L’aereo che stava portando Marco da Milano a Bari iniziò la sua discesa.
Il giovane lavoratore aveva cercato di portarsi avanti con alcune attività che sarebbero rimaste inevitabilmente in arretrato durante la pur breve trasferta. Gli era infatti risultato come sempre impossibile dormire durante il volo, nonostante si fosse alzato poco prima delle cinque per raggiungere con un adeguato anticipo l’aeroporto. Come prevedibile, tuttavia, non era riuscito a combinare granché, a causa della sonnolenza che aveva ammantato la sua mente.
Approfittò pertanto della graduale perdita di quota per ammirare il panorama dal finestrino. Fin dalla sua prima esperienza con gli aerei aveva adorato la vista del mondo dall’alto, e quella sensazione non si era mai placata. Poiché non era mai atterrato sulla Puglia, era curioso di scorgerne il profilo costiero, cogliendo così una parte dei suoi quattrocento chilometri di lunghezza.
Purtroppo, rimase deluso: una fitta ed imprevista coltre di nubi gli impedì la vista che desiderava. Attese comunque pazientemente di attraversare quel soffice e denso strato di gocce d’acqua, consapevole di come il suo obiettivo fosse solo rinviato. L’avvicinamento allo strato superiore del candido tappeto si completò in poco più di un minuto, riservando a lui ed agli altri passeggeri uno spettacolo del tutto inatteso.
L’aereo si ritrovò infatti a volare tra due densi strati di nubi, creando un ambiente meravigliosamente surreale. Sopra e sotto di loro, i viaggiatori scorgevano solo un diffuso bianco, mentre di fronte scorgevano la sottile lamina azzurra del cielo. Diverse persone approfittarono di quel momento per prendere il telefono e catturare la poesia di quella visione. Marco fu ovviamente fra questi, rapito dalla bellezza eterea dell’ambiente circostante.
Richiamò subito la galleria dello smartphone per verificare che lo scatto fosse soddisfacente, anche se difficilmente sarebbe riuscito a catturare tutta la poesia che stava percependo. Aumentando lo zoom della foto, tuttavia, si fermò all’improvviso: qualcosa lo colpì e lo spaventò al tempo stesso.
La macchia di colore che aveva colto e che pensava fosse un volatile, allargata al limite di ciò che la definizione consentiva, si era rivelata essere una strana creatura umanoide con le orecchie a punta che sembravano sbucare da un cappello rosso a falda larga. Le leggende lo avrebbero definito un elfo.
Una creatura di fantasia sospesa tra le nuvole, a chilometri dal suolo. Com’era possibile? Alzò lo sguardo dal telefono al finestrino, ma quella macchia era scomparsa. Non si capacitò di cosa potesse essere accaduto, perciò inquadrò nuovamente il panorama con lo smartphone per cercare di ritrovare il punto esatto in cui aveva catturato l’elfo. Come per magia, l’essere era di nuovo lì.
E non era finita: sembrava addirittura che stesse salutando l’aereo su cui Marco viaggiava. Il giovane doveva essere impazzito, evidentemente le poche ore di sonno dovevano avere colpito, anche perché nessun altro passeggero sembrava essersi accorto di quella creatura a cui il velivolo si stava rapidamente avvicinando.
Marco abbassò di nuovo il telefono, e l’elfo scomparve. Decise allora di passare dalla fotografia al video: riprese per una decina di secondi la creatura, e quando riguardò la ripresa, questa sembrò addirittura parlare! L’uomo indossò le auricolari, e sorprendentemente riuscì a sentire la voce amichevole seppur stridente dell’essere fatato.
«Marco, abbiamo bisogno di te, qui a Cloudland! E’ un’emergenza, ma non ti ruberò molto tempo.»
Il giovane si sentì in dovere di rispondere, confortato dall’assenza di altri passeggeri di fianco a lui e confidando che coloro che sedevano nelle file adiacenti non lo stessero ascoltando: «Cosa dovrei fare?»
Magicamente, il video riprese andando oltre ciò che Marco stesso aveva registrato: «Non ti preoccupare, chiudi gli occhi: al resto penserò io.»
Marco pensò che in fondo quella richiesta fosse un ottimo consiglio, perciò chiuse gli occhi e cercò di rilassarsi. Evidentemente si trattava di un sogno, non doveva fare altro che aspettare di atterrare perché quell’assurdo volo onirico avesse termine.
Sentì una corrente d’aria di moderata intensità su tutto il corpo, perciò si vide costretto ad aprire gli occhi. Si ritrovò seduto sulle nuvole, proprio di fianco all’elfo.
«Cosa diamine succede! Come hai fatto a portarmi qui?»
L’elfo sorrise: «Non ti preoccupare, guarda di fronte a te.»
Marco vide l’aereo immobile, a circa trecento metri di fronte a dove si trovava. Il tempo si era fermato, ed in quella realtà acronica evidentemente le leggi della fisica funzionavano in modo differente, prima fra tutte la gravità che non lo stava facendo precipitare verso l’Adriatico.
Sempre convinto di vivere un sogno, il giovane decise di rilassarsi e godersi quell’incontro del tutto originale: «Cosa posso fare per te?»
«Mi chiamo Fanon, sono l’elfo a capo delle correnti. So che tu sei un giovane e brillante ingegnere, avrei bisogno che tu dessi un’occhiata alla sala macchine, perché c’è qualcosa che non va e non riesco davvero a capire cosa. Sarà che il mio esperto di pressione atmosferica è in ferie ed il suo sostituto questa mattina si è ammalato, ma vorrei evitare problemi.»
L’elfo guidò l’uomo all’interno delle nuvole, dove passarono improvvisamente dal bianco che li avvolgeva alle luci artificiali di una enorme sala attrezzata di moderni monitor e sensori di vario genere.
Marco rimase a bocca aperta: «Niente male davvero.»
Fanon si mise i pugni sui fianchi, sorridendo con aria tronfia: «Seguiamo tutte le migliori evoluzioni tecnologiche degli uomini per aggiornare costantemente le strumentazioni, perciò quello che vedi è il meglio che voi umani possiate avere.»
«Bene, qual è il problema?»
L’elfo condusse Marco di fronte ad una serie di monitor che evidenziavano problemi ed errori su diverse sonde. Lavorarono fianco a fianco per quasi due ore, per quella che fu la percezione dell’uomo, finché tutti i valori non furono rientrati nei limiti.
«Bene, niente più spie rosse.»
«Ti ringrazio, non so davvero come avrei fatto senza il tuo aiuto.»
Lieto di essersi reso utile, ma allo stesso tempo consapevole di non avere vissuto altro che un sogno, Marco tornò con l’elfo al di fuori della coltre bianca, dove Fanon lo salutò e lo fece tornare sull’aereo.
L’uomo riaprì gli occhi, scoprendo che il velivolo stava ormai passando lo strato inferiore delle nuvole e la Puglia sotto di loro stava finalmente comparendo. Il ricordo dell’avventura vissuta nella fantasia onirica lo fece sorridere, ma si costrinse a concentrarsi sugli impegni lavorativi che lo attendevano per la giornata.
Quando furono atterrati e poterono riattivare i dati sui telefoni, Marco riprese il suo e verificò di non avere chiamate. Scoprì di avere ancora la galleria aperta, così gli venne istintivo darle un’occhiata. Lo smartphone gli cadde di mano.
Erano ancora lì, sia la fotografia che il video di Fanon. Scoprì che la voce dell’elfo era perfettamente udibile, ma le sue parole erano cambiate:
«Grazie Marco. Non puoi rendertene conto, ma hai dato una grande mano al mio popolo, ed indirettamente anche al tuo. Un giorno, stanne certo, sapremo sdebitarci!»
Fu con le mani tremanti per l’emozione che l’uomo si preparò per iniziare la sua giornata lavorativa. Faticò a concentrarsi, dopo avere scoperto che esistevano creature tanto eccezionali, e che avevano addirittura chiesto il suo aiuto.
Tanti anni più tardi, quando l’umanità non ebbe più bisogno di lui, gli elfi tornarono a trovare Marco per portarlo con sé, rivelandogli i segreti profondi del pianeta su cui entrambi i popoli vivevano e vivono tutt’ora.