Categorie
Racconti brevi

Nella notte di Edimburgo

Quattro ragazzi approfittano di una partita di rugby per visitare Edimburgo, ma questo viaggio li cambierà per sempre.

Perché tre ragazzi italiani si aggirano per il centro storico di Edimburgo in piena notte, con fare circospetto?

Domanda ancora più importante: non erano in quattro ad inizio serata? Dov’è finito Dante? Certo, se rispondessi ora il racconto sarebbe già finito, perciò un poco di pazienza.

Un piccolo passo indietro. Fausto, ventiduenne studente di economia e commercio, è solito organizzare minitour per seguire la nazionale italiana di rugby. Questo sport lo ha sempre affascinato, pur non avendolo mai praticato a causa di un fisico poco predisposto per lo sport, così ha deciso di combinare la passione per questa disciplina con la curiosità nei confronti delle capitali europee, regalandosi qualche viaggio low cost in compagnia di alcuni selezionati amici.

Per la trasferta nella capitale scozzese si sono uniti a lui Gualtiero, suo compagno di studi, un ragazzone di quasi due metri che a rugby ha giocato veramente, ma con modesti risultati, anche a causa di un carattere piuttosto instabile; Stefano, che più che dallo sport è attratto dallo scotch e dai pub in generale; infine, il già citato Dante, ragazzo schivo che nessuno dei primi tre conosce veramente, in quanto si è unito al gruppo dopo un contatto sui social.

Il quartetto è atterrato vicino a Glasgow, per poi spostarsi nella capitale scozzese via rotaia. Sarebbe stato interessante filmare la loro uscita dalla stazione: giacche, cappellini di lana, guanti e zaini in spalla, pronti per un’escursione siberiana mentre i giovani scozzesi affrontavano la classica pioggerella di traverso con leggere camicie a maniche corte.

I quattro avventurieri avevano quindi preso alloggio presso un ostello in una traversa di Canongate, la parte bassa ed orientale del Royal Mile che dal colle del castello porta alla sede del parlamento scozzese. Avevano girato per la città per tre giorni e due notti, visitando ciò che il tempo a disposizione aveva loro consentito e godendo di un insperato pareggio da parte della nazionale di rugby. Erano quindi riusciti a concedersi anche una passeggiata a Holyrood Park, la grande tenuta reale a due passi dal centro.

Poco per volta, il gruppetto si era consolidato ed anche Dante era entrato nelle conversazioni, mostrando una passione per il nozionismo che in quei giorni di curiosità era risultata particolarmente piacevole, soprattutto perché quel ragazzo con l’accento bresciano così marcato da sembrare finto pareva sapere proprio tutto della storia scozzese. Fausto inizialmente aveva provato un po’ di gelosia, ma poi aveva finito per appassionarsi a sua volta alle curiosità sciorinate dall’ultimo arrivato nel gruppo.

Erano quindi giunti all’ultima sera, perlomeno per quella loro prima tappa. Il giorno dopo si sarebbero spostati a Glasgow, per poi partire alla volta dell’Italia la mattina del giorno successivo.

Trascorsero l’ultima sera ad Edimburgo chiudendosi in un pub per gustare il prelibato haggis, annaffiato con un paio di pinte a testa. Mentre Dante narrava la storia di quel piatto contadino, povero ma dalla lunga preparazione e cottura, consistente in un trito di interiora di pecora con farina d’avena cotto a lungo nello stomaco, Fausto lo ascoltava interessato ma non osava avvicinarsi a quella ricetta tradizionale, limitandosi ad un più affidabile hamburger. Nel frattempo, Stefano e Gualtiero avevano già ordinato il terzo giro di pinte per salutare adeguatamente la capitale di Scozia.

I ragazzi uscirono dal pub quando non erano ancora le otto di sera. Purtroppo gli orari del posto erano molto anticipati rispetto all’Italia, perciò rimasero con parecchia voglia di impegnare la serata ma con scarse alternative su come trascorrerla. I tre che si conoscevano da più tempo si chiusero in cerchio per scaldarsi reciprocamente e decidere cosa fare, mentre Dante rispondeva ad una telefonata in una lingua che con il dialetto bresciano non sembrava avere poi molto a che spartire.

Quando Gualtiero ruotò il cranio dalla sua posizione sopraelevata, non poté fare a meno di richiamare l’attenzione dei due amici: di Dante non c’era più traccia. Si guardarono intorno e vagarano nell’immediato circondario per qualche minuto, ma nulla. Stefano si spostò con passo spedito in direzione dell’ostello, per raggiungerlo se qualche ragione legata probabilmente all’haggis lo avesse spinto a rientrare urgentemente, ma il suo tentativo fu vano, con l’aggravante di dover ripercorrere di nuovo Canongate in salita, sforzo che lo costrinse alla quarta pinta in uno dei pochi pub ancora aperti.

Ed eccoci tornati al punto di partenza. Per quanto i tre ragazzi non conoscano a fondo Dante, la sua scomparsa improvvisa è misteriosa e preoccupante. Qualora si tratti di uno scherzo, probabilmente il giovane si ritroverà investito da un treno in corsa di nome Gualtiero, andando a ripulire la pavimentazione di High Street con il giaccone blu elettrico che proprio non riuscirebbe a passare inosservato se anche l’ultimo arrivato nella compagnia lo volesse.

«No, non lo farebbe mai. Non avrebbe senso, deve essere successo qualcosa.»

Essendo l’organizzatore, Fausto si agita più degli altri due, sia perché Gualtiero e Stefano sono parzialmente sedati dai giri di pinte in più, sia perché lui si sente responsabile per ciò che potrebbe essere accaduto a Dante.

Non volendo svegliare mezza Edimburgo, i tre giovani italiani si aggirano con fare circospetto per le strade della città vecchia. Bisbigliano più forte che possono il nome del loro amico, senza ricevere risposta se non da qualche cane randagio con scarso spirito di compartecipazione nei confronti del loro timore.

Iniziano quindi a trovare per terra delle carte di una caramella italiana che, nel loro piccolo gruppo, solo Dante aveva tenuto con sé durante il viaggio. Che il ragazzo abbia lasciato una pista? Si tratta di uno scherzo, oppure di una richiesta di aiuto? O forse l’haggis lo ha semplicemente spinto ad esaurire in poco tempo la sua scorta di mentine?

Quale che sia la ragione, non c’è motivo per cui i tre non dovrebbero seguire la pista. Cercando di non farsi notare, desiderio difficile da applicare considerato che stanno ora praticamente correndo verso la vetta della rocca, gli italiani in trasferta raggiungono la spianata di fronte all’ingresso del castello. Hanno già visitato la struttura due giorni prima, sanno perfettamente che, anche se solo per formalità, quel luogo è presidiato notte e giorno dalle guardie. Si aspettano pertanto di vedere Dante sbucare da un momento all’altro, pungolato alla schiena da un militare, o quantomeno di vedere le tracce deviare in un’altra direzione. Meglio se lontano dalla rupe, concordano tacitamente.

Con loro stupore, l’infinito sciame di cartacce arriva fino al cancello chiuso. Sotto lo sguardo di un militare si accorgono sgomenti che le tracce vanno oltre le sbarre: come può aver fatto il loro amico ad entrare, per giunta proprio di fronte alla guardia?

Provano inutilmente ad interrogare il marmoreo militare. Decidono allora di dover creare un diversivo per provare ad entrare, anche se un’altra forma di buonsenso avrebbe potuto essere quella di attendere il loro amico lì nella pur fredda e ventosa spianata: per quanto molesti potessero essere stati gli effetti della cena, prima o poi sarebbe rinsavito, oppure sarebbe stato cacciato e rimandato esattamente dove loro lo attendevano.

Anche se Gualtiero tenta di imporre a modo suo l’ipotesi dell’attesa, alla fine è proprio lui a simulare un malore proprio di fronte al soldato della guardia, che a quel punto perde la sua staticità e si piega in suo soccorso. E’ il momento: i suoi due compagni possono entrare, mentre il militare decide che il corpulento italiano necessiti di un vigoroso massaggio cardiaco nonostante il suo cuore sia evidentemente funzionante.

Fausto e Stefano si precipitano all’interno. Le carte di caramella all’improvviso si interrompono, tuttavia voltato un angolo i due giovani trovano un foglio di carta manoscritto in italiano: “Svelti, mi conducono alle segrete! Mi vogliono tenere prigioniero!”

Entrambi gli amici sono convinti di conoscere la strada verso le prigioni, rendendosi invece presto conto di non avere la benché minima idea di dove debbano dirigersi. Sempre indecisi se considerare quello che sta loro accadendo come uno scherzo o la prova della follia che ha improvvisamente ammorbato Dante, trovano un’addetta alle pulizie, che molto gentilmente indica loro la direzione corretta. Quando sta per mettersi ad urlare per richiamare le guardie, avendo realizzato come i due italiani stonino tra le mura di pietra a quell’ora della sera, Stefano si trova costretto a baciarla appassionatamente, promettendo alla donna il bis nel caso in cui terrà per sé il loro incontro.

Proseguono spediti nelle fioche luci di servizio del castello. Una cancellata sbarra loro il passo, all’ingresso delle prigioni. Sentendo la meta vicina, iniziano a richiamare Dante, sperando che sia in grado di rispondere per rassicurarli sul fatto di essere in salute. Nessuna risposta, se non il leggero ululato del vento tra le pietre.

Gualtiero li raggiunge proprio mentre stanno cercando di scassinare la serratura. Stefano e Fausto hanno un cenno d’intesa, quindi iniziano a provocare il massiccio amico con insulti del tutto gratuiti, a cui quest’ultimo risponde fiondandosi con tutta la sua forza contro gli amici e, conseguentemente, contro le sbarre che cedono di schianto.

I tre italiani restano ammutoliti. Il rumore che hanno sentito deve aver svegliato mezza Edimburgo, inoltre la donna che si occupava delle pulizie e la nuova guardia che ha dato il cambio a quella che aveva rianimato Gualtiero, che aveva approfittato della sostituzione per entrare, dovevano per forza aver sentito il colpo. Eppure, nulla accade. Nessun grido che intimi loro di alzare le mani, in attesa delle forze dell’ordine. Quella serata si sta trasformando in un’esperienza sempre più assurda e priva di alcuna logica.

I tre giovani avanzano tra le celle. Sono ovviamente tutte vuote. Si aspettano di trovare all’improvviso il loro quarto elemento che, frastornato da chissà quale intossicazione, deve essersi chiuso dietro le sbarre da solo.

«Fermi tutti, aspettate: cos’è quell’ombra?»

Fausto inizia a tremare, indicando il profilo scuro di un corpo sdraiato a terra che esce da una cella, pochi metri oltre dove si trovano in quel momento.

«Forse è lui ed è crollato a dormire», prova a suggerire Gualtiero.

Stefano, determinato a scoprire la verità su quello che sta accadendo, accelera il passo e si avvicina alle sbarre. I due amici lo vedono fermarsi all’improvviso, le mani alzate sopra la testa ed un’espressione di terrore dipinta in volto.

«Ste’, cos’hai visto?»

Fausto, tremando come una foglia, si sforza di coprire i pochi passi che lo separano dall’amico nel minor tempo possibile, e con lui Gualtiero.

«No! Dante!»

L’urlo disperato unisce entrambi, arrivati alle spalle dell’amico più coraggioso che chiude pietosamente gli occhi alla vista del loro nuovo compagno di viaggio riverso al suolo, con un’espressione di terrore dipinta su di un volto immobilizzato dall’eterna fine.

Un fuoco fatuo emerge dalla schiena dello sventurato ragazzo, che i tre compagni di viaggio cercano di raggiungere forzando inutilmente le sbarre della piccola cella. E’ decisamente presto per quel singolare fenomeno, a meno che la fine di Dante non sia giunta molto prima di quanto loro pensino.

Un alito di nebbia risale prima delicatamente, quindi in modo sempre più impetuoso ad avvolgere la fiammella, sconvolgendo i corpi e le menti dei tre giovani italiani: ha il volto del loro amico scomparso!

«Sono lo spirito di Angus McDonald, un uomo che ha perso la vita in questa prigione quattro secoli fa. Amavo la mia terra, che pure è stata crudele con me, e da allora tramando ad ingenui turisti come voi le tradizioni del mio popolo. Ma ora fuggite, presto! Le tenebre che ho fatto cadere sul castello non dureranno ancora a lungo, tra pochi istanti le guardie si accorgeranno di voi.»

La risata spettrale che emerge da una profondità indescrivibile, certo non da quel corpo riverso al suolo, scuote le membra dei tre italiani a sufficienza da convincerli ad accogliere il consiglio dello spirito.

Scappano a gambe levate. Rallentano solo in parte il passo una volta usciti dal castello, e si fermano veramente quando sono nella loro stanza dell’ostello.

Faticano a riprendere fiato, ma soprattutto a dare un senso a quello che hanno visto. Si guardano intorno: gli oggetti di Dante sono scomparsi; il suo letto, che quella mattina era in disordine, non sembra essere stato utilizzato negli ultimi giorni; accendendo i loro telefoni, non trovano prove della presenza di Dante in nessuna delle foto scattate dalla partenza dall’Italia, fino a quel momento.

Non parleranno più fino al giorno successivo, e nulla di significativo uscirà dalle loro bocche finché non saranno di nuovo a casa. Nessuna persona che li abbia incrociati (personale dell’ostello, parenti che li hanno accompagnati in aeroporto all’andata, gestori dei pub di Edimburgo intervistati in fretta prima di riprendere il treno per Glasgow) ricorda la presenza di un quarto elemento.

Eppure, quei tre ragazzi sono e saranno sempre certi del contrario. Un giorno troveranno i riferimenti nelle pagine di storia a quell’uomo ingiustamente incarcerato e lasciato morire di stenti. Torneranno in Scozia, si avvicineranno a quello che un tempo era stato il suo luogo di riposo, e con estrema e razionale umiltà, ripensando a tutti i suoi racconti ed alla passione che impiegava per trasmetterli, diranno semplicemente:

«Tapadh leat.» Grazie.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *