sentono proprio due pirla.

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Racconti brevi

Mille bolle e più

Il sole inizia a cambiare colore, segno della sera che sta per farsi largo dopo una calda giornata di fine primavera.

Martina vorrebbe affrettarsi per non far arrabbiare sua madre, ma le manca il fiato, perciò si arrende all’idea di una ramanzina. D’altra parte ha la fortuna di non avere genitori particolarmente severi, perciò si prepara ad accogliere la tirata d’orecchie senza l’apprensione che qualcuno tra i suoi amici potrebbe sentire in quegli stessi minuti.

La palazzina in cui la ragazza vive con la famiglia è stata realizzata in grigio cemento, tuttavia la copertura offerta dalle piante rampicanti la rende decisamente piacevole, grazie soprattutto alla fioritura primaverile che regala note di colore dal rosa all’arancio tenue. Martina ha sempre pensato che, anche qualora non fosse obbligatorio per legge, non c’è ragione per cui delle persone dovrebbero preferire fare a meno del cappotto vegetale.

Una volta tanto raggiunge il terzo piano in ascensore. È stata educata a preservare la corrente elettrica, quando non ce n’è un’estrema necessità: bene, quella è esattamente una situazione di assoluto bisogno, sia per mantenere un minimo di fiato in corpo, sia per salvare qualche secondo nel suo evidente ritardo.

Apre delicatamente la porta, facendo attenzione al risucchio della pressione che potrebbe richiuderla rumorosamente: vorrebbe infatti raggiungere il bagno per darsi una rinfrescata, prima di rendere manifesta la sua presenza.

Obiettivo miseramente fallito.

«Marti, sei tu?»

Maledetta serratura.

«Sì, mami. Scusa il ritardo.»

Forse riuscirà ancora ad infilarsi in bagno prima che sua madre la veda.

Niente da fare: viene raggiunta in salotto prima che possa muovere il secondo passo verso la sua meta.

«Come sei sudata: cosa stavi combinando con i tuoi amici?»

«Niente, abbiamo giocato un po’ a Virtua Frisbee.»

Quel gioco è una maledizione. Un ologramma simula un vero frisbee di alto livello, senza il rischio di beccarsi il disco in mezzo agli occhi, ed è perfetto per regalare ai ragazzi un minimo di voglia di attività fisica in un’era ipertecnologica. Per contro, per ragioni non del tutto chiare quel passatempo è in grado di dare assuefazione, tanto che i giovani trascorrono ore intere a tuffarsi su qualsiasi superficie per recuperare al volo l’oggetto virtuale. Contusioni ed ore sottratte allo studio sono le prime conseguenze in ordine di importanza.

Ma non è tutto lì. C’è dell’altro. Sara, la madre di Martina, se ne accorge guardando il torace della figlia: alla sua età non dovrebbe alzarsi ed abbassarsi così rapidamente solo per un po’ di attività fisica, nemmeno se avesse corso senza sosta dall’altra parte della città fino a lì.

«Sei uscita dalla bolla?»

Martina è pressoché incapace di mentire alla madre, soprattutto quando la guarda dritto negli occhi. Con suo padre è diverso, perché lui non ha mai voglia di discutere, perciò accetta bonariamente qualsiasi scusa che la figlia gli propini, anche quando dà ad intendere di avere capito la verità.

«Solo cinque minuti.»

Sara non si è ancora abituata del tutto a quei toraci così ampi rispetto a quelli della sua generazione. Colpa dell’aria sotto le bolle.

«Lo sai che non sei capace di dirmi bugie.»

«E va bene. Siamo stati fuori mezz’ora.»

La madre alza il tono della voce, evidentemente preoccupata.

«Mezz’ora? Sei forse impazzita? E se foste svenuti?»

«Non siamo così incoscienti, mamma. Ormai abbiamo dodici anni. Stavamo fuori in due alla volta, mentre gli altri guardavano da dentro. Così, se succedeva qualcosa erano pronti ad intervenire.»

«E di grazia, che senso avrebbe questa follia?»

«Lo so che non puoi capire, ma è una sfida: chi resiste di più passa il turno.»

«Addirittura un torneo. E chi vince, cosa riceve in premio? Un paio di polmoni nuovi?»

Martina capisce di non dover ridere. Ha sentito il bisogno di raccontare tutto a sua madre perché lei stessa lo ritiene un gioco pericoloso, ma in tutte le città ci sono migliaia di ragazzi che si sfidano a resistere all’aria fuori dalle bolle, e certo non vuole sentirsi esclusa. I suoi compagni che si sono rifiutati di partecipare stanno subendo atti di bullismo costanti, al confronto cosa potrà mai essere una mezz’ora trascorsa là fuori?

«Non lo so. Davvero, non sto mentendo. Orgoglio?»

Sara si siede sul divano, sospirando.

Quando ha scoperto di essere in attesa di Martina, il mondo aveva appena iniziato a diventare molto diverso da quello in cui lei era nata e cresciuta. Se avesse saputo che sua figlia avrebbe trascorso la sua vita sotto ad una sfera ad atmosfera controllata per garantire all’umanità residente di respirare aria non tossica, probabilmente avrebbe preso una decisione differente, rinunciando alla maternità. La stessa scelta che avevano compiuto diverse altre donne su di un Pianeta allo stremo delle forze, tanto che le proiezioni indicavano un netto decremento della popolazione globale nell’arco di poche generazioni.

L’aria all’esterno delle bolle è satura di un mix di gas particolarmente insidioso, che nel breve periodo non sembra dare alcun effetto collaterale oltre ad un evidente appesantimento della respirazione. In realtà, dopo poche ore l’intossicazione può causare disturbi irreversibili a tutti i sistemi principali: ovviamente respiratorio, ma anche nervoso e cardiocircolatorio. Una variabilità di patologie incurabili che aveva lasciato strascichi su tutta l’umanità, oltre un decennio prima. Senza contare le conseguenze emotive di una vita confinata sotto ad un’enorme tenda trasparente e salvavita.

Poiché l’aria riprodotta artificialmente non è perfettamente identica a quella naturale, chi ha potuto permetterselo ha ulteriormente modificato l’aria nella propria abitazione, in modo tale da recuperare al meglio le energie fisiche e mentali durante la notte.

Le nuove generazioni nascono con una capacità di adattamento evidentemente superiore, tanto che Martina può passare agevolmente da una rapida passeggiata all’esterno della bolla, ad una corsa per le strade della città, fino alla climatizzazione domestica senza nulla più che una fluttuazione marcata del torace. Per lei è tutto normale, se non addirittura un gioco con i coetanei.

Per Martina, il semplice atto di abbandonare le mura domestiche per raggiungere il posto di lavoro rappresenta una sfida contro quella parte di sé che la tratterrebbe in quel rifugio sicuro, fino a quando quella stessa realtà limitata non le toglie il respiro. È grata per la capacità dell’uomo di reagire a quella crisi, regalandosi un futuro grazie ad un prodigio tecnologico concepito e realizzato in tempi incredibilmente brevi, ma allo stesso tempo da dodici anni non riesce a fare a meno di pensare che quell’esistenza sia infinitamente più triste e fragile rispetto alla vita precedente alle bolle.

Spesso deve prendere a cazzotti l’indolenza a cui quella consapevolezza l’ha costretta, perché sua figlia ha bisogno di una madre forte e presente, come qualsiasi adolescente. Il desiderio giovanile di Martina di sfidare i propri limiti la fa tuttavia sentire impotente.

«Senti, promettimi che non lo farai più. Non puoi semplicemente far finta di perdere?»

«D’accordo, ma’, promesso. Anche perché probabilmente avrei perso in ogni caso.»

Le due donne si abbracciano. Sara è consapevole di avere cresciuto una brava ragazza. È pur sempre una consolazione, e non da poco. Sta inoltre dimostrando di essere particolarmente sveglia e portata per lo studio, un’evidenza che stimola piacevolmente l’orgoglio dei suoi genitori.

Qualche giorno più tardi Martina torna a casa trafelata da scuola. Apre la porta con gesto brusco, mentre la voce tradisce un violento nervosismo.

«Ma’, lo sapevi che sono state delle persone a combinare tutto questo, solo per interesse?»

«A cosa ti riferisci, Marti?»

«All’aria!»

A scuola devono averle raccontato per la prima volta la verità su ciò che ha portato alla tossicità acuta dell’atmosfera, e conseguentemente alle bolle.

«Adesso siediti vicino a me e calmati.»

«Calmarmi? Spero che tu stia scherzando! Tu lo sapevi?»

«Ma certo, sciocchina! C’ero quando è successo tutto, e c’ero anche quando si è scoperto che la causa della degenerazione dell’aria era artificiale. C’ero quando si è trovato il colpevole, che ha cercato di ricattare il mondo intero perché secondo lui i sistemi di sicurezza che aveva adottato non permettevano di interrompere quella follia, se non lo avesse voluto lui stesso. C’ero quando è stato arrestato, dopo che quegli stessi sistemi di sicurezza sono stati violati e l’emissione dei veleni è stata interrotta, ed è stato spedito sul penitenziario di ricerca scientifica sulla Luna.»

La faccia nascosta della Luna ospita un carcere di elevatissima sicurezza in cui criminali dalle riconosciute doti intellettive vengono coinvolti in progetti di sviluppo tecnologico, con vitto ed alloggio garantiti ma anche la consapevolezza di dover trascorrere il resto dell’esistenza senza mai vedere la luce del Sole.

«C’ero quando si è capito che il processo di degenerazione era ormai irreversibile. C’ero quando un gruppo di scienziati ha proposto la soluzione delle bolle. C’ero quando l’umanità intera ha deciso di sospendere qualsiasi concetto di economia globale fino a crisi superata, perché ogni essere si dedicasse al completamento del progetto, compresa la realizzazione e la messa in opera dei silos che hanno recuperato nel Sistema Solare i gas utili a generare le atmosfere controllate. C’ero quando le bolle sono state attivate, ed abbiamo ricominciato a respirare normalmente all’aria aperta, o almeno così ci è sembrato finché non ci siamo resi conto del riflesso del Sole sulla sfera sopra le nostre teste, o del fatto che non avremmo più sentito la brezza del vento, né la pioggia primaverile. Ho vissuto tutto questo, e da quando sei nata tu non ho fatto che pregare che l’umanità compisse un altro miracolo, trovando una soluzione per rinunciare a questi maledetti salvavita che ci tengono sotto sequestro.»

Sara non può fare a meno di commuoversi.

Martina è ancora arrabbiata, anche se capisce la ragione per cui alle nuove generazioni viene negata la verità fino al raggiungimento di un’età sufficiente a comprendere quegli eventi.

La ragazza non può sopportare di guardare la madre ridotta in lacrime per la cattiveria di un uomo follemente avido.

«Mamma, te lo prometto: la troverò io la soluzione. Ti fidi di me?»

Sara guarda la figlia con occhi orgogliosi. Anche se si rende conto di quanto quelle parole siano figlie dell’emotività, decide di sostenerla per il bene della sua autostima.

«Certo che mi fido di te. Se ci riuscirai, diventerai la persona più importante che l’umanità abbia mai generato.»

Gli studi di Martina progrediscono con successo. La ragazza capisce poco per volta che la soluzione non sta nei gas, bensì in una forma batterica che sia in grado di compensare i veleni nell’aria. Si dedica pertanto alla ricerca di laboratorio, mentre decine di altri scienziati nel mondo non riescono a raggiungere l’obiettivo, fallendo anche dopo annunci ai quattro venti e conseguenti miserevoli ritirate.

Ogni volta in cui Sara incontra la figlia, occasioni in verità rare per via degli impegni della ragazza, la trova cambiata. L’intensità della sua dedizione alla ricerca la sta rendendo sempre più ambiziosa. Vuole avere successo, tuttavia questo obiettivo non è più finalizzato a migliorare la qualità di vita della madre e dei milioni di esseri umani chiusi sotto alle campane di materiale trasparente: lo desidera per sé stessa, perché la sola idea di primeggiare dove tanti hanno fallito in quegli anni la inebria.

«Mamma, sai chi ho conosciuto?»

«Chi, Marti?»

«Harold Johnson.»

Un brivido corre lungo la schiena della madre: «Quell’Harold Johnson?»

«Esatto, proprio il pazzo criminale che ha avvelenato il mondo.»

E pensare che quindici anni prima aveva temuto per l’incolumità della figlia solo per via di quella sciocca sfida di resistenza all’esterno della bolla.

«Cosa ti è saltato in mente?»

«Avevo bisogno di chiarirmi le idee sulla miscela di gas che ha utilizzato. C’era qualcosa che non mi tornava, anche perché durante gli anni ovviamente il mix è cambiato, e parecchio. Devo dire che il colloquio è stato illuminante. Un po’ come se mi avesse rivelato l’ingrediente segreto di una ricetta famosa in tutto il mondo.»

Martina sente le gambe venire meno: «E perché mai una persona chiusa in un carcere di altissima sicurezza dovrebbe rivelare proprio a te un segreto così prezioso?»

«Forse perché sono la più avanti nella ricerca della soluzione. O forse perché ha voluto qualcosa in cambio. Scegli tu.»

La malizia che Sara coglie nello sguardo della figlia non le piace affatto. Non è quella la brava ragazza che ha cresciuto.

«Come sei diventata così ambiziosa e priva di scrupoli?»

Martina per un istante sembra offendersi, prima di rendersi conto di quanto sua madre abbia ragione: «Non saprei, forse la cattiveria dell’uomo mi ha fatto capire quanto poco servano i buoni sentimenti, quando si vuole davvero raggiungere un obiettivo.»

«Davvero? Non ti fa nessun effetto la consapevolezza di essere diventata una persona che tu stessa non avresti rispettato qualche anno fa?»

«Mamma, posso regalarti un futuro migliore. Te l’ho promesso una volta, lo farò di nuovo, e questa volta so di essere vicina a mantenerlo.»

Sara non è sicura di riuscire a comprendere le parole della figlia, non ha tuttavia altra possibilità oltre all’attesa degli eventi: non è più in grado di influenzare in alcun modo i pensieri di Martina.

Trascorrono ancora un paio d’anni, prima che un messaggio della giovane donna inviti la madre a guardare la televisione.

Un’edizione speciale del telegiornale ospita una ricercatrice, Martina Castellani.

Durante l’intervista, la figlia di Sara spiega come la sua azienda sia pronta per realizzare su larga scala un batterio di comprovata efficacia contro l’inquinamento dell’aria. La produzione inizierà nel momento in cui le singole nazioni inizieranno a versare quanto richiesto nei preventivi condivisi poche ore prima di quell’incontro.

Alla domanda del giornalista sul fatto che, pur nell’entusiasmo di una possibile e rapida fine di quella prigionia, quell’azione sia da intendere come un ricatto, la donna ribatte che si tratta di un piccolo prezzo da pagare per il benessere presente e futuro dell’umanità, un risultato così importante da possedere un valore incalcolabile.

L’insinuazione che Harold Johnson possa essere dietro all’azienda riceve questa risposta: «Harold non è affatto dietro alla nostra realtà, è al contrario perfettamente inserito: il suo contributo è stato fondamentale per portare ciò che teorizzavo alla realizzazione. Per questo motivo, gli ho riconosciuto il cinque per cento delle quote societarie. Ciò non toglie che continuerà a scontare la sua pena per il resto della sua esistenza, e degli utili che riceverà beneficeranno i suoi familiari, persone innocenti condannate come tutti noi ad un’esistenza di sofferenza dalla sua follia.»

Di lì a poco, il mondo intero si divide fra chi è indignato per quella estorsione, pretendendo che le Nazioni Unite requisiscano il brevetto ed i siti produttivi, e chi al contrario si dice d’accordo con la valutazione fatta dalla ricercatrice, geniale scopritrice di una soluzione ai mali del pianeta.

Il telefono di Sara squilla.

«Ma’, hai visto? Cosa ti avevo promesso? Entro massimo un anno potrai uscire dalla bolla, e con quello che guadagnerò potrò compare a te ed a papà una bella villa. Cosa ne dici?»

La madre sospira, triste al pensiero di ciò che sta per dire.

«Bambina mia, è vero che desideravo da tempo di poter tornare alla vecchia realtà, a respirare all’aria aperta, a sperimentare gli effetti del clima sulla mia pelle… Ma non ho mai pensato che lo scotto da pagare fosse quello di perdere mia figlia. Io ti ho sempre voluto bene, ma adesso mi rendo conto di averti persa ormai diversi anni fa.»

«Mamma, cosa stai dicendo?»

«Sto dicendo che avevi l’occasione di fare qualcosa di meraviglioso per l’umanità intera, invece hai compromesso l’economia ed il futuro di diverse nazioni nel mondo per sistemare te stessa ed i tuoi futuri eredi. Cosa c’è di diverso fra te e Harold Johnson?»

«Starai scherzando, spero: lui ha avvelenato il pianeta!»

«Certo, ma quando nei prossimi decenni i popoli del pianeta piomberanno nel caos a causa delle guerre e delle migrazioni conseguenti alla tua estorsione, che ha aggravato i sacrifici enormi che già erano stati fatti per uscire dalla prima crisi, tu dove sarai? Sulla Luna con il tuo amico Harold, magari in una bella villa sotto ad una bolla tutta tua?»

«Non ti permetto di parlarmi così, ho fatto tutto questo per te! Hai capito? Non vedrai un centesimo!»

«Non voglio nulla, piccola. Rivorrei solo mia figlia, ma temo che ormai sia troppo tardi. Abbi cura di te.»

Pronunciare quelle ultime parole è stato difficilissimo, tuttavia Sara sa perfettamente che se potrà esserci un futuro diverso per Martina, dovrà essere sua figlia a costruirlo, guardando dentro sé stessa e cogliendo la portata delle sue azioni.

Per lei, l’unica considerazione che le permette di guardare con ottimismo al futuro è che, nonostante tutto, anche questa volta l’umanità è riuscita a rimediare ai propri errori, garantendo di nuovo un futuro alle prossime generazioni. Non sarà semplice né sereno, ma non ha dubbi sul fatto che anche gli uomini del decenni a venire sapranno rimboccarsi le maniche e trovare soluzioni per i problemi del mondo.

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Racconti brevi

Lucifero

Lucifero resta per qualche istante a bocca aperta. Ha inghiottito un insetto che lo stava infastidendo, ma il sapore che è divampato dentro di lui si è rivelato decisamente spiacevole.

Un bambino lo osserva senza capire la ragione del suo comportamento.

Il gatto se ne accorge e decide orgogliosamente di andarsene. Salta agilmente la recinzione del piccolo parco giochi di paese e riprende la sua strada.

In realtà, non ha una vera e propria direzione da seguire. Il suo istinto gli sta indicando i punti di riferimento a cui aggrapparsi, ma è abbastanza certo di non essere mai stato da quelle parti.

Il problema è nato alcune settimane prima, quando Giorgio, figlio non più giovane della sua padrona anziana e malata, ha deciso che curarsi di un gatto oltre che della salute della madre rappresentasse un impegno eccessivo.

Ha perciò attirato Lucifero in un trasportino, approfittando della sua attrazione fatale nei confronti dei bocconcini umidi di pollo.

Un’ora e mezza di miagolii sofferenti più tardi, il gatto ed il suo ricovero temporaneo si sono ritrovati in un bosco di montagna, luogo completamente sconosciuto e su cui di lì a poco è calato il sole.

Dopo un paio di giorni di paura e di stenti, Lucifero ha afferrato il coraggio a due zampe e si è messo in marcia verso quella che riteneva la direzione di casa.

Perché non c’è dubbio che la sua padrona abbia bisogno di lui.

Durante quei mesi di malattia, Lucifero aveva notato che l’anziana donna si animava quando vedeva il suo amato gatto avvicinarsi e ricoprirla di fusa. Lui aveva dovuto imparare, pur con rammarico, che lei non sopportava più che si acciambellasse sulle sue gambe. Cercava così ogni modo per stare a portata delle sue carezze senza esserle di peso.

Avevano insomma raggiunto un equilibrio perfetto, non fosse stato per la necessità di nutrirlo e di tenere la casa pulita. Un’incombenza a cui il figlio della signora non aveva più voluto provvedere.

Ora Lucifero, solo ma sempre meno impaurito dalla vita all’aria aperta, sta cercando con tutte le sue forze di ritrovare la via di casa per essere vicino a quella donna che aveva rappresentato tutto il suo mondo, sin da quando ne ha memoria. Non concepisce un futuro differente, deve tornare a quella villetta a schiera dalle mura delicatamente dipinte di rosa, con quel piccolo pezzo di giardino in cui lui si divertiva a rincorrere le farfalle in primavera, mentre la sua padrona rideva di gusto, seduta ad ammirarlo nel piacevole abbraccio dei raggi del sole.

Il gatto ha scoperto di sapersela cavare discretamente come cacciatore, perciò sente il bisogno di riposare dopo un pasto più abbondante del solito ed una mezza giornata di cammino.

Si mantiene il più possibile lontano dagli esseri umani, perché non vuole guai. Non ha vissuto esperienze particolarmente traumatiche con loro, tuttavia ha notato che non tutti sono amichevoli con la sua specie. Ha visto alcuni suoi simili cacciati in malo modo da persone apparentemente piacevoli, evidentemente infastidite senza apparente motivo. Meglio non correre rischi.

Non è però sempre possibile stare alla larga dall’uomo. Come dimostra il passaggio dal parco giochi di poco prima, ogni tanto non trova altro modo per seguire la sua direzione istintiva, che quello di attraversare un caseggiato.

Ora si è messo a dormire in un cespuglio. E’ vicino ad alcune case, ma non ha sentito odori pericolosi, perciò nel vicinato sembrano non esserci cani. Questa sicurezza lo spinge ad abbassare la guardia.

Dopo circa mezz’ora di riposo, alcuni ragazzini si accorgono di lui. Ridendo scioccamente sotto voce, si avvicinano silenziosamente a lui. Il più robusto del gruppo afferra Lucifero per la coda.

Il povero gatto si sveglia di soprassalto, estraendo istintivamente le unghie. Il mondo è sorprendentemente capovolto, e dalla sua prospettiva non riesce a capire cosa gli stia accadendo, finché non vede i ragazzini sghignazzanti di fronte ai suoi occhi.

«Ehi, Thomas, guarda che bel gatto nero che ho pescato. Gli facciamo fare un giro in bici?»

Lucifero, che deve il suo nome alla passione della sua padrone per il film di Cenerentola, e che con il predecessore a cartoni animati condivide il pelo bianco su pancia e zampe, ma non sulla punta della coda, non può ovviamente capire cosa stiano tramando quei giovani delinquenti. Sa comunque che non si tratta di nulla di buono, perciò si dimena come un forsennato per cercare di liberarsi dalla presa, sperando in tal modo di poter fuggire dalle loro grinfie.

La mano del ragazzo che lo trattiene per la coda è tuttavia troppo salda per potersi divincolare così facilmente.

«Gattaccio, vedi di darti una calmata. Goditi i tuoi ultimi minuti senza farti venire un colpo, altrimenti dobbiamo cercare qualche tuo fratello per divertirci.»

Con un paio di energici strattoni, il ragazzo scaccia via qualsiasi desiderio di fuga in Lucifero, che si appresta ad attendere il suo destino.

Mentre le risa dei giovani si fanno sempre più forti, il gruppo raggiunge alcune biciclette.

Uno dei delinquenti estrae dalla tasca una corda, sottile ma robusta. Perfetta per legare saldamente la zampa di un gatto ad una bicicletta.

«Claudio, tienimi fermo il gatto mentre lo lego, che se scappa mi sono preso almeno venti graffi per niente.»

Già, perché diverse unghiate da parte di Lucifero sono andate a segno, ma non hanno sortito alcun effetto.

Ancorato al posteriore di una delle biciclette, lo sventurato felino si ritrova di nuovo a non capire cosa stia per accadere, finché uno dei ragazzi non sale sul mezzo ed inizia a pedalare come un forsennato.

Lucifero lo rincorre disperatamente, ma quando la velocità diventa insopportabile, è inevitabile per lui perdere il passo e lasciarsi trascinare dolorosamente.

E’ così che finisce tutto?

Non vedrai mai più la sua padrona?

Dopo pochi istanti, il gatto perde i sensi.

Si risveglia diversi minuti più tardi, e ciò che si ritrova di fronte agli occhi lo sorprende. Un dottore lo sta visitando, come quell’antipatico che gli propina sempre delle punture dolorose vicino a casa della sua padrona.

«Fortunatamente non c’è nulla di rotto. Ha qualche escoriazione, ma niente di grave.»

Un uomo ha visto ciò che stava accadendo poco dopo l’inizio della folle corse. I ragazzini, scoperti, hanno lasciato bici e gatto e sono fuggiti per le strade del paese, permettendo all’ultimo arrivato di prestare i primi soccorsi allo sventurato felino. Viste le condizioni dell’animale, l’uomo ha ritenuto opportuno portarlo subito da un veterinario.

«Ha il chip di riconoscimento?»

«Sì, ma non so come, si è rovinato. Il codice è illeggibile.»

«Vorrà dire che farò felice mia figlia e lo porterò a casa con me.»

Nei giorni successivi, Lucifero viene curato ed accudito da una famiglia amorevole. La bambina di casa lo ha chiamato Tom, non conoscendo il suo nome originale. Il gatto si riprende piuttosto rapidamente, e per qualche tempo si sente di nuovo felice.

Un giorno, tuttavia, rimasto solo a casa dopo che gli umani sono usciti per i rispettivi impegni, si ritrova a guardare fuori da una finestra in cerca di qualcosa di interessante. Da lì scorge il profilo di un’alta torre che riconosce perfettamente: è molto vicina alla casa della sua padrona. A casa sua, a dirla tutta! La sua meta è ad un’oretta di distanza, non può arrendersi solo per qualche piacevole coccola, al di là della riconoscenza per quelle persone che lo hanno salvato da una situazione davvero terribile.

Cerca un modo per uscire, ma non trova nessuna via di fuga. Deve necessariamente aspettare il ritorno degli uomini.

Qualche ora di malinconica attesa più tardi, finalmente rientrano gli altri abitanti della casa. Lucifero, o Tom per quella amorevole famiglia, cerca di far capire che vorrebbe tanto uscire da quelle mura, ma sembra che non lo comprendano. La bambina, che si chiama Rita, è comprensibilmente interessata solo a giocare con lui. I suoi genitori sono impegnati a parlare fra di loro ed a preparare la cena. Nessuno sembra badare alla sua irrequietezza, forse pensano che si tratti solo della conseguenza della giornata trascorsa in solitudine.

Due ore più tardi, l’uomo di casa sta guardando la televisione. Rita è andata a dormire, mentre la madre sta ultimando le faccende domestiche.

Lucifero è sul davanzale, tristemente attratto dal profilo della torre.

L’uomo si accorge di lui.

«Cosa c’è la fuori, Tom? Mi devo preoccupare?»

Si avvicina al gatto per controllare che non ci siano dei malintenzionati all’esterno della casa.

«Non c’è nessuno. Cosa stai guardando così insistentemente?»

Lucifero capisce che è la sua grande occasione. Miagola insistentemente, indicando con la zampa la torre ed implorando l’uomo di farlo uscire.

Quest’ultimo capisce che non si tratta solo della voglia di andare a farsi una passeggiata. C’è molto di più.

«Hai riconosciuto casa tua?»

Il gatto non può intendere le sue parole, ma dal tono intuisce una dolcezza che lo fa sperare.

«Facciamo così: domattina, quando Rita sarà uscita, ti lascerò andare. D’accordo?»

L’uomo accompagna quelle parole con una carezza. Lucifero capisce che l’umano vuole creare un contatto per consolarlo, ma non comprende perché insista a tenerlo in casa.

La spiegazione arriva da sé la mattina successiva.

«Dirò a Rita che sono passati i tuoi veri padroni a prenderti. Spero per te che riuscirai davvero a ritrovarli. Coraggio, ora va’.»

Lucifero si strofina sulle gambe dell’uomo, riconoscente.

Esce finalmente all’aria aperta. Corre a perdifiato verso la torre, prestando attenzione agli ostacoli lungo la strada. Vede sfilare intorno a sé case e luoghi sconosciuti, ma via via diventano sempre più familiari, fino a quando non riconosce la strada di casa sua.

Eccola, con le sue mura rosa tenue.

Riesce come sempre a passare attraverso le sbarre della cancellata, raggiungendo la porta.

La trova chiusa, quindi inizia a miagolare insistentemente.

Ad aprirgli arriva Giorgio, il cui sguardo passa rapidamente dalla sorpresa alla rabbia.

«Cosa diamine ci fai tu qui?»

Lucifero soffia il suo disprezzo verso l’uomo che ha cercato di rovinargli l’esistenza. Rapidamente capisce però di dover raggiungere la sua padrone.

Si infila tra le gambe di Giorgio e corre verso la sala, dove abitualmente l’anziana donna trascorre le sue giornate. E’ tutto vuoto e troppo in ordine: cosa può essere successo?

Il gatto teme di essere arrivato troppo tardi.

Fortunatamente, sente la voce della donna prima di essere colto dallo sconforto.

«Giorgio, è arrivato qualcuno?»

E’ debole ed incerta, ma è sicuramente la sua, ed arriva dalla camera da letto.

Lucifero si precipita nella stanza e salta sul letto, dove il volto della donna passa dalla sofferenza ad un impeto di gioia.

«Lucifero, piccolo mio! Dov’eri andato? Pensavo che avessi abbandonato questa povera vecchia al suo destino.»

La signora si commuove, felice di avere ritrovato il suo fedele compagno.

«Vieni qui, sciocchino, e non lasciarmi mai più! Hai capito?»

Il gatto, pur non capendo una parola, manterrà la promessa.

Nelle settimane a venire, i medici noteranno un netto miglioramento nelle condizioni della donna. Lei non farà mistero della ragione: il suo affettuoso amico, che temeva di avere perduto per sempre, è tornato nella sua vita per regalarle la compagnia e l’affetto necessari ad affrontare le sfide del presente e del prossimo futuro.