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Racconti brevi

Il Mago del panino

Padre e figlia, in cerca di una cena dopo la serata di halloween, si imbattono in una strana e misteriosa coppia che si offre di preparare loro dei panini molto particolari.

«Forza, Cloe, è ora di prepararci!»

È iniziata con una frase scontata e prevedibile, la nostra incredibile serata di Halloween.

In verità, il punto di partenza è arrivato dalla passione per i social di mia moglie, tramite i quali ha scoperto che in una frazione del paese vicino al nostro si tiene da anni l’evento Ruginelloween. Le vie vengono chiuse ed allestite per celebrare una festa esplosa negli Stati Uniti del XX secolo, e che negli ultimi anni ha preso piede anche da noi. Vengono realizzati nelle corti più spaziose degli spettacoli di intrattenimento non solo per i più piccoli, inoltre i giardini vengono addobbati ed arricchiti da figuranti per sorprendere i partecipanti.

Non sapevamo davvero cosa aspettarci, essendo la nostra prima occasione, ma prima di scoprirlo era necessario provvedere al travestimento.

Mentre mia figlia ha scelto di puntare sul tema Dìa de muertos, io mi sono ritrovato per le mani un’improbabile capigliatura alla Pennywise. Finito di dipingere i rispettivi volti e constatato quanto lei fosse assolutamente adorabile, ed io prevedibilmente ridicolo, siamo saliti in macchina per coprire la breve strada verso la sede dell’evento.

Ci siamo ritrovati nel bel mezzo di una folla composta da bambini e ragazzi entusiasti, genitori incuriositi ed altri adulti senza minori ma desiderosi di trascorrere una serata diversa dalle solite.

Cloe si è unita con piacere all’eccitazione dei coetanei. Abbiamo passeggiato fra le attrazioni con andatura accelerata dalla frenesia di scoprire quanto ci fosse di spaventoso, oppure semplicemente di divertente.

Abbiamo così ammirato piccoli cimiteri animati da zombie, scimmie ballerine rese folli dall’oscurità improvvisa, il laboratorio del Dottor Frankenstein, carrellate di favole dedicate ad Halloween e tanto altro.

La nostra visita, iniziata nel tardo pomeriggio, si è protratta fino all’orario di cena. Gli altri ospiti non hanno certo aspettato noi per mettersi in fila ai punti di ristoro, perciò ci siamo ritrovati di fronte una coda di persone affamate ad ogni attività che abbia solleticato il nostro palato.

«Papà, io ho fame, e ho anche freddo.»

Cloe ha ragione a lamentarsi, sono ormai le otto e mezza di sera e, grazie al passaggio all’ora solare, il suo organismo è abituato a considerarsi un’ulteriore ora in avanti. In più, il fresco serale unito all’umidità per la pioggia di quel pomeriggio non rendono certo piacevole l’attesa.

Prendo perciò nuovamente in mano la mappa dell’evento. Mi cade l’attenzione su di un fantomatico Mago del panino, probabilmente un ambulante fra i tanti presenti, in una posizione un po’ più defilata rispetto alla piazza in cui si sono concentrati gli altri colleghi.

«Vieni, andiamo a vedere se qui si riesce a prendere un hot dog senza dover aspettare troppo tempo.»

Cloe non è molto convinta, ma mi segue pazientemente.

Percorriamo con passo spedito la distanza che ci separa dalla nostra meta. Questo sia per la fame e la voglia di scoprire se avremo soddisfazione, sia per togliere l’umidità dalle articolazioni e che sta facendo tremare mia figlia da qualche minuto. Forse le calze collant non sono state una grande idea, ma per un travestimento ben riuscito sono spesso necessari dei compromessi rispetto al confort.

Raggiunto il punto che ho individuato sulla piantina, non troviamo nulla. È una via di forte passaggio fra due delle attrazioni principali, a poca distanza da un bar aperto per l’evento, perciò non mi aveva stupito trovare quel riferimento in una zona lontana da altre rivendite di panini o pizze, ma certo mi sorprende il fatto di non trovare assolutamente nulla in corrispondenza del numero 21.

«Papà, qui non c’è niente! Io ho fame, e non ho voglia di camminare di nuovo indietro fino alla piazza per fare la coda.»

«Cloe, non abbiamo molte alternative. È possibile che nel frattempo le file siano diminuite. Altrimenti, torniamo a casa e ti preparo qualcosa al volo.»

«Ma perché il signore dei panini se n’è già andato via? C’è ancora tanta gente alla festa.»

«Non lo so davvero, ma se provo a pensare a quando siamo passati di qui un’ora fa, in effetti non mi ricordo nessun ambulante. Forse ha avuto un problema e non è proprio riuscito a venire. Vorrei essermene ricordato quando abbiamo lasciato la piazza.»

Mi guardo intorno per qualche istante, mentre mia figlia sconfortata aspetta che sia io a prendere una decisione.

Poi, l’attenzione di Cloe si sposta su di un particolare.

«Papà, guarda, c’è il numero 21 su quella casa.»

Mi volto verso la villetta che ha attirato la sua attenzione, proprio accanto a dove avremmo dovuto trovare il Mago del panino.

«È il numero civico, è un caso che corrisponda con il riferimento sulla mappa.»

«Ma no, papà, quello che dici tu è lì sul cancelletto, questo è stato messo per la festa!»

«Hai ragione, ma è solo una decorazione, ti dico che non c’entra con quello che stiamo cercando.»

Qualcosa, tuttavia, mi spinge ad avvicinarmi a quel quadrato colorato di arancione con una scritta nera a contorni bianchi. Sopra al numero campeggiano infatti alcune parole.

“Il mago del panino”

«Hai visto, papà?»

Cloe è arrivata a fianco a me per leggere il piccolo cartello. Che senso ha tutto ciò? Non c’è nessuna scritta più evidente che attiri l’attenzione dei clienti, inoltre le luci della villetta sembrano completamente spente.

«Deve essere uno scherzo, anche perché non avrebbero proprio motivo di allestire un’attrazione senza farla trovare ai visitatori. O forse volevano mettersi sul marciapiede i proprietari della casa, ma alla fine hanno rinunciato.»

Non so proprio cosa pensare, ma in fondo non ha importanza: è la conferma che in quel luogo non c’è una cena per noi.

«Proviamo a suonare il citofono?»

Cloe non demorde. Vede quell’ultima possibilità come estremamente più desiderabile rispetto ad una nuova coda, oppure al rientro a casa dove ci aspetterebbero gli avanzi del pranzo o al più una minestra. La donna di casa è infatti volata a trovare un’amica in un’altra regione, perciò non potrebbe assisterci con una cena d’emergenza.

«Non ho voglia di disturbare queste persone, penseranno che siamo due impiccioni che hanno deciso di ignorare la festa per fare dolcetto o scherzetto per le strade del paese.»

«Allora suono io.»

Mia figlia allunga decisa il dito verso il citofono, su cui noto solo allora che al posto del nome dei proprietari, si può leggere molto in piccolo quello dell’attività misteriosa.

Percepiamo in lontananza il suono attivato da Cloe che si propaga per la casa di fronte a noi.

Mentre sto per comunicare con un certo sollievo alla giovane stanca ed affamata accanto a me che non c’è nessuno nell’abitazione, una voce dal timbro profondo ci accoglie con un semplice, lento e trascinato: «Sì?»

Un brivido mi corre lungo la schiena, ma in fondo siamo ad Halloween, sicuramente anche quell’uomo si è fatto prendere dal tema del giorno.

Mia figlia non è minimamente turbata dalla situazione.

«Signor Mago del Panino, posso avere un hot dog?»

Qualche istante ci separa dalla risposta, che in effetti non arriva dalla sua voce, ma dallo scatto di apertura del cancelletto.

Cloe entra senza esitazione, mentre io mi guardo intorno. La via è insolitamente deserta, pur se fino a pochi minuti prima c’erano ancora diverse persone di passaggio verso le attrazioni della zona.

Come se ci trovassimo in un film horror si serie B, la porta d’ingresso si apre cigolando rumorosamente. All’interno, quello che sembra essere un salotto è buio, e nessuno sembra essere arrivato ad accoglierci.

Il bisogno di proteggere mia figlia mi spinge a voltarmi verso la direzione da cui siamo arrivati.

Mentre sto per appoggiare una mano sulla spalla di Cloe, la stessa voce che avevamo udito al citofono mi costringe a girarmi di nuovo su me stesso. Giunge dalla scala che porta al piano superiore, unitamente ad un volto illuminato da una torcia in una classica zucca di halloween. Molto scenografico.

Può sembrare assurdo, ma a quel punto ho iniziato a rilassarmi: quei riferimenti alla ricorrenza che si festeggiava quella sera erano così evidenti e scontati, che accettai di essere semplicemente entrato nella migliore rappresentazione che avessimo incontrato quella sera. Era davvero un peccato che fosse così mal segnalata, ma forse si trattava di un modo per evitare che si formassero cose rumorose, rendendo molto meno efficace l’atmosfera.

«Buonasera. Perdonate la scortesia dell’accoglienza al buio, purtroppo la lampadina si è fulminata poco fa ed a causa dei festeggiamenti non ho modo di lasciare il paese, se non questionando con le nostre validissime forze dell’ordine. Rimedierò domani, ma nel frattempo vi devo chiedere di seguirmi al piano superiore.»

Osservo per un istante quell’uomo che ci precede sulla scala. Sarà alto un metro e novanta, una sparuta capigliatura nera in ciuffi sopra le orecchie, una corporatura esile nel costato e nelle gambe, ma piuttosto importante nel ventre. Lo vedo claudicare leggermente, parendo soffrire nell’appoggio della gamba destra.

Cerco di immaginarlo saltellare dietro al bancone di un furgone per la ristorazione ambulante, intento a servire giovani clienti in piena notte con fare spiccio ed un po’ di sana ironia: l’esatto opposto della messinscena a cui stiamo assistendo, perfetta antitesi recitativa del suo reale essere.

Raggiungiamo il piano superiore, dove veniamo investiti da un profumo di carne che rosola in padella.

«Anita, ci sono clienti», annuncia stancamente l’uomo verso la cucina, da cui fa capolino una curiosa signora dagli ampi riccioli rossicci, con spessi occhiali ed un sorriso reso inquietante dalla manciata di denti sfortunatamente rimastile. Evidentemente sono entrambi maghi del panino, pur con funzioni differenti.

«Benvenuti! Accomodatevi, prego, prego!»

La signora, che deve avere un’altezza poco superiore a quella di mia figlia, non accenna ad abbandonare il suo piccolo regno, restando a seguire i nostri passi verso la tavola da pranzo con la sola testa sporgente dall’uscio.

Il nostro singolare cameriere riprende ad interessarsi a noi, che nel frattempo abbiamo tolto le giacche e le abbiamo appoggiate alle nostre sedie, grazie ad un piacevole tepore che giunge dalla stufa a pellet.

«Cosa possiamo umilmente servirvi, signori?»

Cloe risponde con entusiasmo. Nonostante la prima vista dell’uomo l’avesse fatta rabbrividire, la fame le ha imposto di riprendere il controllo sulle sue emozioni. In fondo, si tratta solo di una messinscena.

«Io vorrei un hot dog ed una lattina di coca, per favore!»

Evidentemente un minimo di timore reverenziale deve esserle rimasto, perché è la prima volta da mesi che le sento utilizzare un’espressione educata con uno sconosciuto.

L’uomo la guarda dritta negli occhi, mentre risponde: «Molto bene, signorina, devo solo avvisarti che potresti trovare il würstel differente rispetto al solito, perché lo produciamo artigianalmente, ma non dubito che lo gradirai.»

Rifletto sul fatto che una battuta sulla salsiccia fatta con le dita di un bambino, oppure sulla cola al sapore di sangue, avrebbero completato l’atmosfera prevedibilmente costruita nella direzione in cui una bambina se lo sarebbe aspettato. Cloe ha comunque troppa fame per risentirsene, perciò annuisce con vigore, anche se inizio a temere che mi ritroverò a dover finire il suo hot dog artigianale.

«Per lei, signore?»

Decido di provocarlo oltre quanto il mio carattere consentirebbe: «Si potrebbe gustare il manicaretto di cui sentiamo il profumo? Oppure si tratta della vostra cena?»

L’uomo resta per un istante a bocca aperta, volgendo lo sguardo verso la moglie che adotta la stessa espressione stupita ed incerta su come gestire la situazione.

Mi affretto a toglierli d’impiccio: «Non vi preoccupate, stavo solo scherzando, scusatemi. Poiché temo che mia figlia non finirà il suo panino, vi chiedo solamente di prepararmi qualcosa di diverso: cosa avreste che vi sia di minor impiccio possibile?»

Una lieve e nervosa risata esce dalla bocca dell’uomo prima che possa rispondermi: «Non si deve scusare. È solo che si tratta di una ricetta un po’ particolare, con un ingrediente che custodiamo gelosamente. Di fatto sembrerebbe solo carne trita, ma le assicuro che qualora volesse provarla e dovesse piacerle, non potrebbe farne a meno.»

«Mi sta tentando, ma non volevo mettervi in difficoltà come avevo l’impressione di avere fatto con la mia richiesta.»

Un sorriso si apre sulle sue labbra, anche se lo sguardo nei suoi occhi sembra comunicare tutt’altra disposizione d’animo: «Se ci ha visti esitare, è solo perché molte persone poco avvezze alla sperimentazione di nuovi gusti non apprezzano questo piatto. Se tuttavia lo vuole comunque provare, possiamo servirglielo semplicemente saltato in padella ed accomodato in un panino insieme a due fette di peperone del nostro orto, preparato in agrodolce.»

È forse più probabile che sarò io a non finire quanto mi ritroverò nel piatto, ma ormai il dado è tratto. Accetto pertanto la proposta, accompagnandola con una birra commerciale in bottiglia.

Ci rendiamo conto di avere toccato più volte il trucco con le dita, perciò chiediamo di poter usare il bagno. Per fortuna, almeno quella porta sembra non cigolare rumorosamente.

Mentre attendo che mia figlia finisca di lavare le mani, do un’occhiata fuori dalla finestra, restando perplesso.

«Lì non c’era la strada da cui siamo venuti?»

Cloe si affaccia al vetro: «Hai ragione, non c’era nessun bosco da quella parte. Papà, cos’è successo?»

Mi piacerebbe avere certezze per mia figlia, ma non mi è davvero possibile: «Non lo so, piccola, non lo so davvero. Forse abbiamo perso l’orientamento salendo la scala, ma non mi sembra proprio che dietro questa villa si aprisse un parco.»

Usciamo dal bagno perplessi, dopo che ho chiesto a Cloe di non fare domande alla curiosa coppia che ci sta ospitando. Sicuramente c’è una spiegazione per quella stranezza, ma quelle persone stanno alimentando un folkloristico condizionamento mentale a cui non voglio fornire alcun ulteriore assist.

Pochi istanti più tardi, le nostre portate escono dalla cucina e vengono servite in eleganti piatti di ceramica, contrastanti con la semplicità delle pietanze. Anche le bibite vengono versate in raffinati calici di cristallo lavorato, i contenitori originali posati accanto su elaborati sottobicchieri in pizzo a testimoniare la provenienza originale delle bevande.

Vorrei assaggiare l’hot dog di Cloe per sincerarmi che non si tratti di nulla di pericoloso, ma non ne ho il tempo: lei lo ha addentato pressoché nell’istante successivo all’arrivo a tavola.

La prima espressione che leggo nei suoi occhi è puro disgusto, tanto che mi concentro su quali siano le mie opzioni per evitare una brutta figura, qualora stia per rigurgitare il boccone. Un battito di ciglia più tardi, mia figlia spalanca gli occhi in preda a pura estasi.

«Ma è buonissimo!»

Il nostro cameriere si apre in un ampio sorriso accompagnato da un accenno di inchino: «Sono contento che sia di tuo gradimento.»

Bene, sembra che in fondo non ci sia nulla da temere.

Il mio panino è indubbiamente invitante. Il profumo che risale dal ragù mi riporta ai pranzi della domenica in famiglia, mentre i peperoni dell’orto in agrodolce mi attraggono per scoprirne la costellazione di sapori. Il pane di farina integrale pare fresco e fragrante, nonostante l’umidità del giorno.

Prendo un ampio morso, riempiendomi la bocca di sapori. Una spezia sembra fare capolino, desiderosa di emergere ma incapace di farsi riconoscere: deve essere il famoso ingrediente segreto. Sono stupito, decisamente stupito. Si tratta di un panino all’apparenza semplice, ma che trabocca di sapori contrastanti eppure così in armonia fra di loro.

Alzo lo sguardo verso il nostro ospite, non appena la masticazione mi consente di parlare: «Devo essere sincero, non ho mai assaggiato un panino più buono. E dire che negli ultimi anni la cultura del cibo mordi-e-fuggi è cresciuta in qualità, ma qui siamo su tutt’altra categoria.»

In un cantuccio della mia mente cercano di emergere i timori predominanti fino a poco prima, ma ora sono completamente subordinati alla nuova priorità: appagare il palato con quella assoluta meraviglia.

Guardando Cloe, mi accorgo che anche lei sta provando sensazioni simili alle mie. Temo che il prezzo di quelle portate sarà notevole, altrimenti non potrebbero giustificare la qualità della materia prima, ma ne varrà assolutamente la pena. Le riflessioni sulla mancanza di insegne evidenti, sul fatto che ci troviamo nel salotto di casa loro, sulla mancanza di qualsiasi forma di ufficialità quale un menu o un cassa finiscono in secondo piano.

I nostri piatti si concludono. Sia io che Cloe viviamo un momento di totale soddisfazione: sembra infatti che anche le quantità siano state perfette, sufficienti a saturare il bisogno di sfamarci ma senza appesantirci negli ultimi morsi.

Avrei mille domande da fare all’uomo per lodarlo sulla loro abilità in cucina, ma anche questi spunti vengono bloccati dal mio stato cosciente.

Cala pertanto un silenzio sempre più imbarazzato, per colpa di quella mia incapacità di formulare ulteriori pensieri. Inizio a sentirmi vagamente angosciato, perché c’è qualcosa di poco naturale in quella opposizione interiore al flusso spontaneo del mio ragionamento.

Guardo l’uomo in piedi di fronte a noi, per coglierne qualche espressione o segno che possa aiutarmi a capire se stia accadendo qualcosa di cui dovrei preoccuparmi.

Quando i nostri sguardi si incrociano, lui riprende a parlare con voce vellutata: «Bene, spero che la cena sia stata di vostro gradimento. C’è altro che possiamo fare per voi?»

Il nostro misterioso cameriere sta chiaramente chiedendoci di concludere la nostra visita, ma non ho nessuna obiezione a riguardo.

«La ringrazio, va benissimo così.»

Poi, un barlume di lucidità fa breccia nella mia mente evidentemente ottenebrata, tentandomi all’idea di metterlo in difficoltà: «Se vuole lasciarmi qualche riferimento, sarei felice di farvi pubblicità.»

Lui alza lo sguardo verso di me, dopo averlo abbassato per raccogliere i piatti ormai desolatamente vuoti.

«Non si deve preoccupare, non amiamo essere cercati, sappiamo farci trovare da chi riteniamo meriti la nostra cucina.»

Non saprei dire cosa sia passato fra gli occhi e le righe d’espressione di quella strana creatura: orgoglio? Fastidio? Eppure, in fondo si tratta di un complimento, se è vero che siamo stati ritenuti meritevoli di provare i loro piatti.

«Come preferisce. Posso pagare questa deliziosa cena, così togliamo il disturbo?»

«Prego, seguitemi.»

L’uomo passa i piatti alla moglie, che ci saluta con la mano libera mentre la testa riccioluta esprime nuovamente la sua felicità di averci avuti come ospiti.

Seguiamo il padrone di casa lungo le scale, dopo che la lanterna a forma di zucca è stata recuperata da una mensola. Invece di fermarci al piano terreno, l’uomo prosegue svoltando di centottanta gradi, iniziando un’ulteriore discesa.

«Mi scusi, dove stiamo andando?»

«Venite, venite, non abbiate timore: teniamo la cassa al piano di sotto perché di tanto in tanto organizziamo festicciole quaggiù.»

Forse avrei visto la parvenza di un locale dove accogliere dei clienti. Mi avrebbe indubbiamente restituito un po’ di fiducia in quella che all’inizio era parsa come una messinscena, ed era proseguita come un’attività di alto livello ma allo stesso tempo del tutto improbabile, senza il minimo interesse per l’acquisizione di clientela.

Entriamo dietro l’uomo, che deve abbassare la testa per fare il suo ingresso dalla porta in quella che ha l’aria di una semplice ma ampia taverna.

Lì sotto la luce fortunatamente funziona. Troviamo due tavoloni di legno semilavorati, perfetti per una serata conviviale, con panche larghe e di pregevole fattura che probabilmente non rovinano la cena con la loro scomodità come le loro versioni più a buon mercato. Sul lato della stanza, un miscelatore per birre alla spina mi fa desiderare di organizzare un evento in quel luogo, perché no: potrei tenere lì la festa per l’uscita del prossimo romanzo, che in quel momento prevedo per una quarantina di giorni più avanti.

«Papà, non mi sento molto bene, mi fa male la pancia.»

Cloe mi distrae con la sua vocina supplicante. Evidentemente, il freddo patito prima di cena deve avere avuto il suo effetto.

«Vieni, piccola, ti accompagno io in bagno al piano di sopra.»

Con mia grande sorpresa, la moglie del nostro accompagnatore è giunta alle nostre spalle esattamente nel momento in cui c’è bisogno di lei. Ancora più difficile a credersi, mia figlia le ha dato la mano senza esitazioni ed è salita con lei verso il bagno.

Sto per fare un passo verso di loro, quando il padrone di casa mi mette una ferma e decisa mano sulla spalla: «Possiamo parlare del pagamento?»

Parlare? Di cosa dovremmo discutere? Il conto sarà forse relativamente salato, ma non è certo nulla che non mi possa permettere per due panini e due bibite. Anche perché, in caso contrario, una bella denuncia non gliela risparmierei sicuramente.

«Quanto le devo?»

«Caro ospite, lei certamente ha letto quanto chiaramente riportato nel nostro menu, voglio sperare.»

Eccoci, è arrivato il momento di litigare. Spero solo di riuscire a risalire verso mia figlia in pochi istanti.

«Non so di cosa stia parlando. Mi lasci andare da mia figlia.»

Do uno strattone con la spalla per svincolarmi dalla sua presa. La sua voce non accenna ad arrestarsi, trattenendomi in quella taverna.

«Sua figlia sta perfettamente bene, mal di pancia permettendo. Ma le assicuro che non è colpa della nostra cena. Mi permetta di mostrarle ciò a cui mi riferisco, quando parlo di menu.»

Saliamo nuovamente al piano terra. Lo seguo come rapito dalla sua aura, vorrei scappare dalla sua presenza ingombrante ma qualcosa mi calamita intorno a lui.

«Ecco, guardi sul vialetto che dal cancello porta all’ingresso.»

Osservai la pavimentazione di fronte a casa. Illuminata dai fiochi lampioni, compare una scritta a cui all’arrivo non avevo fatto minimamente casa. Fatico a leggerla, essendo riportata a vantaggio di chi entri.

“Colui che entrerà in questa casa per consumare del cibo, ripagherà il conto con la sua anima!”

«E questo cosa vorrebbe dire? Anche qualora lo avessi letto, lo avrei preso per uno scherzo di Halloween.»

La sua figura si fece se possibile ancora più alta, raddrizzandosi ed allargando le braccia. La voce giunse a me con una forza ed un’intensità in netto contrasto con la mitezza quasi svogliata di prima.

«Questo le sembra forse uno scherzo? Pagherete con la vostra anima, sarà nostra per sempre!»

Una risata spettrale mi fa gelare il sangue. Tutto ciò che sento dentro di me, finché ho ancora la lucidità per concepire un pensiero, mi porta a pensare che non ci sia nulla di finto, piuttosto l’evento cittadino è stato un pretesto per celare qualcosa di terribile.

Mi faccio piccolo, ma con un ultimo impeto di orgoglio e di desiderio di protezione, mi getto sulle scale per andare da mia figlia e verificare che non le sia stato ancora fatto alcun male.

«Cloe! Cloe, dove sei?»

L’ultima immagine che compare di fronte hai miei occhi, è quella di mia figlia vestita con un grembiule da cuoca, lo sguardo perso nel vuoto, mentre la donna accanto a lei le cinge le spalle con amorevole affetto.

«Non è bellissima?»

La padrona di casa si lascia andare ad una risata grassa e che potrebbe risultare contagiosa, qualora non si tema per la propria vita e per quella della persona più importante al mondo.

«Cosa sta facendo a mia figlia?»

Il marito arriva alle mie spalle: «Caro mio, abbiamo semplicemente riconquistato la libertà. Ora sta a voi cercare qualcuno che vi sostituisca. Addio, miei cari!»

Trascorre un anno, in cui Cloe e suo padre sono completamente scomparsi nel nulla.

Una coppia di ragazzi partecipa a Ruginelloween 2022. Hanno in mano la mappa dell’evento, ma non si rendono conto che l’ultimo punto in elenco è presente solo sulla loro piantina. Si tratta di un luogo di ristoro, Il Mago del panino, situato lontano dalle maggior parte delle attrazioni ma su una strada di forte passaggio.

Decidono di raggiungerlo per cenare, per evitare le code degli altri esercizi commerciali.

Nel frattempo, all’interno di una villa buia e silenziosa, un padre ed una figlia li stanno aspettando.

Per dodici lunghi mesi hanno accolto clienti nella loro taverna. Hanno servito loro birra a fiumi e polletti al forno, o quantomeno così hanno raccontato loro quando gli avventori affamati hanno chiesto cosa fosse quella carne saporita. Quando gli ospiti erano sufficientemente ebbri, venivano portati al piano di sotto, nella cantina sotto la taverna, dove venivano legati ad un tavolo e venivano loro asportate piccolissime porzioni di corpo di cui, il giorno seguente, nemmeno si rendevano conto.

Lo scopo ultimo di quell’attività è molto semplice: arrivare al giorno di Halloween e preparare i panini più buoni mai assaggiati da essere umano, utilizzando un ingrediente segreto che altro non è che quanto ottenuto da quelle cene conviviali. Solo così la magia sarebbe passata da loro ad una nuova coppia, solo così sarebbero stati di nuovo liberi di tornare alla loro vecchia esistenza. Hanno solo un’occasione all’anno, altri prima di loro hanno tentato e ritentato per quasi un secolo, prima di avere salva la vita. Loro ambiscono a riuscirci alla prima occasione, grazie all’esperienza del cinema e della psicologia moderna che rendono il padre perfettamente conscio di ciò che contribuirà a creare l’atmosfera perfetta, e la figlia a mostrarsi come un’adorabile piccola cuoca da cui non c’era nulla da temere.

Il citofonò suona, timidamente. Sono i loro ospiti, la loro occasione per fuggire. Non possono sbagliare.

Si va in scena!

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