La nostra prima gita di famiglia nella vibrante Bologna risale a sole tre settimane fa. Un tempo tuttavia più che sufficiente per raccontarvi quanto di incredibile è accaduto durante quel weekend, tuttavia riesco solo ora a venire a capo delle emozioni sperimentate.
Sabato mattina abbiamo trascorso un’ora abbondante girando tra i corridoi della collezione di zoologia, gestita dall’Università di Bologna. La visita è stata molto interessante ed intensa, grazie alla notevole varietà di esemplari presenti ed alle reazioni che hanno suscitato in noi.
Sara ha vissuto momenti molto distanti, passando dallo stupore per le dimensioni o l’aspetto di una specie animale, al dispiacere per la triste fine di una creatura che stimolava particolarmente la sua empatia. Infine, come spesso le accade, ha smarrito la capacità di concentrazione: con la scusa di scattare qualche fotografia, si è distratta con il mio smartphone.
Durante il resto della giornata non è più capito che tornasse sugli argomenti di quella visita, perciò non abbiamo minimamente considerato che potesse avere portato con sé qualche emozione particolarmente intensa.
Invece, durante la notte trascorsa nella camera di un hotel, mi sono reso conto di quanto si stesse agitando. Verso le quattro mi ha svegliato parlando nel sonno: sembrava prossima alle lacrime.
«Non voglio, non voglio!» continuava a ripetere.
Non avevo idea di cosa stesse sognando, era tuttavia chiaro che avesse bisogno di essere confortata. La abbracciai pertanto delicatamente, sperando di non svegliarla.
Non riuscii nel mio intento. Dopo qualche istante aprì infatti gli occhi, prendendosi alcuni secondi per capire chi avesse di fronte.
«Papà», disse con tono concitato ma mantenendo un volume appena udibile, per permettere alla mamma che riposava a breve distanza di continuare a dormire.
«Hai fatto un brutto sogno, amore mio?»
«No, non era un sogno, era vero!»
Doveva essere stata un’esperienza particolarmente scioccante per averla spinta a confondere sogno e realtà.
«Ora puoi stare tranquilla, sei qui con me. Cosa hai visto?»
«Ti ricordi i leoni?»
Pensavo che i busti di un leone e due leonesse avessero colpito solo me, grazie alla loro maestosità ed alla credibilità della posa in cui erano stati messi a disposizione dei visitatori. La loro teca era infatti fra le ultime della collezione, al secondo piano, pertanto molti ospiti, incluse mia moglie e mia figlia, rischiavano di arrivare in quel punto ormai stanche e poche predisposte per provare ulteriore stupore.
L’effetto su Sara doveva avere pazientemente covato nel suo subconscio, fino ad emergere con il favore delle tenebre e del sonno.
«Certo, me li ricordo benissimo. Sono venuti a trovarti in un sogno?»
«Ti ho detto che non era un sogno! Era vero!»
Per un attimo fui certo che sua madre dovesse essersi svegliata, considerato il tono di voce che nostra figlia aveva usato. Fortunatamente, si limitò ad agitarsi ed a voltarsi verso la parete opposta.
«D’accordo, ho capito, ma adesso calmati oppure sveglierai tutto l’albergo. Dimmi che cosa hai visto.»
Lessi la commozione nei suoi occhi, più della paura.
«Mi hanno detto che la loro anima è rimasta intrappolata nel museo, non sanno come andarsene e vogliono che io li aiuti. Papà, cosa posso fare?»
Il suo sguardo implorante a sostenere una richiesta così irrazionale, ma al tempo stesso così pregna di umanità, smosse in me un’urgenza di fare l’impossibile per aiutarla. Ma come?
«Sara, l’unica cosa che possiamo fare è guardarci un po’ di televisione, così forse riuscirai a tranquillizzarti e a dormire.»
Speravo che l’attrazione rappresentata dai cartoni animati la distraesse dalla sua priorità, figlia forse dell’agitazione dovuta alla mini vacanza. Mi sbagliavo.
«No, dobbiamo andare al museo, subito!»
«Cosa stai dicendo? E’ notte, fuori piove e fa freddo. Inoltre, l’esposizione è chiusa. Se vuoi, possiamo parlarne con la mamma domattina e ci allunghiamo lì prima di fare quello che avevamo in programma.»
«Non possiamo, mi hanno detto che di giorno non possono farsi vedere, e noi domani torniamo a casa!»
Mi presi qualche istante per riflettere. Come uscire da quella situazione?
Ricordai che la targhetta dei tre splendidi felini riportava come momento in cui si era concretizzato il loro triste destino un anno risalente a circa un secolo fa. Mentre mia figlia mi osservava, in attesa di una soluzione al suo problema, provai a pensare a cosa avrebbe significato restare intrappolati in un corpo imbalsamato per cento lunghissimi anni. Un brivido violento mi scosse.
«Allora, papà, andiamo?»
Penserete che sarebbe stata una follia assecondare le conseguenze di un incubo appena vissuto da una bambina. Eppure, Sara non aveva mai dato alcun cenno di faticare a distinguere tra sogno e realtà, e per quanto sia una giovane donna molto determinata, quella sua convinzione non mi lasciava affatto tranquillo.
Guardai verso mia moglie. Apparentemente stava ancora dormendo, nonostante il nostro vociare.
«Andiamo in bagno a cambiarci, veloce.»
Ho raccolto in giro per la stanza quanti più vestiti possibile, così che riuscissimo entrambi a ripararci con più strati nel caso in cui il tempo fuori si fosse dimostrato inclemente.
Chiusi nel bagno, abbiamo iniziato entrambi a ridere per l’assurdità della situazione.
Ero sollevato per la ritrovata serenità di Sara, ma non sapevo davvero cosa aspettarmi da me stesso per i minuti a seguire: cosa avrei fatto per tranquillizzarla, quando ci saremmo trovati di fronte le porte chiuse dell’esposizione? Come sarei riuscito a spiegarle che nulla di ciò che aveva sognato era reale?
Poco più tardi, passiamo davanti alla reception dell’hotel. Salutai senza guardare in volto la signora che doveva averci osservato sfilare di fronte a lei con occhi perplessi: se solo avesse chiesto dove fossimo diretti, probabilmente preoccupata per un possibile problema di salute, il semplice fatto di spiegarle qualcosa di vicino alla situazione che stavamo vivendo, me ne avrebbe fatta cogliere tutta l’assurdità.
Purtroppo, l’automobile non era un’alternativa percorribile: la distanza dal parcheggio in cui l’avevo lasciata era di poco inferiore a quella per raggiungere la nostra metà. Ci tocca va a camminare per una ventina di minuti. Una distanza accettabile, non fosse stato per l’orario e per la pioggerellina fredda e a vento che ci stava tormentando.
Alla fine, la passeggiata ci scaldo abbastanza da non patire troppo il clima.
Arrivammo davanti alle porte dell’esposizione, che è parte integrante dell’ università di Bologna, quando erano le cinque meno un quarto di domenica mattina.
«Vedi, sarà, a quest’ora è tutto chiuso.»
«Ok, come facciamo ad entrare?»
La schietta determinazione di mia figlia mi lascia per un istante senza parole: dovevo trovare il modo per non deluderla, pur facendole capire che non c’era proprio nulla di cui preoccuparsi, e che ciò che ci aveva portato i finali non era altro che un brutto sogno.
Mentre la mia mente vagava verso un profumato e caldo piatto di tortellini in brodo, spostavo lo sguardo lungo tutta la facciata dell’edificio per darle l’impressione di essere in cerca di un punto da cui passare per entrare.
Dopo circa tre minuti di perlustrazione (lo ammetto, avrei potuto impegnarmi di più) abbassa i sconsolato il volto verso sarà per comunicarle la nostra sconfitta punto ero pronto a consolarla cercando sulla via del ritorno un antipasto alla colazione dell’hotel, già di per sé piuttosto abbondante, ma che non ci sarebbe stato servita prima di un paio di ore.
Fu in quel momento che mi accorsi dell’espressione esterrefatta di mia figlia. Era completamente catturata da qualcosa che aveva visto al piano superiore, ma cosa?
Non appena si accorse di me, richiamò la mia attenzione verso il suo obiettivo.
«Papà, papà guarda lassù: c’è una leonessa alla finestra!»
Giuro che la sua convinzione nel sostenere quella follia mi spaventò dannatamente: che mia figlia fosse vittima di allucinazioni, o qualcosa di soprannaturale stesse realmente accadendo, in ogni caso dovevo prepararmi a gestire una situazione critica ed imprevedibile.
Alzai di nuovo lo sguardo verso le finestre sopra di noi, che avevo lasciato solo pochi istanti prima non cogliendo alcuna presenza. Certamente non potrete credermi: il volto etereo di una leonessa faceva capolino lassù, come se la presenza del fantasma di un felino fosse così naturale da potersi manifestare in bella vista di fronte ai pur rari passanti.
Il naso al cielo, cercai con la mano mia figlia per trascinarla via da quella follia, ma non la trovai: era già corso verso uno dei due portoni d’ingresso.
«Sara, dove stai andando?»
«Papà, vieni, entriamo!»
«Ma è tutto chiuso, dove pensi di andare?»
Come non detto: una serratura scattò rumorosamente e ripetutamente, lasciando via libera a mia figlia, che tuttavia si fermò dopo pochi passi per via dell’oscurità.
Arrivai dietro di lei per illuminarle i passi con la torcia del telefono, puntando la lampada in tutte le direzioni per capire chi potesse avere aperto la porta. Non vi sorprenderà più scoprire che non vidi assolutamente nessuno. Non sono un uomo particolarmente impressionabile, tuttavia devo ammettere che le decine di esemplari in mostra mi diedero la sensazione di essere sul punto di aggredirci da un momento all’altro. L’ormai certa presenza di forze al di fuori della mia comprensione aumentava l’effetto scenico, tanto che fui sicuro che un orso ci stesse silenziosamente seguendo.
Salimmo le ampie scale per arrivare al piano superiore, dove ricordavamo di avere incontrato i tre leoni. Gli ultimi passi furono i più impegnativi, per via della tensione che tratteneva entrambi dal conoscere il nostro destino.
Voltando la testa verso destra, scorgemmo una luminescenza che si propagava sopra ad una teca. Non c’era alcun dubbio, si trattava della nostra destinazione.
Trattenni la mia coraggiosa e smaniosa figlia dal correre verso un pericolo ignoto.
«Aspetta, lascia andare avanti me, non sappiamo cosa ci aspetta.»
«Sì che lo sappiamo.»
«Vero, ma questo non mi rende certo più tranquillo.»
Avanzammo lentamente, misurando i passi.
Giungemmo sul lato sinistro della teca, da dove potemmo cogliere il profilo della prima leonessa. Sembrava perfettamente immobile nella sua immutabile ed eterna posa. Ciò avrebbe dovuto tranquillizzarmi, ma il bagliore violaceo che si percepiva chiaramente all’interno dei vetri, pur in assenza di qualsiasi tipo di illuminazione, non poteva certo essere ignorato.
Arrivammo di fronte ai tre maestosi felini. Sara sorrise mettendosi le mani davanti alla bocca, quindi agitò la mano come a ricambiare un saluto. La guardai perplesso, perché a parte la luminosità misteriosa, non coglievo nulla di strano e tantomeno di soprannaturale.
Lei si voltò verso di me: «Papà, non li senti?»
«Assolutamente no. Non sento nessuna voce e non vedo bocche muoversi.»
«Ma no, stanno parlando con la mente!»
«E cosa ti stanno dicendo?»
«Che se vuoi sentirli anche tu, devi guardarli dritto negli occhi.»
Non avrei dovuto dubitare di mia figlia, soprattutto dopo avere chiaramente visto il fantasma di una leonessa alla finestra. Credo sia tuttavia normale diffidare di una materia misteriosa e facilmente mistificabile come il paranormale.
Mi sforzai pertanto con poca convinzione di spostare lo sguardo sugli occhi del leone al centro della ricostruzione. Da quel momento, nulla per me fu più come prima.
“Tu devi essere il padre di Sara.”
La voce profonda che giunse direttamente al mio cervello mi fece sobbalzare. Non potevo più restare ancorato alle mie vecchie condizioni: quelli di fronte a me erano spiriti intrappolati nei corpi di vecchi leoni, catturati in Africa un secolo prima, e si stavano rivolgendo a noi. Proprio come aveva detto mia figlia al suo risveglio.
«Sì, sono io», mi affrettai a rispondere.
«Papà, con la mente, non con la voce!»
Sgridato da una bambina di otto anni per la mia ingenua interazione con un fantasma. Davvero patetico.
“Chiedo scusa, non mi era mai capitato prima di rivolgermi ad un’altra creatura senza emettere suoni.”
Fu la leonessa di destra a tranquillizzarmi: “Non ti devi preoccupare, è perfettamente normale. Altri al vostro posto sarebbero fuggiti terrorizzati. Dovete essere orgogliosi del vostro coraggio.”
Sorridemmo, abbracciandoci per sublimare quel complimento.
Dopo qualche istante di silenzio, fui io a prendere il controllo della conversazione: “Siete venuti a cercare mia figlia in sogno: cosa possiamo fare per voi?”
Rispose la leonessa di sinistra, o quantomeno così mi parve di intendere, considerato che non muovevano la bocca: “Quando siete passati di qui ieri mattina, abbiamo capito che in voi risiedono sentimenti fuori dal comune, anche se forse non siete in grado di capirlo. Siamo intrappolati qui ormai da troppo tempo, abbiamo bisogno di lasciare che le nostre anime trovino la pace.”
Il leone spiegò più concretamente la loro richiesta: “Dove tornare con noi in Africa, al momento della nostra fine come esseri viventi. Dovrete convincere il cacciatore a non farci del male, così che l’odio ed il disprezzo che ha caratterizzato i nostri ultimi istanti di vita si disperda, ed i nostri spiriti possano proseguire il loro viaggio.”
Sara aveva un dubbio molto razionale: “Come facciamo a tornare indietro nel tempo, e soprattutto in Africa?”
“Sarà un viaggio della mente, ci vorranno pochi istanti.”
La mia preoccupazione era invece ben differente: “E se il cacciatore non ci desse retta, ed anzi dovesse farci del male?”
I tre leoni non risposero.
Conclusi io il loro pensiero: “Anche i nostri spiriti sarebbero destinati a vagare per l’eternità.”
La leonessa di destra mostrò tutta la sua profonda tristezza: “Hai perfettamente ragione, è un sacrificio enorme quello che vi stiamo chiedendo, ma voi siete esseri umani, e siamo sicuri che il cacciatore vi starà ad ascoltare. E se anche non lo facesse, non oserà farvi del male.”
Era davvero troppo da rischiare, soprattutto perché avrei portato Sara con me. Se anche l’avessi tenuta nascosta, qualora mi fosse accaduto qualcosa l’avrei lasciata completamente sola.
“Mi dispiace. Lo dico con tutto il cuore, ma non posso mettere a repentaglio la vita di mia figlia.”
Anche se le espressioni dei tre volti di fronte a noi non mutarono, ebbi la netta impressione che fossero stati avvolti dalla tristezza per l’impossibilità di darmi torto.
All’improvviso, la leonessa di sinistra intervenne: “Ho un’idea: il nostro branco proteggerà Sara! Quel giorno c’erano oltre venti leoni con noi. E poi, chissà: vedere una bambina in mezzo a noi potrebbe stupire così tanto il cacciatore da convincerlo a non sparare.”
Mia figlia intervenne in loro supporto, con la tipica incoscienza infantile: “Papà, ti prego, non mi succederà niente di male!”
Riflettei per qualche istante, prima di rispondere: “Ci ritroveremo nel pieno dell’attacco?”
Il leone mi rassicurò: “Assolutamente no, con uno sforzo di memoria da parte di tutti e tre riusciremo a riportarvi una decina di minuti prima che tutto accada. Noi riprenderemo possesso dei nostri corpi e vi aiuteremo, anche se non potremo più parlarvi con la mente.”
“Bene, dovrei poter scorgere il cacciatore che si avvicina ed andargli incontro prima che tutto si compia. E se dovesse ignorarmi, qualcuno di voi dovrà attaccarlo alle spalle.”
“D’accordo, il piano ci piace.”
Sara era eccitatissima, mentre ero in preda al timore di essermi fatto coinvolgere in qualcosa di troppo grande e lontano dalle mie esperienze.
Dopo un paio di minuti di profonda concentrazione, la luce violacea si diffuse per tutta l’aria intorno a noi, divenendo una vera e propria nebbia colorata.
Quando svanì, ci ritrovammo nella savana africana. Ci sorprese un sole non eccessivamente caldo ma decisamente più intenso rispetto alla penombra della sala da cui provenivamo.
Intorno a noi, prati a perdita d’occhio e qualche sparuto albero. Ad un centinaio di metri di distanza riuscii a scorgere il branco.
Quattro leonesse e due leoni si staccarono dagli altri per venirci incontro. Se avessero perso il controllo, non sarei riuscito a proteggere mia figlia.
Fortunatamente, non si mostrarono per nulla aggressivi, anzi: ci annusarono ed iniziarono a giocare con Sara, come cuccioloni divertiti dalla presenza di un nuovo amico umano.
Nel frattempo, guardavo in ogni direzione per cogliere segni dell’arrivo del cacciatore. Non c’erano molti punti in cui nascondersi e sparare da distanza, e forse la nostra presenza aveva persuaso l’uomo già appostato ad andarsene.
Vidi improvvisamente una jeep arrivare da dietro una collina. Spense il motore non appena colse la presenza del branco. Un uomo caucasico ed una probabile guida del posto scesero silenziosamente, imbracciando un fucile a testa.
Come promesso, Sara si allontanò scortata verso il gruppo, mentre io mi incamminavo incontro ai miei simili.
“Buongiorno, signori.”
Il cacciatore mi squadrò dalla testa ai piedi: “Chi siete? E come siete vestito?”
Per fortuna si trattava di un italiano.
“Vengo dal futuro, se siete disposto a crederlo, e questo un normale abbigliamento dei nostri tempi. Ora, vi devo chiedere un’enorme cortesia: dovete lasciare in vita quei leoni. Fra diversi anni da oggi, molte specie nella meravigliosa Africa rischieranno di scomparire a causa della caccia. Potrà sembrarvi poca cosa la cattura di qualche esemplare, ma come voi esistono diverse persone che per pura sfida stanno decimando queste maestose creature.”
“Non credo ad una sola parola di quanto state dicendo. Lasciatemi passare, e badate a non distrarre i leoni con il vostro cianciare, o vi ci lascio in pasto.”
“Pensate che abbia bisogno della vostra protezione? La vedete la bambina laggiù? E’ mia figlia. Il branco l’ha accolta, non abbiamo nulla per cui temere.”
“Non dite assurdità. Eppure… E’ proprio una bambina. Straordinario, com’è potuto accadere?”
“Abbiamo fatto in modo che i leoni non ci percepissero come una minaccia, né come una preda, ma solo come creature amichevoli.”
L’uomo rise fragorosamente: “Ora ne ho sentite a sufficienza. Non so quale stregoneria stiate architettando, ma quelle belve così mansuete da non cacciare una bambina indifesa saranno una più che facile preda.”
Il cacciatore mosse due passi verso un albero, dietro al quale aveva intenzione di posizionarsi per un colpo con ottima visuale.
Non feci in tempo ad avvertirlo del rischio che stava correndo: il leone che aveva chiesto il nostro aiuto arrivò alle sue spalle, disarmandolo e ruggendo tutta la sua rabbia.
Guardai negli occhi la sua guida, ai cui fianchi era arrivato un altro felino dall’imponente criniera: “Fossi in te, lascerei cadere il fucile.”
Non capì le mie parole, ma ne colse perfettamente il senso.
In men che non si dica, entrambi furono sulla jeep avviata a folle velocità verso la collina da cui erano venuti.
L’intero branco ruggì festoso, grato per il rischio che era stato evitato.
Sara mi corse incontro, orgogliosa: “Papà, sei stato bravissimo!”
“Grazie, ma senza l’aiuto di queste incredibili creature, non sarebbe stato affatto così semplice.”
Ci abbracciammo, quindi tre leoni ci vennero incontro per ringraziarci, pur se a modo loro. Appoggiamo le nostre fronti alle loro, ritrovandoci dopo pochi istanti di nuovo all’esposizione, avvolti nella nebbia violacea che si estinse completamente.
Un eco si spense lentamente nell’aria: “Grazie, e addio…”
Riuscimmo nell’impresa di uscire senza farci arrestare dalla polizia, tornando in albergo dove ormai si stava servendo la colazione. Telefonai in camera, convincendo mia moglie ad alzarsi ed a scendere.
Arrivò da noi piuttosto innervosita per la brusca sveglia.
«Scusate, ma dove eravate finiti?»
Io e Sara ci guardammo in volto, sorridendo complici: «Non si può dire, e anche se lo facessimo non ci crederesti.»
«Spero per voi che abbiate dormito a sufficienza, perché oggi vi toccherà camminare parecchio.»
Il nostro umore crollò all’istante, ma in fondo anche la domenica fu piacevole, pur se stancante.
Tornammo a casa quella sera stessa, addormentandoci un secondo dopo avere toccato il cuscino.
Ho deciso di mettere nero su bianco questa incredibile avventura al solo scopo di non lasciare che il ricordo si perda nel tempo, so perfettamente che nessuno fra coloro che leggerà queste pagine crederà ad una sola parola. Non ha importanza, è sufficiente che le emozioni che ho lasciato trasparire vi siano almeno in parte arrivate, e che rimangano con noi per sempre, nella speranza che i tre leoni incontrati alla collezione di zoologia di Bologna possano avere trovato finalmente la pace.